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Miteni e Safond, lo spettro bonifica agita i comitati

Dopo la manifestazione davanti alla fabbrica della valle dell'Agno finita al centro dell'affaire Pfas, alcuni settori della rete ecologista chiedono alle istituzioni di ripensare il modello di sviluppo nonché una stretta in materia di autorizzazioni per l'apertura di nuovi impianti

«Dopo la manifestazione del 25 febbraio davanti alla Miteni di Trissino si potrebbe dire un'infinità di cose, moltissime delle quali terribili, rispetto alla situazione ambientale raccapricciante che si è creata attorno alla contaminazione da Pfas attribuita alla fabbrica di via Colombara oggi fallita: si potrebbero dire cose di ogni risma nei confronti dei privati che hanno dato corpo all'inquinamento e alle autorità che hanno vigilato solo il cielo sa come». Ha usato queste parole in una nota diffusa ieri 26 febbraio Massimo Follesa, il portavoce del Covepa, un coordinamento ecologista da «tempo attivo in terra veneta».

LA RIFLESSIONE E IL J'ACCUSE
L'architetto Follesa poi va oltre e aggiunge: «Per un istante però possiamo cimentarci con uno sforzo sovrumano e dare credito a quello che in queste ore l'assessore regionale all'ecologia, il nostro Giampaolo Bottacin, ha spiegato ai quotidiani regionali come gli oneri della bonifica, la quale tutt'oggi rimane al palo peraltro, spettino ad Ici 3. Ossia al privato che ha rilevato un parte del fallimento della stessa Miteni. «Da questo punto di vista palazzo Balbi dice il vero. Il problema però che una affermazione generica da sola vale poco o nulla se non si guarda al percorso e agli sforzi messi in campo negli anni per giungere all'obiettivo dichiarato. E l'excursus di questi anni ci dice che, al di là delle colpe incommensurabili in capo ai privati, rispetto alle quali il procedimento penale in corso è poca cosa, in confronto al verdetto che sarà emesso dalla storia, gli enti pubblici e di controllo, hanno avuto responsabilità enormi: perché le autorità sarebbero potute intervenire prima, perché sequestri e obblighi alla bonifica sarebbero potuti e dovuti essere attuati prima sia sul piano penale sia sul piano amministrativo».

LA STILETTATA
Poi c'è un'altra stilettata. «Le leggi - si legge - ci sono e vanno fatte rispettare. Questa considerazione va fatta soprattutto a beneficio dei dirigenti degli enti pubblici che, troppo spesso, si schermano dietro l'operato della magistratura. Il dirigente di un ente pubblico, non il politico, è pagato fior di quattrini, ed ha il potere, quando è necessario, di intervenire, anche chiudendo le fabbriche, anche obbligando caratterizzazioni e bonifiche, anche se questo espone lo stesso funzionario e l'ente a ricorsi di ogni tipo, fossero anche milionari. È suo dovere: punto. Rispetto a questo dovere per esempio c'è o c'è stato scarso adempimento relativamente alla bonifica dell'area ex Safond e aree contermini. Ricade quindi sui candidati alle amministrative del capoluogo berico dare conto dei rischi in ballo, giacché l'inquinamento che potrebbe colpire la risorgiva che alimenta gli acquedotti di Vicenza e Padova.

IL SENATORE, I CONSIGLIERI E LA SINDACALISTA
Durante la manifestazione del 25 febbraio oltre alle ragioni della rete ecologista si sono sentite quelle di alcuni rappresentanti del mondo politico. C'era il senatore Andrea Crisanti (indipendente eletto col Pd). E poi c'erano la consigliera regionale Cristina Guarda (Ev), il consigliere regionale Andrea Zanoni (Pd), la consigliera regionale Anna Maria Bigon (Pd), la consigliera regionale Elena Ostanel (Vcv): questi ultimi quattro sono peraltro espressione dell'assemblea regionale veneta di palazzo Ferro Fini. Tutti, Crisanti incluso, alle telecamere di Vicenzatoday.it, hanno puntualizzato il proprio punto di vista indirizzando non poche critiche all'indirizzo di palazzo Balbi. Ai microfoni di Vicenzatoday.it ha parlato anche Giulia Miglioranza, componente della segreteria della Cgil berica. La quale rispetto al caso Miteni ha dato conto dei trascorsi e delle sofferenze in termini di salute degli ex dipendenti della fabbrica.

LA REPLICA DELL'ESECUTIVO
Ad ogni modo il 25 febbraio sul tema, che secondo gli attivisti rimane spinosissimo, è pure intervenuta la giunta regionale con l'assessore leghista all'ecologia Giampaolo Bottacin. Il quale in una breve nota si è difeso spiegando che «le diverse strutture della Regione Veneto sono state, sin dai primi momenti di questa vicenda, impegnate nel fronteggiare la criticità - prosegue l'assessore - impiegando competenze diverse» sul piano ambientale, sanitario e scientifico, che «messe a sistema hanno permesso l'emergere del fenomeno Pfas, il cui inquinamento non era precedentemente noto e di pianificare con gli altri enti coinvolti le azioni successive. Ora - rimarca Bottacin - la ditta Ici 3 in qualità di attuale proprietario del sito, si è assunta l'onere di eseguire gli interventi di messa in sicurezza e bonifica come disposto dalla legge nazionale».

LA CONTROREPLICA
L'assessore ha anche fornito un prospetto storico degli sforzi compiuti da palazzo Balbi. Epperò i comitati non sono per nulla tranquillizzati dall'uscita dell'esecutivo regionale. «Se Bottacin fosse stato meno impetuoso nel dire la sua - spiega Follesa ai taccuini di Vicenzatoday.it si sarebbe ricordato che gli addebiti sulla condotta tenuta da alcuni funzionari di enti dipendenti dalla Regione Veneto nell'ambito dei controlli preventivi furono una barzelletta. Lo ha confermato il processo Miteni in corso a Vicenza. Lo hanno confermato i tanti documenti resi pubblici dai giornalisti investigativi che da anni seguono il caso. Il punto però è ben un altro. Occorre capire - conclude l'architetto Follesa - se noi tutti e non solo il Bottacin o il magnate industriale di turno, siamo o meno in grado di imparare da tragedie del genere. Sembrerebbe di no, visto l'iter autorizzativo che, in materia di produzione di Pfas, sta interessando in questi mesi la Regione Piemonte per l'impianto Solvay di Spinetta Marengo a Alessandria».

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