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Lunedì, 29 Aprile 2024
Politica Bassano del Grappa

L'ombra del Vajont assilla la diga sul Vanoi

Il progetto caro alla Regione Veneto dovrebbe mitigare la penuria d'acqua lungo l'asta del Brenta tra Bassanese, Vicentino e Padovano. Ma dopo un distacco di materiale avvenuto a ridosso delle aree interessate tra Bellunese e Trentino, sull'opera voluta da palazzo Balbi, osteggiata da più parti per questioni di impatto ambientale, torna lo spettro della tragedia di Longarone. Per questo a palazzo Ferro Fini le opposizioni invitano l'amministrazione a prendere in considerazione soluzioni alternative che già sono al vaglio degli uffici

«È privo di senso investire 150 milioni di euro in una struttura trasversalmente ritenuta dannosa» come quella dell'invaso tra Trentino e Bellunese che secondo la giunta regionale veneta dovrebbe combattere la penuria d'acqua lungo il corso del Brenta tra Bassanese, Vicentino e Padovano. «Abbiamo bisogno di acqua, non di opere dannose per l'ambiente e fonte di rischi per le comunità». Lo dichiarano in una nota diffusa ieri 16 ottobre i consiglieri regionali Cristina Guarda (Europa Verde), Vanessa Camani, Anna Maria Bigon, Chiara Luisetto, Jonatan Montanariello, Andrea Zanoni, Francesca Zottis (Partito democratico), Elena Ostanel (Il Veneto che Vogliamo), Arturo Lorenzoni (gruppo misto) e Erika Baldin (MoVimento 5 Stelle): tutti fanno parte della opposizione di centrosinistra al consiglio regionale veneto.

«Abbiamo presentato una nostra mozione - continuano i dieci consiglieri di opposizione - affinché il Consiglio regionale prenda posizione alla luce dei no espressi dalle province di Belluno e Trento e dal Comune di Feltre. Lo scorso febbraio con delibera 178 la Giunta regionale del Veneto presieduta dal governatore leghista Luca Zaia, ha approvato un documento specifico». Un documento intitolato «Quadro conoscitivo sui bacini in cui invasare la risorsa idrica, ad uso irriguo ed ecosistemico». Quel documento secondo i dieci indica de facto alcune valide alternative «al contestatissimo progetto della diga sul torrente Vanoi» prevista nel comune bellunese di Lamon mentre l'invaso vero e proprio interesserebbe i comuni trentini di Cinte Tesino e Canal San Bovo

«Ormai - proseguono i consiglieri - da un decennio la nostra Regione conduce sperimentazioni di successo nella realizzazione di un sistema diffuso di azioni di ricarica. Alla luce di questo fatto, risulta inutile investire quasi 150 milioni di euro per immagazzinare 35 milioni di metri cubi di acqua, quando è possibile ottenere un risultato analogo senza ulteriori colate di cemento e a costi assai inferiori. Inoltre, sulla base dell'insegnamento che l'esperienza della diga sul Vajont ci consegna, non possiamo ignorare l'instabilità della porzione di terreno compreso nella realizzazione del progetto in una con lo stacco piuttosto recente di una massa di materiale in un'area che andrà a costituire il versante del bacino del Vanoi»: bacino il cui impulso alla progettazione è partito sia dalla Regione Veneto sia dal Consorzio bonifica Brenta di Cittadella nel Padovano. In questi anni tra l'altro cade il sessantennale della tragedia del Vajont. Il disastro che in seguito al collasso dei monti attorno all'invaso idroelettrico realizzato a ridosso di Erto e Casso nel 1963 provocò la morte di quasi duemila valligiani diventando uno scandalo di portata internazionale che investì politica ed imprenditoria italiane dell'epoca. Ad ogni modo la ventilata realizzazione della diga sul Vanoi ha dato non pochi grattacapi al presidente della provincia autonoma trentina, il leghista Maurizio Fugatti. Il quale sul tema sta affrontando uno scontro politico, sia interno al centrodestra, sia con le opposizioni di centrosinistra, di non poco conto.

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