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L'ombra «di Nato» e «Pentagono» sulla stretta ai Pfas: necessari per le «armi 4.0»

Mentre alcuni tra governi e amministrazioni regionali cercano di limitare la produzione dei derivati del fluoro, il cui sversamento nel Veneto centrale ha dato origine all'affaire Miteni, negli Usa la Difesa fa lobbying sul Congresso. Il motivo? L'obiettivo è quello di ridurre al minimo i vincoli sulle imprese e sulla chimica. In caso contrario, si legge in un dossier indirizzato ai deputati, la progettazione e il commercio di ordigni speciali come missili ipersonici e cannoni laser potrebbe avere contraccolpi pesanti: ma lo scudo auspicato per l'industria militare e più in generale per il comparto strategico è molto più ampio

Non più tardi di ieri 20 dicembre negli Usa lo Stato di Washington, uno dei più grandi della costa pacifica, ha avviato il dibattito pubblico sul percorso normativo e regolatorio teso a limitare l'utilizzo nell'industria dei temibili derivati del fluoro: i Pfas. Questi ultimi in Italia sono stati prodotti per anni dalla Miteni a Trissino nell'Ovest vicentino. La società oggi fallita è finita al centro di un maxi processo per disastro ambientale, il più grave al mondo nel suo genere. Ad ogni modo la discussione avviata dal ministero dell'ambiente a Olympia nell'ambito delle politiche distillate dal gabinetto capitanato dal governatore democratico Jay Inslee potrebbe fronteggiare una incombenza non da poco. A livello federale il Dipartimento della difesa in un dossier consegnato al Congresso degli Stati uniti nell'estate del 2023, pur ammettendo la pericolosità di questi composti chimici, spiegava che una stretta sull'uso di questi ultimi avrebbe potuto pregiudicare persino «l'interoperatività» tra «il Pentagono» e «la Nato». Un riflesso italiano, veneto e vicentino di questo stato di cose era già stato oggetto di una lunga disamina da parte di Vicenzatoiday.it in un servizio pubblicato l'11 dicembre.

LA NOVITÀ
Nello Stato di Washington da oggi fino al 5 di febbraio i cittadini, le associazioni e i portatori di interesse sono chiamati a dire la loro su un rapporto realizzato dalla stessa amministrazione nella capitale Olympia. Un rapporto che soffermandosi in genere sulla tossicità dei Pfas punta molto la sua attenzione sul tema nocività delle schiume anti-incendio.

IL CONTRIBUTO DELLO STATO DI WASHINGTON: OLTRE 295 PAGINE
In quella relazione di 296 pagine firmata dalla dirigente Katrina Lassiter, responsabile del «Programma per la riduzione di reflui e rifiuti tossici nonché pericolosi», viene descritta una panoramica sull'impiego di queste sostanze artificiali (diffuse ormai in quasi ogni campo produttivo) in una con le interferenze negative di queste ultime con l'ambiente e di conseguenza con la salute degli esseri viventi.

TRACCIAMENTO E MARCATURA DELLA FILIERA
Di più, in quella relazione scritta prendono corpo, ora allo stadio di ipotesi, forme alternative di smaltimento anche in relazione ad alcune tecnologie «emergenti» che potrebbero prestarsi ad una sperimentazione. Ma c'è di più, Lassiter suggerisce anche una serie di accorgimenti regolatòri (marcatura della produzione, date base di riferimento, tracciamento dei trasporti) in maniera da rendere sempre ricostruibile la filiera delle sostanze e la loro presenza nelle matrici ambientali.

Chiaramente quel documento non è che l'abbrivio di un percorso partecipativo, che con le debite differenze, assomiglia un po' a quello che succede in Svizzera o in Francia col «débat public» per quanto concerne la realizzazione di grandi infrastrutture. O che assomiglia  a quanto accade in Italia quando i comuni prima di approvare una delibera in materia urbanistica aprono alla cittadinanza la fase delle osservazioni.

LA SCALA DELLE NORME
Questo tipo di confronto, mutatis mutandis, da tempo è in corso in Europa, in Italia e anche nel Nordest. Sempre in tema di Pfas il Veneto per esempio, pur con tutta la prudenza del caso, ha dato vita ad una serie di norme più stringenti di quelle di altre regioni. Tuttavia ipotizzare una stretta alla produzione industriale si è dimostrato sempre problematico. Restrizioni di questo tipo possono essere decise dai comuni intervenendo sulle norme tecniche di attuazione dei piani regolatori. Molti vincoli possono giungere dalle regioni quando queste deliberano in materia di ambiente e urbanistica. E chiaramente può essere il Parlamento a dire la sua: Montecitorio e palazzo Madama infatti, a livello nazionale, hanno la più ampia potestà legislativa in materia. Lo stesso dicasi per l'Europa: sia la Commissione a Bruxelles sia lo stesso parlamento a Strasburgo hanno un potere di disciplina enorme.

SOFT POWER INELUTTABILE? UNA STORIA DI INGERENZE
Epperò, come illustrato giustappunto da Vicenzatoday.it all'inizio di dicembre, ogni volta che all'orizzonte si materializza una stretta normativa di qualsiasi genere in materia di  Pfas, puntualmente si materializza pure (e senza sconti) il soft power dei governi, delle istituzioni, del settore produttivo o della finanza, fino alle ingerenze del complesso militare industriale. Il che dimostra «il valore strategico de facto incommensurabile della posta in palio»: una condizione che a più riprese ha spinto una parte della galassia ecologista a parlare della industria chimica legata ai Pfas «come di una industria di Stato i cui contorni reali sono o sfumati o occulti». Questo chiaramente vale per il campo occidentale, ma pure per quanto riguarda tutte le altre potenze del pianeta a partire da Cina e Russia.

QUESTIONE DIRIMENTE
La questione non è di poco conto: anzi è dirimente. Giusto per avere un'idea di come «il Pentagono» abbia a cuore le implicazioni militari della partita in corso (un Pentagono che per vero mai sminuisce la portata dei problemi ambientali e di salute legati ai derivati del fluoro) la mera realizzazione del rapporto consegnato al Congresso nell'agosto del 2023 è costata ben 90mila dollari: questa almeno è la stima citata in una noticina presente in calce in prima pagina.

CONSIGLI PER I DEPUTATI
E tanto per avere una idea di massima di come la Difesa Usa non veda di buon occhio possibili restrizioni alla produzione o alla lavorazione dei derivati del fluoro basta una scorsa a quanto viene detto a pagina 19. «In materia di Pfas le novità in ambito normativo in via definizione - si legge - sono ampie, non prevedibili, mancano della specificità del rischio individuale dei Pfas rispetto al loro utilizzo e in alcuni casi avranno impatti indesiderati sulle dinamiche del mercato e sulla catena di approvvigionamento, con conseguente perdita di accesso agli usi mission-critical dei Pfas».

«MISSION-CRITICAL»
Nel gergo militare anglosassone la dicitura «mission-critical» è riferibile a quelle missioni il cui fallimento può generare danni ingentissimi ad un dato sistema o addirittura danni irreparabili. Detto alla grossa si tratta di interessi che la macchina strategica americana non può fare a meno di coltivare col massimo dell'ambizione. E ancora, sempre lo stesso rapporto prosegue così. Ove limitazioni di questo tipo si materializzassero, sul mercato si dovrebbe fronteggiare «un impatto su molti settori delle infrastrutture critiche statunitensi, incluso, ma non limitato, alla base industriale della difesa».

PRESSIONE AGLI ALLEATI? UNA LETTURA TRA LE RIGHE
Poi Washington, basta leggere tra le righe, non nasconde un monito ai partner internazionali, alleati in primis. Tanto che l'analisi prosegue senza tentennamenti. «Collettivamente, le azioni normative internazionali e statunitensi sia per gestire gli impatti ambientali dei Pfas sia per identificarli ed eliminarli dal mercato, in una con le eventuali mutazioni imposte al mercato stesso, pongono rischi per le operazioni del Dipartimento della difesa nonché per la catena di approvvigionamento della base industriale della difesa» stessa. Appresso c'è una annotazione che riguarda le forniture militari Usa all'estero: un ambito che in questo momento vede l'industria nordamericana e non solo impegnata non poco nei confronti di Ucraina e Israele. «Gli impatti sulla catena di fornitura globale di Pfas - si legge - presenteranno rischi per il programma di vendite militari estere del Dipartimento della difesa e per l'interoperabilità dell'Organizzazione del trattato del Nord atlantico» ossia della Nato.

UN PESO SPECIFICO NOTEVOLE
È chiaro che il peso specifico del Dipartimento della difesa, che nell'estate del 2023 agiva de facto come frontman di una più vasta rete lobbistica durante una interlocuzione alla camera bassa degli Stati Uniti è un dato di fatto. La cosa non è una novità ed è peraltro una condizione intrinseca agli stati stessi che poi altro non sono, tra le altre, che il tentativo di concertare più interessi particolari alle volte legittimi alle volte meno. Epperò da un punto di vista più generale rimane ancora da capire quanto questo tipo di pressione abbia riscontro all'estero e quanto effettivamente possa avere successo rispetto alle richieste della galassia ambientalista e di quei governi (spesso divisi al loro interno) che invece chiedono norme più stringenti.

INNEGABILE SINCRONISMO
Ebbene, da un punto di vista della tempistica è innegabile che l'iniziativa tesa a impedire norme più stringenti in tema di Pfas in Usa trovi un parallelismo perfetto col colpo messo a segno dal presidente francese Emmanuel Macron nei confronti della Ue: il che è avvenuto sempre sul crinale dell'estate 2023. Ne ha parlato Vicenzatoday.it, ne ha parlato il britannico Guardian, ne hanno parlato altre testate fra cui Il Salvagente.

VETTORI FUTURISTICI MA NON TROPPO
Ora se si compulsa il documento del Pentagono sono cinque gli ambiti della produzione o  bellica o a doppia valenza che vengono considerati cruciali. Uno, lavorazione di minerali specifici non estratti negli Usa; due, pressofusione, lavorazione e forgiatura ad alta intensità di leghe e metalli specifici per la realizzazione di componenti chiave; tre, microelettronica e semiconduttori; quattro, batterie ad alta capacità specie al litio; cinque, missilistica tradizionale, missilistica in via di progettazione o sviluppo come i missili ipersonici (di cui tanto si è parlato nel conflitto russo-ucraino), nonché armi ad energia diretta come raggi laser, cannoni sonici, cannoni a micro-onde e cannoni a particelle, unità robotiche. In alcuni casi si tratta di armi in fase di progettazione: in molti altri di sistemi d'arma già prodotti: in questo ambito la pubblicistica è vastissima. I sistemi più avanzati, specie negli ambineti del pacifismo, assumono spesso il nomignolo di «armi 4.0».

QUALI PRIORITÀ? L'INPUT DELLA CASA BIANCA
Peraltro ad identificare le priorità per lo sforzo bellico americano, tra le mura della Casa bianca, era stato il presidente democratico Joe Biden in persona in una col suo gabinetto. Si tratta di una traiettoria ben identificata in un paper diffuso nel 2022 e firmato dal vicesegretario alla difesa la democratica Kathleen Hicks. Il rapporto Hicks peraltro viene richiamato papale papale in quello consegnato al Congresso nel 2023.

IL MONITO DI BILOTT
Ad ogni buon conto a fine maggio Robert Bilott aveva lanciato un monito una volta guinto in terra berica. L'avvocato americano Bilott, che ha costretto le multinazionali della chimica Usa a patteggiare somme miliardarie, era infatti a Vicenza per testimoniare al processo Miteni, la ditta di Trissino che da anni è al centro dello scandalo legato ai Pfas: attualmente il più grave al mondo nel suo genere. Quest'ultimo nel Veneto centrale ha colpito Veronese, Vicentino e Padovano interessando una popolazione esposta che ha raggiunto quota 350-400mila.

LO SCONTRO SUGLI AIUTI DI STATO A CHI INQUINA
Proprio dalle colonne di Vicenzatoday.it Billot si scagliò contro l'ipotesi paventata dal presidente Biden di stanziare, con l'obiettivo delle bonifiche, aiuti di Stato nei confronti di quei colossi della chimica accusati di avere inquinato, direttamente o meno, i suoli di mezza America. La bonifica, sostiene Bilott, deve essere pagata dalle multinazionali che in questi hanni con la chimica in genere hanno registrato grandissimi profitti. Peraltro quella proposta del presidente della superpotenza statunitense si andava materializzando quasi contemporaneamente alle pressioni esercitate dal Pentagono sul Congresso e quasi contemporaneamente a quelle esercitate da Macron sulla Ue. Rimane poi da capire se il rapporto prodotto dal Pentagono possa contenere anche alcuni argomenti civetta o «false flags» come dicono gli anglosassoni: magari pensati per spingere verso l'obsolescenza qualche categoria di sostanze e per spingere sul mercato, di contro, altri composti in via di sperimentazione avanzata da parte dei colossi della chimica. 

ZANELLA PRONTA A INTERROGARE PICHETTO FRATIN
Se la manovra sia stata concertata o meno potrà dirlo solo la storia politica del globo, qualche scoop giornalistico o qualche sortita in stile Wikileaks. Ad ogni modo quando Vicenzatoday.it, per il caso italiano, aveva preconizzato la possibile esistenza di un segreto militare in materia di Pfas, la rete ecologista del Belpaese aveva cominciato a porsi degli interrogativi. Alcuni sono stati fatti propri a Montecitorio dalla deputata di Europa verde Luana Zanella. La quale recentissimanete ha spiegato che sulla vicenda sta per ultimare una interrogazione parlamentare da indirizzare al ministro dell'ambiente Gilberto Pichetto Fratin.

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