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«Piatto Stellato», la spy story travolge il Veneto

Il capocentro dei servizi segreti civili del Nordest sarebbe indagato per una presunta rivelazione da codice penale al vicentino Domenico Mantoan, ex direttore generale della sanità. E nei palazzi del potere si vocifera di un sistema trasversale di connivenze già ribattezzato «la Loggia del golf» che accoglierebbe al suo interno una platea insospettabile di personaggi alto di gamma

Le rivelazioni della stampa veneta e nazionale sulla indagine penale a carico del colonello Massimo Stellato, capocentro per il Padovano e per il Nordest dei servizi segreti interni (Aisi), sta mandando in fibrillazione i palazzi del potere: sia nel Veneto che nel resto del Paese, capitale inclusa. La questione è delicatissima. Stellato, questa l'accusa fermo restando che l'inchiesta è solo agli nizi, avrebbe rivelato a Domenico Mantoan (all'epoca direttore generale della sanità veneta) come lo stesso Mantoan fosse sotto intercettazione su ordine della magistratura padovana. Non è ancora chiaro se in quel momento Mantoan fosse ascoltato perché indagato o perché le intercettazioni fossero correlate all'inchiesta. Tuttavia secondo quanto riporta Padovaoggi.it, l'inchiesta della procura patavina avrebbe a che fare, tra le altre, con la gestione di Azienda zero: ossia l'azienda sanitaria regionale, con sede a Padova, che funge, tra le tante, come cabina di regia centralizzata per le forniture in capo alle Ulss venete.

PARTITA INGARBUGLIATA
Sul piano giudiziario la partita si è in parte ingarbugliata perché il fascicolo aperto a Padova (modi e tempi non sono ancora noti) sarebbe stato trasferito da Padova a Vicenza. Il motivo? Stellato avrebbe spifferato quei segreti di cui nemmeno sarebbe dovuto essere a conoscenza (si parla infatti di una o più talpe in procura a Padova) a Brendola nel Vicentino, dove appunto avrebbe incontrato Mantoan. Non è ancora dato sapere se la talpa o le talpe siano semplici funzionari del tribunale oppure addirittura vestano la toga: sempre che non si indaghi sugli uni e sugli altri.

I TRASCORSI, I SANTUARI E GLI SCONTRI
Mantoan comunque, vicentino residente a Brendola, è un volto notissimo e per certi versi temuto nell'amministrazione regionale visto che in passato venne descritto come l'uomo cui nemmeno il governatore leghista Veneto Luca Zaia «potesse dire no». Già direttore dell'Ulss di Arzignano-Montecchio in terra berica, il dottor Mantoan, un passato da medico militare, ha poi occupato per anni la posizione di direttore generale della sanità veneta volgendo poi la traiettoria della sua carriera come presidente di Aifa (la potentissima agenzia nazionale del farmaco che molto ha a che fare con le questioni legate ai vaccini anti covid-19). Appresso l'ultimo incarico di prestigio per Mantoan riguarda la sua attuale carica di presidente di Agenas, l'agenzia nazionale che si occupa di coordinare le regioni italiane nell'ambito della gestione sanitaria.

VICINANZE CHE CONTANO
Da anni Mantoan è dato per vicini ad ambienti politici precisi che vanno dalla parte moderata del Pd, a Fi fino all'ala della Lega la più prossima al governatore leghista Zaia. Tra l'altro Mantoan è noto alle cronache sia per le polemiche che lo hanno coinvolto per il cosiddetto affaire Montisci, sia per il duro scontro che ebbe con il virologo Andrea Crisanti quando quest'ultimo decise di sottoporre a tampone diversi residenti asintomatici del comprensorio collinare di Padova a caccia dei primi segnali del Sars-Cov-2.

LE BORDATE E GLI ESPOSTI SUI TAMPONI RAPIDI
Quando emersero le critiche di Mantoan a Crisanti ci fu una levata di scudi, fra le quali, per durezza, emerse quella del sindacato Cub. Ad ogni buon conto in un momento successivo non mancarono le critiche alla sanità veneta per la corsia preferenziale accordata ai tamponi rapidi. Il caso (sollevato dalla Cub e dai Verdi) finì persino sui media nazionali.

CARTE AD ALTO VOLTAGGIO
Ad ogni buon conto la gestione del fascicolo penale da parte della procura berica sarebbe ad alto rischio. Pare che a Borgo Berga più di qualche sostituto abbia fatto giungere al procuratore capo vicentino Lino Giorgio Bruno il consiglio di tenere per sé lo stesso fascicolo vista la delicatezza intrinseca di quelle carte. Bruno infatti viene descritto dai suoi aficionados come un magistrato esperto e meticoloso, ben attrezzato per affrontare un carico così gravoso. Ma c'è di più. Un altro aspetto cruciale dell'inchiesta riguarderebbe il contenuto del materiale sequestrato su ordine della magistratura della città del Santo presso gli uffici padovani dell'Aisi.

TIRA E MOLLA «AD ALTA TENSIONE»
Il sequestro sarebbe stato oggetto di una sorta di «tira e molla ad alta tensione»: una trattativa tra apparati e magistrati con parecchi scambi di colpi. Coi primi che per giunta avrebbero opposto, con successo, il diniego ad una parte del materiale oggetto della perquisizione perché protetta «dal segreto di Stato». Sic stantibus rebus non si sa fino a che punto gli inquirenti si siano fermati magari convinti da una qualche forma di di moral suasion asimmetrica. La questione di fondo però è che in casi del genere la legge non consentirebbe questo tipo di guarentigia.  E quanto meno quest'ultima dovrebbe eventualmente scaturire dopo una conferma della presenza del segreto di Stato su singoli atti da parte della Presidenza del consiglio dei ministri, che al momento, non si sa se ci sia stata e su quale base.

L'INCOGNITA DEI SUPPORTI INFORMATICI
Ora fermo restando che la materia è spinosissima (l'inchiesta con relative grane a corredo è già stata ribattezzata «piatto Stellato»), che cosa conterrebbe una parte dei «supporti informatici» sequestrati su richiesta della procura patavina poi oggetto di una disputa al vetriolo? Attorno agli ambienti investigativi si parla incessantemente di informazioni che possono inguaiare «il Veneto che conta e non solo». In quei file ci sarebbero le tracce di un sistema vasto e ramificato di cordate di potere, che dalle parti di palazzo Balbi da tempo porta il nomignolo di «Loggia del golf»: dal nome di un esclusivo golf club veneto in cui in passato sarebbero state prese decisioni «segretissime». Ma a quale identikit apparterrebbero alfieri, fiancheggiatori e «peones da bettola» di questo sistema?

LA SIMILITUDINE COL SISTEMA MONTANTE
Una parte di questo ecosistema sarebbe formato da politici, regionali e nazionali, magistrati, uomini delle forze dell'ordine e degli apparati, imprenditori tra cui anche soggetti bordeline vicini ad ambienti pericolosi, professionisti, alcuni imparentati con magistrati, uomini delle istituzioni e persino giornalisti. Un sistema che per preservare sé stesso si sarebbe pure avvalso di dossieraggi a carico di persone ritenute scomode come consiglieri regionali, ex consiglieri regionali, uomini delle forze dell'ordine, attivisti, sindacalisti, ambientalisti, giornalisti, esponenti del mondo delle professioni, uomini delle istituzioni. E non manca chi a margine dell'inchiesta abbia definito questo coacervo di relazioni un omologo del cosiddetto «sistema Montante» che da anni sta avvelenando il clima politico siciliano e nazionale.

SANTUARI PROTETTI E «DEZINFORMATSIYA»
In questo contesto quindi quali sarebbero stati i santuari del potere veneto da proteggere «whatever it takes», magari facendo ricorso pure ad operazioni di killeraggio giornalistico, «di dezinformatsiya più o meno strisciante» o di «guerra psicologica a orologeria»? In primis c'è la sanità regionale, col suo budget miliardario, con le sue forniture, non da ultimi gli affidamenti in materia di cibersecurity. E poi ci sarebbero le grandi opere, le cave, il variegato mondo degli scarti industriali, il sistema finanziario e bancario, le filiere agro-alimentari, il variegato arcipelago dei fallimenti, fino al ciclo dei rifiuti: per non parlare delle relazioni «diagonali» tra politica, imprenditoria, alto funzionariato e giustizia.

L'ECO RADAR AVVERTITA IN PROCURA A TRENTO
Per di queste anomalie che ruotano attorno al potere veneto si sarebbe avvertita una sorta di risonanza radar anche alla procura della repubblica di Trento: competente per territorio per le eventuali condotte penalmente rilevanti dei magistrati veneti. Procura trentina dove le segnalazioni rispetto a comportamenti poco consoni di alcune toghe venete sarebbero giunte così copiose e fragorose tanto da far giungere echi di ogni tipo fino al Consiglio superiore della magistratura. E non è finita perché a Roma, dalle parti del Copasir, c'è chi teme che Mantoan, vista la delicatezza delle cariche rivestite, possa essere stato suo malgrado, a sua insaputa e come persona offesa chiaramente, oggetto di attenzioni particolari anche da parte di unità di intelligence straniere.

Al momento peraltro non è chiaro quale sia il peso del quadro investigativo in mano agli inquirenti. I quali rispetto alla vicenda Mantoan starebbero seguendo anche una serie di indizi, che come la indelebile bava una lumaca in moto da anni, portano molto indietro nel tempo. Ovvero si tratterebbe di fatti ed episodi accaduti tra la città del Santo e la sua «enigmatica provincia»: una vera e propria «scia patavina» i cui anfratti sarebbero ignoti a molti, «ma non a tutti».

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