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"Vi svelo i conti della superstrada sanguisuga: potrebbe costarci come il ponte sullo Stretto"

L'opera che connette Trevigiano e Vicentino è poco usata: ma poiché il rischio d'impresa è stato scaricato dal concessionario privato alla Regione, l'assenza di traffico e di pedaggi potrebbe mettere a repentaglio il bilancio del Veneto

A Brogliano, nell'Ovest vicentino, Massimo Follesa si ferma spesso a guardare uno dei caselli d'imbocco della Superstrada pedemontana veneta che si presenta quasi sempre vuoto: mentre a fianco la Statale 246 Recoaro-Vicenza "rimane spesso intasata", sospira. "Avere azzeccato ogni previsione sulla inutilità della più grande opera oggi a cantiere in Italia non ci rende orgogliosi, ci ferisce: perché i veneti nonostante tutte le avvisaglie hanno preferito girare la testa dall'altra parte".

Ora però, alla vigilia delle elezioni europee e di quelle regionali, i nodi stanno venendo al pettine. Tuttavia l'argomento, in ampi e trasversali settori della società, del mondo economico e della politica, rimane un tabù. Il motivo? "Troppo ramificati sono gli interessi in ballo", spiega ancora l'architetto Follesa, vicepresidente del Covepa, il coordinamento ecologista che da tempo contesta un progetto che risale a venticinque anni fa.

Perché i costi sono esplosi
È proprio durante i primi anni Duemila che il centrodestra veneto, forte di una sponda romana inossidabile, rimette mano al progetto della Superstrada pedemontana veneta, nota come Spv. Dai primi anni '90 l'opera la chiedono un po' tutti. L'asse che connette Bassano del Grappa nel Vicentino a Montebelluna nel Trevigiano è congestionato. Le due città sono al centro di due dei più importanti distretti produttivi regionali: i camion però, per spostarsi da un polo all'altro, debbono attraversare una viabilità vecchia che intasa i centri storici. Tuttavia "il progetto light da un miliardo di euro" pensato negli anni '90, senza caselli e senza gallerie, viene messo in soffitta dal centrodestra veneto.

Il nuovo potere in Regione punta a una strada più lunga, "più attrezzata", chiaramente molto più costosa: 94 chilometri da Montecchio Maggiore nel Vicentino a Spresiano nel Trevigiano. Ma i soldi non sono un problema. "Li metterà il privato che si rifarà coi pedaggi", promette l'allora assessore alle Infrastrutture, Renato Chisso, Forza Italia. La formula è ammessa dal codice dei contratti pubblici. Si chiama finanza di progetto: ma i politici veneti preferiscono la dizione inglese di "project financing".

Quell'anglicismo per anni sarà il passe-partout con cui, nel Veneto e in Italia, si cercherà di mettere in soffitta il tradizionale appalto prediligendo la formula del cosiddetto partenariato pubblico-privato. I detrattori di questo modello mettono subito tutti in guardia però: è pieno di insidie per la parte pubblica. E lo bollano come "generatore occulto di debito pubblico a favore dei soliti noti".

È il 2012. Alla fine i lavori cominciano. L'infrastruttura viene progettata e realizzata dalla Sis-Spv, un consorzio italo-spagnolo. Con una dozzina d'anni "di ritardo rispetto alle promesse iniziali", le maestranze termineranno solo nel 2024. Per di più all'appello mancano ancora la connessione con l'autostrada Brescia-Padova allo svincolo di Montecchio Maggiore nel Vicentino, nonché la nuova barriera della stessa Brescia-Padova prevista lì a fianco: casello, di cui si sta occupando l'autostrada e che dovrebbe essere inaugurato a giugno.

L'accusa della Corte dei conti
Restano però ancora da realizzare 40 chilometri di strade di fluidificazione per le quali sono finiti pure i soldi. In ultimo l'opera costerà "2,650 miliardi", ai quali vanno aggiunti "altri 360 milioni per spese extra". Il privato fino ad oggi ci ha messo "1,65 miliardi". Il pubblico ha dovuto scucire poco meno: "un miliardo o giù di lì". Le opere accessorie non eseguite sono pari "a 45 chilometri" per un monte "di 600 milioni che nessuno vuole accollarsi", anche se "sarebbero in capo al privato". Il tutto è al netto "di Iva, inflazione ed eventuale aumento dei mutui contratti dal concessionario": incognite che pesano anche sul futuro.

A descrivere nero su bianco tutte queste magagne stavolta non è solo il Covepa, che da anni contesta l'opera così come è stata concepita, ma è la Corte dei conti: ovvero la sezione nazionale dell'organismo che in seno alla magistratura erariale stila le pagelle delle opere pubbliche.

"La perdita di 480 milioni"
Proprio la magistratura erariale infatti nel 2023 mette a nudo quella che i comitati chiamano di volta in volta la "bomba a orologeria" nei conti della Regione" o la "voragine nelle casse del Veneto" della "autostrada più cara d'Italia". La concessione tra Regione Veneto e privato, relativa a costruzione e gestione, entrerà definitivamente a regime, con ogni probabilità, tra pochi mesi: a casello ultimato. Durerà 39 anni. Alla fine dei quali proprio la Corte dei conti, già in prima battuta, prevede una perdita per le casse regionali "di 480 milioni di euro" o poco meno.

Luca Zaia, il contratto e la Jp Morgan
Tuttavia la cifra potrebbe essere ancor più esorbitante. Nel 2017 la giunta veneta capitanata dal leghista Luca Zaia stabilisce che il rischio d'impresa (per venire incontro al privato che faticava a reperire i prestiti dalle banche, Jp Morgan in testa), dovrà essere scaricato sulla amministrazione regionale. È un autogol imperdonabile, secondo quanti contestano il progetto: un doloroso ma necessario accorgimento per evitare il collasso di un'opera destinata al tessuto produttivo, secondo il governatore. Gli incassi previsti dal privato da qui al 2059 sono di una dozzina di miliardi: che potrebbero lievitare a quindici tra revisioni e alterazioni varie.

Se gli utenti però non useranno quella arteria a dovere, oggi il traffico "è inesistente", il lucro mancato peserà sul budget di palazzo Balbi. "Per questo quando ai miei amici dico: oggi vi svelo i conti della superstrada sanguisuga che potrebbe costarci come il ponte sullo Stretto di Messina, rimangono increduli" ridacchia Follesa (nel riquadro e nella video-intervista sopra).

Il debito di 300 milioni l'anno
I timori in qualche modo sono stati amplificati dal consigliere regionale veneto Andrea Zanoni, quando l'esponente del Pd ha proiettato i dati dei primi incassi ottenuti durante gli ultimi tempi ("qualche milione sì e no") sulla durata della concessione. Se il primo anno i veneti dovranno al privato "un canone di disponibilità di 165 milioni, il penultimo anno, presumibilmente nel 2058, il crescendo toccherà la cifra record di 435 milioni di euro".

La media annua è pari a 300 milioni e rotti. "Soldi, che in mancanza di traffico che generi pedaggi, rischiano di venire sottratti ai servizi pubblici come la sanità" avverte Zanoni. Il quale, abbastanza solitario nel suo Pd, si dice preoccupato per il buio "che il futuro riserverà ai nostri figli". Poi ci sono le penali sui ritardi nonché l'Iva indebitamente trasferita alla Sis-Spv. Si tratta di milioni e milioni di euro che la Regione al momento "evita di pretendere dal privato". Peraltro le prime tratte della superstrada sono percorribili già da diversi anni.

I rischi per l'ambiente
Frattanto, sullo sfondo, rimangono "gli spettri ambientali". Costruita quasi tutta in trincea, la Spv "genera ansie a non finire". Proprio perché "quasi tutta interrata" i cantieri hanno fatto largo uso di acceleranti per abbreviare i tempi di presa di calcestruzzi e cementi. Acceleranti che contengono i temibili derivati del fluoro noti come Pfas: la cui azione sul suolo è alla base della ferita aperta e sanguinante nell'ecosistema veneto.

Nel 2021 Vicenzatoday.it racconta i timori dei residenti per una strana moria "di animali" nei pressi di un cantiere della Spv a Castelgomberto nel Vicentino: scoppia un pandemonio. In quel servizio infatti si dà conto di un dossier esplosivo redatto dall'Agenzia ambientale veneta, l'Arpav. La quale chiede alla Provincia di Vicenza e alla Regione Veneto di intervenire presso la Sis-Spv affinché quest'ultima sia obbligata ad approfondire in modo adeguato "il nesso di causalità tra le attività di cantiere e la contaminazione da Pfba", un composto della famiglia Pfas, rilevato in alte concentrazioni "nelle acque superficiali e sotterranee". Si parla di oltre "13mila nanogrammi per litro" nelle acque di drenaggio.

Da quel giorno, attacca Follesa, "pur a fronte di mille segnalazioni, perfino alle procure di Vicenza e Venezia, della relazione tossica tra Pfas e Spv non abbiamo saputo più nulla". E questo è uno dei motivi per cui la rete ecologista chiede di "boicottare la Pedemontana": cosa che, a giudicare dal traffico scarso, gli automobilisti veneti stanno facendo.

Scorci del caso Spv

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