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Cronaca Trissino

Miteni, l’aspirante compratore è un fallito

Dalle carte depositate in tribunale emergono alcuni possibli compratori: c’è il colosso indiano e una finanziaria inglese col presidente italiano coinvolto in un crac in Lombardia

Da poche ore la Miteni deve fronteggiare le incognite che derivano dal clamoroso fallimento che il tribunale berico ha decretato nei confronti della società trissinese, da mesi al centro dell’affaire Pfas. In queste ore l’ormai ex amministratore delegato Antonio Nardone, si dichiara comunque fiducioso perché una nuova cordata potrebbe subentrare al vecchio socio, ovvero la holding germanico-lussemburghese Icig. Ma chi ci sia dietro questa fantomatica cordata lo potrà appurare solo il curatore fallimentare. Il quale comincerà materialmente a gestire l’impresa solo dopo che, come dettato dalla legge, il management uscente fra tre giorni avrà depositato alla cancelleria del tribunale i bilanci aziendali.

GLI INDIZI

Il raggruppamento che vorrebbe rilevare la Miteni in tutto in parte esiste davvero? Al di là delle dichiarazioni di Nardone le carte mostrano alcuni indizi che comunque dovranno essere vagliati nel proseguo della vicenda. Se si legge infatti l’istanza di proroga della richiesta di concordato che i legali di Miteni hanno presentato in data 11 settembre 2018 al tribunale di Vicenza, quando il fallimento, almeno a parole sembrava solo una remota ipotesi, qualche spunto è giustappunto riscontrabile.

INDIANI E ITALO INGLESI TRA I POSSIBILI COMPRATORI

In quel documento firmato dagli avvocati Lara Meneghello e Riccardo Canilli si fa riferimento ad una «proposta di Aarti industries» ed una «manifestazione di interesse di K Capital Investment». Aarti industries è un gruppo indiano quotato alla borsa nazionale di Mumbai in borsa che stando  al report della Reuters vanta un fatturato di 400 milioni dollari. La corporation focalizza principalmente il suo business nell’ambito chimico e farmaceutico. Più articolata è invece la posizione di «K Capital investment Ltd». Si tratta di una finanziaria con base a Londra che sul portale societario spiega di essere alla ricerca di «emozionanti opportunità di lavorare con imprenditori ed esperti di settore». Lo stesso gruppo sostiene di avere investimenti in corso in mezzo mondo tra Europa, Asia ed «Estremo oriente» (anche se l’Estremo oriente è di per sé in Asia per essere precisi) per «oltre cento milioni di euro».

LE DÉFAILLANCE DI LORD PINCIROLI

Ma chi è il dominus di K Capital investment? Sempre stando al portale societario il presidente della compagnia è tale Matteo Pinciroli: nome peraltro preceduto dalla parola «Lord»: anche se non si capisce se sia un titolo nobiliare o un nickname più o meno auto-assegnato. L’uomo è noto alle cronache per i suoi trascorsi politici. Nel 2018 si è infatti candidato per la coalizione di centrosinistra in appoggio al Pd nel collegio plurinominale di Cremona-Mantova con un raggruppamento legato all’ex ministro della sanità  Beatrice Lorenzin, ovvero Civica popolare.

Il Fatto quotidiano in un servizio del del 2 marzo di quest’anno (una sorta di vadememecum ai candidati non proprio presentabili) lo descrive così: «Imprenditore nel Milanese, dichiara fallimento e sparisce senza pagare i debiti. Si candida lontano dal suo territorio di residenza, dove tutti lo cercano. Invano». Nemmeno Bergamo news, ad aprile di quest’anno, nel raccontare i rovesci societari dell’allora 39enne Pinciroli non è molto tenero : «Dalle maglie dell’Atalanta alle aule giudiziarie. Il passo è stato breve per la Tws ex main sponsor dell’Atalanta, dichiarata fallita dalla sezione fallimentare del Tribunale di Milano, lo scorso 9 febbraio. L’esame dello stato passivo sarà discusso, nel prossimo mese di giugno, dal giudice delegato del fallimento, la dottoressa Caterina Macchi». E ancora: «L’azienda di Busto Garolfo, in provincia di Milano, che si occupava di produzione di resine e poliuretani chimici per il settore tessile, e non solo, è di proprietà del gruppo Xenturion holding dell’ingegnere chimico Matteo Pinciroli, imprenditore specializzato nel settore delle concerie. Il 39enne bustese è stato sponsor dell’Atalanta, del Legnano Basket e della Serie A femminile di calcio».

GIUDIZIO SPREZZANTE DAL PRESIDENTE DEL BRESCIA CALCIO

Sprezzante poi è il giudizio di Giuseppe Cesari, presidente del Brescia calcio femminile, club che avrebbe dovuto godere della sponsorizzazione griffata Pinciroli. Le sue parole sono riportate sempre da Bergamo News: «Quando la scorsa estate con enfasi e trionfalismo furono presentati i calendari sotto l’egida del nuovo main sponsor..., I Dolci Sapori (ndr: posseduta da Xenturion Holding), il giorno successivo il mio direttore sportivo scaricò una semplice visura camerale con i bilanci degli ultimi tre anni...». Un report dal quale emergeva che, come narra Livio Casanova proprio su Bergamo News e come viene, tra l'altro, riportato sul portale della squadra femminile,  «il main sponsor ha debiti quasi come il fatturato, è una realtà poco capitalizzata, con pochissimi crediti..., inoltre vi erano altri dati tecnico-fiscali imbarazzanti... ll succo del discorso era: un franchising di pasticcerie di Busto Garolfo sull’orlo del fallimento, in perdita costante, che speranza di investimenti poteva dare al calcio femminile italiano?».

Capire se questa realtà imprenditoriale claudicante sia stata davvero presa in considerazione e soprattutto capire come mai la compagnia inglese si sia fiondata nell’affare Miteni con tutti gli oneri, bonifica in primis, che i nuovi acquirenti dovranno affrontare per risalire la china, sarà argomento delle settimane a venire. Certo è che i legali di Miteni hanno ben pensato di riportare quel nome in quella istanza. Quali accertamenti abbiano preventivamente svolto, al momento non è dato sapere. Come non è dato sapere se sia fondata o meno l’indiscrezione secondo cui Unichimica (la società delle forniture per il comparto tessile e conciario riferibile all’ex senatore del Carroccio Alberto Filippi) sia intenzionata a far parte della cordata di nuovi compratori. 

La replica dell'avvocato Campanino

LO SCENARIO

Ad ogni buon conto la partita sul futuro aziendale è tutta in salita. Anzitutto i lavoratori sono sul piede di guerra. Il fallimento maturato ufficialmente oggi, oltre ad essere l’antipasto per una perdita definitiva del posto di lavoro, aggiunge sale sulla ferite dacché c’è il rischio concreto che non siano pagati gli stipendi nonché gli arretrati reclamati da sindacati e dipendenti in una con una serie di investimenti da porre in essere «da subito» per fare in modo che il luogo di lavoro non diventi una sorta bomba chimica ad orologeria temibile non solo per le maestranze, ma anche per chi vive nei dintorni visto che Miteni è una azienda ad altissimo rischio ambientale.

Spegnere gradualmente l’impianto (procedura nota col termine di decommissioning) abbisogna della presenza delle maestranze aziendali per almeno due mesi e mezzo. Il che, a spanne, richiederebbe un monte stipendi mensile pari a circa mezzo milione di euro che però oggi in cassa non ci sono, tanto che gli operai da giorni fanno sapere che non sono disposti «a rischiare la salute, la pelle o il salario per colmare i guai generati da altri». L’altro fronte caldo è la presenza della barriera idraulica. Si tratta di un sistema di filtraggio operato dalla Miteni il quale, detta alla grossa, rende possibile che la contaminazione del sottosuolo non si aggravi.

DUBBI IRRISOLTI

Questo sistema, tra gestione, filtri, energia elettrica, ha dei costi. Che non sono smisurati come quelli della bonifica ma che comunque ci sono. Chi si prenderà carico di tutte queste incombenze? Gli eventuali compratori, sempre che ci siano, acquisiranno tutto il pacchetto? O preferiranno lasciar fuori quella parte del business più rischiosa, ovvero quella che h anel ventre gli oneri stellari della bonifica e probabili richieste di risarcimento? Il tribunale, competente per il fallimento, e la procura della repubblica, competente per l’inchiesta penale in corso sulla Miteni, come vigileranno su questa fase cruciale dell’affaire Miteni?

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