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Lunedì, 29 Aprile 2024
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Pfas e veleni? Bilott contro Biden: no al salvataggio pubblico «per le corporation che hanno inquinato»

L'avvocato americano, noto per la sua battaglia contro i derivati del fluoro, durante la sua trasferta italiana ha definito «drammatica» la dimensione del problema non risparmiando bordate alle compagnie, alla politica e perfino all'inquilino della Casa bianca

Se non è una star poco ci manca. Ma comunque Robert Bilott, una sorta di spauracchio delle multinazionali, è conosciuto in mezzo mondo per essere l'avvocato che ha obbligato il colosso della chimica DuPont alla resa nell'ambito di un processo civile avviato da alcuni residenti tra Ohio e West Virginia. Ovviamente non c'è solo l'ammontare della transazione stragiudiziale, attorno agli 800 milioni di dollari, ad avere dato notorietà al professionista nato nel 1965 a Albany nello Stato di New York. Nel tempo a parlare di lui sono stati i libri, i premi, gli articoli delle più prestigiose testate del mondo: fino ad Hollywood che ha raccontato le gesta di Bilott in un film, «Cattive acque», un legal thriller ben apprezzato dalla critica, in cui all'attore americano di origini italiane Mark Ruffalo era toccato il compito di dare corpo sulle scene al personaggio di Bilott. Che per inciso in quel film recita pure in breve cameo.

SALUTE A RISCHIO: PATOLOGIE DIETRO L'ANGOLO
Il problema di fondo che è che i Pfas, sostanze artificiali, sin da i primi studi sono stati riconosciuti come tossici. E man mano che gli studi procedono maggiori sono le evidenze che si stratificano: interferenza con gli ormoni, ipercolesterolemia, aumento delle probabilità per gli individui venuti in contato con questa sterminata famiglia di composti di incappare in un ictus, in un tumore, in una patologia autoimmune, senza contare l'infertilità maschile e gli aborti indotti per le donne: questi sono i riscontri via via messi in fila dagli scienziati nel tempo dei quali il legale ha parlato durante una trasferta in Italia che per certi versi è stata una vera e propria sgroppata. Che oltre la capitale ha toccato molte città del Veneto: da Vicenza a Lonigo fino a giungere ad Arzignano. Tanto per rimanere in terra veneta la presenza dei Pfas nell'ambiente, denunciano gli attivisti che menzionano alcuni studi scientifici, è divenuta il quinto fattore di rischio per la popolazione. La contamianzione da Pfas, addebitata alla Miteni di Trissino nell'Ovest vicentino, ha colpito almeno 350mila persone in tutto il Veneto centrale tra Veronese, Vicentino e Padovano.

Tuttavia la storia di Bilott ha fatto in qualche modo scalpore perché per diversi anni quest'ultimo aveva difeso proprio le corporation in un importantissimo studio legale associato: multinazionali che come è noto dispongono di risorse nemmeno comparabili con le pochissime in mano ai privati cittadini. Peraltro Bilott, che non ha caso ha anche una specializzazione in scienze urbanistiche, nelle battaglie condotte negli Usa ha spesso focalizzato la sua attenzione sulla necessità per i residenti delle comunità «di fare rete dal basso», proprio per far valere le proprie istanze anche perché la politica spesso «è prona rispetto alle pressioni delle imprese».

DA ROMA AD ARZIGNANO
Questo è stato uno dei passaggi ribadito a più riprese dall'avvocato durante un incontro pubblico organizzato due giorni fa al teatro Mattarello di Arzignano, in quell'Ovest vicentino dove il peso della chimica e della concia da anni sferza senza sosta l'ambiente e la salute delle persone. Il legale americano, chiamato nel Belpaese dalla rete ambientalista del Nordest, ha passato una settimana «fittissima di eventi» fatta di incontri pubblici, di conferenze all'Università di Padova, di passaggi alla Camera dei deputati, di interviste con la stampa, con una incombenza obbligata al tribunale di Vicenza come testimone del processo Miteni-Pfas, ieri 28 maggio è ripartito alla volta degli Stati Uniti.    

DAL VENETO ALL'OHIO
Ma durante sette giorni passati ad ascoltare attivisti, ad incontrare semplici cittadini qual è stata la sua impressione rispetto alla sua trasferta nel Belpaese? «Ho potuto constatare da vicino - spiega il professionista di Cincinnati in Ohio - la gravità della situazione per quanto riguarda contaminazione da Pfas nel Veneto. Si tratta di qualcosa dalle dimensioni difficilmente calcolabili». Parole precise nelle quali si scorge più di un parallelismo tra quanto accaduto in Italia e quanto accaduto Oltreoceano. «Nel mio Paese il problema era venuto a galla una decina di anni prima di quanto non accadde in Italia nel 2013. Però, un po' ovunque nel mondo, con la presa di coscienza dei cittadini le cose stanno cominciando a cambiare. Quello che sta succedendo nel Veneto per me è fonte di grande speranza e direi di ispirazione. Si è messo in moto un meccanismo importante. Siete solo all'inizio ma le cose stanno cominciando a cambiare. Ci vorrà molto tempo però». Questo il concetto rimarcato a più riprese da Bilott al teatro Mattarello di Arzignano, centro principale del comparto chimico-conciario dell'Ovest vicentino.

Durante quella serata Bilott aveva parlato anche della stampa che «in mezzo mondo ha dato molto spazio al problema». Negli ultimi anni e soprattutto durante gli ultimi mesi «molti media hanno reso bene le dimensioni di un problema enorme che si presenta sempre con la medesima matrice» rispetto ad una situazione oggi si può definire «drammatica».

CHI INQUINA DOVREBBE PAGARE: MA C'È IL «GIOCO SPORCO DELLE MULTINAZIONALI»
Ma come mai? «In tutto il mondo ci sono poche compagnie - fa sapere Bilott - che sono state autorizzate a produrre o lavorare queste sostanze derivate del fluoro, i Pfas. Queste industrie hanno pesantemente inquinato l'ambiente. La sfida ora è obbligarle a pagare per quanto hanno inquinato e per gli effetti sull'ecosistema e le popolazioni. Chiaramente governi e regolatori in giro per il mondo non facilitano questo percorso che è assai impervio di per sé, anche perché le pressioni delle lobby industriali sono evidenti». Il campo è minato. E l'avvocato fa un esempio preciso: «Pensiamo a quanto accaduto negli Stati Uniti. Di recente è stato Joe Biden, il presidente americano in persona, a descrivere in maniera eloquente la situazione dell'inquinamento che riguarda parecchie aree del nostro Paese. Il nostro presidente però - rimarca il legale - ha proposto di usare il budget federale per le bonifiche. Non va bene».

Il motivo è presto detto. «Mi pare ovvio: chi inquina deve pagare. Chi ha fatto profitti enormi sulle spalle dell'ambiente e della salute dei cittadini deve pagare. Non è pensabile che a pagare le bonifiche siano i contribuenti: per non parlare di quei contribuenti che hanno patito la contaminazione da Pfas. Ed invece noi ci troviamo di fronte ad una serie di manovre da parte delle corporation che vanno nella direzione opposta». Questa condotta, definita dagli attivisti della rete ecologista come «un gioco sporco da parte delle multinazionali», Bilott la aveva messa nel mirino anche davanti ad una trentina di studenti dell'Università di Padova che a metà settimana avevano assistito, proprio nella città del Santo, ad un simposio organizzato per parlare dell'argomento.

SCHEMI SOCIETARI, SCHERMI E PARADISI FISCALI
Ma quella dei colossi della chimica è solo una tattiche dilatoria? L'avvocato di Cincinnati, che conosce bene le tattiche adoperate dalle imprese non si nasconde dietro ad un dito. «C'è molto di più. Le imprese che hanno inquinato - spiega ai taccuini di Vicenzatoday.it - spesso cercano di sottrarsi alle loro responsabilità col fallimento o con la bancarotta. Poi c'è chi scherma i capitali che dovrebbero essere aggrediti ai fini della bonifica grazie a schemi societari complessi o ricorrendo ai paradisi fiscali. Ripeto questa sarà una delle sfide del futuro. Far pagare chi ha inquinato in ogni parte del mondo in cui la cosa sia avvenuta».

E ancora: «Quando anni fa la 3M, la società che per prima sviluppò i Pfas, si accorse della loro tossicità specie sui lavoratori, ad un certo punto decise che per evitare di incappare nelle maglie dei regolatori pubblici, che magari avrebbero potuto introdurre limiti seri alla produzione o agli scarichi o alla presenza nelle matrici ambientali, decise di dismettere quelle produzioni. Che a quel punto furono ereditate da altri colossi come la DuPont o la Miteni di Trissino, che è al centro del processo al tribunale di Vicenza che tutti conoscono. Ebbene mentre il problema della contaminazione cresceva nelle sue dimensioni la DuPont ha dato vita ad uno spin-off. Cioè ha creato una nuova società cui ha conferito la produzione dei Pfas. Questa società è la Chemours. Però non l'ha dotata della forza finanziaria sufficiente ad affrontare i costi delle bonifiche e di eventuali cure per chi le necessita. E questo schema si ripete spesso in giro per il mondo». Mutatis mutandis, il riferimento al caso Miteni, poi fallita, per chi vuole coglierlo non è affatto velato.

BAILOUT INDIGESTO
Però negli Usa un eventuale intervento pubblico «non viene ben visto». Si tratterebbe de facto «di un salvataggio», un «bailout» come lo chiamano gli anglofoni, assai simile a quello che fu messo in campo per salvare alcune corporation finanziarie e assicurative al tempo del grande collasso economico del 2008. E la cosa «sta andando di traverso» ad una parte dell'opinione pubblica americana.

CAUSE CIVILI ANCHE NEL VENETO? «LE CARTE CI SONO»
Bilott, tra l'altro negli Stati Uniti è conosciuto per aver patrocinato i residenti di alcune regioni finite in causa con alcune corporation. L'obiettivo di quelle cause era chiaramente anche il risarcimento da parte del soggetto ritenuto responsabile. Ma ci sono gli spazi, anche nel Veneto, per una maxi causa civile contro i responsabili del disastro e eventualmente contro quelle autorità pubbliche che non avessero sufficientemente vigilato? Il tema è ancora di strettissima attualità.

«Io - spiega Bilott - non conosco a sufficienza il codice civile italiano per poter dire se ci sia lo spazio, per esempio, per una causa collettiva o per un altro tipo di azione giudiziaria. Dico solo però che le carte ci sono. Il materiale probatorio raccolto durante il processo penale in corso a Vicenza è così vasto e circostanziato da permettere a qualsiasi avvocato, interpellato da un eventuale soggetto danneggiato, di valutare se procedere o meno con una causa di peso. Ad ogni modo che si tratti di cause collettive o che si tratti di pressioni da esercitare sui regolatori, sono le comunità che debbono far sentire la loro voce e la loro forza. Non importa se siano piccole o grandi, locali o nazionali, l'importante è fare rete con costanza e con passione». Dalla valle del Chiampo gli fa eco il medico Giovanni Fazio, volto storico della associazione ambientalista arzignanese Cillsa: «Noi non staremo con le mani in mano».

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