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Ambiente, rogne vicentine e polemiche regionali

Il depuratore di Casale, l'affaire Miteni e la querelle attorno ai cantieri della Spv scuotono palazzo Ferro Fini come palazzo Balbi

I temi ambientali vicentini arroventano il dibattito dentro e fuori il Consiglio regionale veneto come nei dintorni di palazzo Balbi. «Nulla c'entra con il piano anti-Pfas, nulla c'entra la Regione Veneto, perchè il piano depuratori è competenza del gestore idrico integrato: l'opera in questione non è una di quelle emergenziali di competenza del commissario delegato per l'emergenza Pfas, che sta rispettando il cronoprogramma degli interventi, in parte già completati visto che l'ultimo stralcio sarà concluso questa estate. Va inoltre ricordato che i veneti in questo momento sono gli unici in Italia ad avere un'acqua analizzata e controllata, con limiti più restrittivi d'Italia. L'acqua potabile distribuita ai cittadini veneti è dunque assolutamente sicura». A parlare in questi termini oggi 15 aprile è una nota della giunta regionale veneta nella quale si attribuisce la presa di posizione ad un non ben precisato gruppo di dirigenti regionali.

NERVI A FIOR DI PELLE
Ma perché palazzo Balbi è andato su tutte le furie? La nota arriva a poche ore dal durissimo attacco di Europa Verde che in un loro comunicato firmato dalla consigliera regionale Cristina Guarda si erano detti sdegnati per l'ennesimo rinvio della realizzazione del depuratore vicentino di Casale. L'opera attesa da trent'anni, era prima di competenza del comune del capoluogo. Poi è passata alla municipalizzata cittadina, poi fusasi con quella veronese. Tuttavia con la presa in carico della gestione intercomunale da parte di Viacqua, è la spa con base a Vicenza a doversi sobbarcare un onere finanziario notevole dribblato per anni dalle amministrazioni di ogni colore politico.

Adesso che la cabina alla cabina di comando di Viacqua c'è finito un uomo di fiducia del governatore leghista Luca Zaia (è Giuseppe Castaman, pure lui del Carroccio) a palazzo Balbi l'affondo è stato percepito come una bordata proprio a Castaman. Soprattutto perché Guarda ha chiesto di sapere se la mancata realizzazione dell'opera possa inficiare o meno il percorso di contrasto alla presenza dei temibili Pfas (in misura ridottissima per vero nell'hinterland del capoluogo berico rispetto a quanto riscontrato nell'Ovest vicentino) che la Regione Veneto sta portando avanti da anni, pur tra mille polemiche.

GRANA TRENTENNALE
E come mai il depuratore di Casale è così importante? Da anni l'altro depuratore su cui fa affidamento Vicenza è quello della zona industriale. Si tratta di un impianto di vecchissima generazione, posto in in un sito facilmente soggetto alle piene. Il quale in caso di piogge insistenti consente de facto ai reflui industriali di contaminare quelli civili cui lo stesso depuratore sarebbe destinato. Questa condizione per anni ha consentito ad un pezzo del comprensorio industriale di Vicenza ovest una sorta di depurazione a scrocco in danno di quella civile. L'aumento della capacità del depuratore di Casale mitigherebbe parecchio questo rischio. Ai media locali Castaman aveva giustificato la marcia indietro rispetto all'opera con la necessità di una certa prudenza visto il contesto economico in cui versa il Paese. Il problema però è che tramite il prelievo sulle bollette addebitate agli utenti i fondi per l'opera sarebbero allocati da anni. Dove e soprattutto come siano stati impiegati quei soldi è oggetto di una contesa politica al vetriolo che dura almeno dai primi anni Duemila e che nessuno sino a oggi è riuscito a risolvere.

I «TEMUTISSIMI» DERIVATI DEL FLUORO
Ad ogni modo parlare di Pfas chiaramente significa parlare anche della Miteni. La spa trissinese, oggi fallita, che nell'ambito di un colossale processo in corso a Borgo Berga è accusata di avere inquinato coi suoi reflui, ossia gli scarti della lavorazione dei derivati del fluoro, i temutissimi Pfas appunto, tutto il Veneto centrale tra Veronese, Vicentino e Padovano. Da anni gli attivisti chiedono di sapere a che punto sia il piano bonifica: il quale stando al parere di alcuni scienziati come il geologo Dario Zampieri docente all'Università di Padova non sarà mai del tutto possibile.

LE BORDATE DI BIGON E ZANONI
Il 15 aprile due consiglieri regionali di minoranza (Anna Maria Bigon ed Andrea Zanoni del Pd) dopo una caccia durata mesi, mettendo con le spalle al muro la giunta, erano riusciti ad avere lo stato del crono-programma delle perforazioni utili a capire l'iter per la bonifica. Che tipicamente è diviso in due parti. La prima si chiama caratterizzazione ed è sostanzialmente la radiografia della situazione e la scelta delle modalità di ripristino ambientale ove possibile. La seconda è la bonifica vera e propria. Quando Bigon e Zanoni hanno scoperto che le perforazioni sino ad oggi sono state pochissime rispetto alle centinaia e centinaia previste sono andati su tutte le furie. Palazzo Balbi ha replicato che quel cronoprogramma è in capo al soggetto inquinatore ovvero al privato. Tuttavia questa risposta ha fatto imbestialire la galassia ambientalista la quale accusa la Regione e gli enti ad essa collegata di essersi prostrata di fronte ai desiderata del privato. Come? Autorizzando de facto un cronoprogramma che consenta allo stesso privato di smontare prima la fabbrica e solo dopo provvedere ai sondaggi: «il tutto mentre l'inquinamento va avanti». In realtà questo esito «infausto» era stato previsto tanto che il mondo ecologista non solo accusa gli enti locali e regionali di accondiscendenza verso il privato ma accusa anche la magistratura di non avere disposto il sequestro della ditta prima del fallimento quando questa era ancora operativa obbligandola ai carotaggi «il cui costo andava addebitato alla Miteni quando questa aveva ancora i liquidi per procedere in quella direzione». Ora la situazione si sta incancrenendo così tanto che la Miteni rischia seriamente di divenire «l'ennesimo sito Sin in Italia» ovvero l'ennesimo sito la cui pericolosità ambientale è riconosciuta dallo Stato ma rispetto al quale non si riesce a imporre la bonifica al privato o perché questo è evaporato o perché la stessa è impossibile. Il tutto mentre governo e regioni hanno le casse vuote per proporre interventi da centinaia di milioni di euro.

IL TUNNEL DELLA DISCORDIA
Le novità comunque non sono finite. In questo caso è la querelle attorno «ai disagi causati» dalla Superstrada pedemontana veneta (Spv) a Cornedo in zona Cereda a tenere banco. Dopo il rinvio del 28 marzo ieri si è tenuto il sopralluogo nell'ambito del contenzioso civile che vede fronteggiarsi i residenti della zona Palazzina a Cornedo che per l'appuntano lamentano disagi e possibili rischi per la stabilità delle loro abitazioni rispetto al tunnel che la Spv sta realizzando tra la zona di Cornedo-Castelgomeberto in Valle dell'Agno e quella di Malo nel comprensorio Scledense. Il sopralluogo di ieri, coordinato dal consulente tecnico nominato dal Tribunale di Vicenza (si tratta dell'ingegnere Fiorenzo Meneghetti) da quanto si apprende dai residenti è stata una mezza fumata bianca. I consulenti ingaggiati dagli stessi residenti, che si sono affidati al patrocinio legale dell'avvocato Giorgio Destro, avrebbero chiesto di filmare tutto il tunnel. Di lì a qualche istante sarebbe arrivato il diniego da parte della Spv che invece acconsentirebbe a foto e filmati solo nell'area del tunnel che si trova sotto le case la cui staticità, secondo i proprietari, sarebbe a rischio. Ne è nata una schermaglia verbale ad alta tensione durante la quale due dei consulenti tecnici ingaggiati da Destro (la dottoressa Marina Lecis e l'architetto Massimo Follesa) avrebbero preso di mira a più riprese la controparte accusandola di limitare le facoltà di accertamento garantite dal codice civile. A questo punto non è chiaro come siano andate le cose nel dettaglio. Quello che è chiaro è che il verbale sarà sottoposto al giudice Ludovico Rossi cui spetta il compito di sovrintendere il procedimento civile.

IL CASO AFFIORAMENTI
Tuttavia all'uscita dai cantieri (sembra che i periti dei residenti di fronte al diniego ai filmati opposto dalla Sis ossia dal privato incaricato di realizzare l'opera su input della Regione) sui terreni delle campagne circostanti sia emerso dal sottosuolo un nuovo affioramento di cemento. Un affioramento che è già stato oggetto di una denuncia in sede penale. La vicenda in consiglio regionale aveva scatenato una polemica al vetriolo che non si è ancora esaurita.

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