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Il depuratore lumaca ostacola l'approvvigionamento di acqua senza Pfas

Secondo la consigliera regionale Guarda i ritardi nel bando di gara che hanno interessato l'opera prevista nel capoluogo berico in zona Casale hanno impedito il completamento di una rete priva di contaminanti che dovrà rifornire il comprensorio di Lonigo e tutta la «Zona rossa» interessata dall'inquinamento da derivati del fluoro. E così Viacqua finisce ancora nel mirino di Europa verde

«Il valzer di bandi per la realizzazione del depuratore di Vicenza ha avuto ripercussioni sulle tempistiche relative alla realizzazione della tanto attesa condotta anti-Pfas che in futuro dovrà attingere alle fonti di Carmignano di Brenta nel Padovano per rifornire di acqua non contaminata dai temibili derivati del fluoro, i Pfas appunto, le utenze del comprensorio di Lonigo». È questo il passaggio di una nota diffusa oggi 30 agosto dal consigliere regionale di Ev Cristina Guarda, che ha appreso la novità proprio in queste ore durante i lavori della Commissione bilancio, durante la quale si stava discutendo il conto economico  di Veneto acque spa, uno dei più importanti attori regionali per la realizzazione di infrastrutture legate al ciclo idrico.

DIATRIBA IN CORSO
Peraltro i ritardi nella realizzazione del depuratore della zona di Casale, alla estrema periferia orientale di Vicenza, sono da mesi oggetti degli strali proprio di Guarda. La quale in più occasioni non ha usato mezzi termini per denunciare le inerzie del gestore incaricato della progettazione e della realizzazione, si tratta di Viacqua, una spa pubblica con sede nella città palladiana capitanata dal presidente Giuseppe Castaman del Carroccio.

Dal confronto avvenuto in commissione con l'amministratore unico di Veneto acque spa Gianvittore Vaccari si è dato conto, spiega Guarda, dello slittamento della consegna della maxi condotta anti-Pfas al 2026, originariamente prevista per il 2022. Uno slittamento che, da quanto si apprende, «sarebbe dipeso anche dalla sospensione, prima, e dalla successiva revoca del bando di Viacqua per l'ampliamento del depuratore di Casale a Vicenza».

Ancora, l'annuncio del nuovo bando di Viacqua «è arrivato quasi un anno dopo». Tale scelta, denuncia la consigliera di Europa verde che a palazzo Ferro Fini milita tra le fila della opposizione di centrosinistra, ha comportato ritardi nel completamento di uno dei più importanti collegamenti a fonti prive di Pfas utili all'allacciamento «con l'acquedotto di Lonigo» e della cosiddetta intera «Zona rossa Pfas», che per inciso a partire da Cologna e Montagnana tocca per l'appunto il Veronese, il Padovano oltre che il Vicentino. «Parliamo - aggiunge l'esponente di Ev - del collegamento Carmignano-Lonigo, sul quale transiterebbero dai centocinquanta ai duecento litri d'acqua al secondo».

IL J'ACCUSE
Un'opera le cui tratte, a esclusione del segmento incluso tra Vicenza Est e Vicenza Ovest, sono state completate o sono in attesa di completamento da parte di Veneto acque. Di conseguenza «possiamo assumere che il caro materie prime» in passato portato come giustificazione per i ritardi nel bando di gara «poco abbia che fare con la questione». Ad influire sul ritardo invece, accusa Guarda, sarebbero state piuttosto le decisioni assunte dai vertici della società berica. «Da cittadina residente in zona rossa, provo rammarico dato che già nel 2022 chiedevo di intervenire con urgenza per evitare, almeno per l'acquedotto, ulteriori ritardi. Non intendo discutere delle strategie adottate dalle società partecipate, ma ritengo giusto che queste prendano in considerazione gli effetti che alcune loro scelte possono avere sulla salute dei cittadini e sui costi di gestione della potabilizzazione».

L'AFFAIRE BRUXELLES
Ad ogni modo per quanto riguarda il dossier Pfas (il Veneto centrale tra Veronese, Vicentino e Padovano a causa degli scarti sversati illecitamente nell'ambiente dalla industria chimica Miteni di Trissino è finito al centro di uno scandalo ambientale di portata europea) non si esaurisce con le diatribe politiche venete. Anche l'Unione europea è al centro di una burrasca di non poco conto quando alcune settimane fa il quotidiano britannico Guardian ha svelato una novità di non poco conto. I piani più volte annunciati da Bruxelles per una messa al bando (se non totale quanto meno assai drastica) dei Pfas, hanno subito una brusca battuta d'arresto a causa delle pressioni della lobby dell'industria europea, tedesca in primis. Per non parlare delle pressioni dirette «del presidente francese Emmanuel Macron» e «del primo ministro belga Alexander De Croo. I Pfas infatti hanno un ruolo di primo piano anche nell'industria nucleare: sia civile che bellica. E in questo senso il ruolo del Belgio non è marginale mentre quello dei transalpini è cruciale visto che la Francia non solo produce moltisisma energia elettrica con i reattori nucleari ma possiede e rimpolpa un arsenale di bombe atomiche non indifferente. 

IL RIFLESSO MEDIATICO
Ad ogni buon conto il caso, deflagrato ai primi di luglio, è stato passato ai raggi X anche dalla galassia ambientalista italiana anche dopo che una testata specialistica molto attenta ai temi dell'ecologia, il Fatto alimentare, ha dedicato alla materia un corposo approfondimento firmato da Giulia Crepaldi.

LO SCENARIO
Sullo sfondo rimane un problema di portata planetaria. I Pfas al momento sono una sterminata famiglia di composti chimici i quali vengono utilizzati pressoché in ogni campo industriale. Fra questi settori spiccano quello della micro-elettronica e quello militare. Oltre al fatto che i due ambiti sono strettamente interconnessi, il dossier della guerra tecnologica in corso tra Cina e Usa (ne parla Vicenzatoday.it del 28 marzo) e le implicazioni che questa comporta quanto alla progettazione, alla produzione e all'impiego degli armamenti, da anni costituisce uno strumento di pressione formidabile dell'industria che nei confronti dei regolatori pubblici può vantare, più o meno occultamente, l'appoggio di importanti ambienti dei governi di mezzo mondo.

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