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Caso Miteni, dalla politica «pressioni sui vertici Arpav» per depotenziare gli accertamenti

La denuncia è contenuta in un dossier al vetriolo pubblicato sul portale della rete ecologista Pfas.land. Nel mirino finiscono anche anche Confindustria e Genio civile. E Peruffo accusa: «Che fine ha fatto l'indagine amministrativa sull'agenzia ambientale?»

I massimi dirigenti di Arpav avrebbero avuto o potrebbero avere avuto precise responsabilità nell'ambito degli accertamenti finiti fuori bersaglio per quanto concerne la vicenda Miteni. Per di più il loro operato sarebbe in qualche modo stato compresso perché avrebbero avuto «le mani legate dalla politica e dalla Confindustria». È questa la conclusione shock alla quale giunge Alberto Peruffo, uno dei volti più noti della rete ambientalista vicentina in un dossier sull'Affaire Pfas pubblicato ieri sera sul portale ecologista Pfas.land. Peruffo spiega che questo quadro sarebbe emerso dalle risultanze emerse dai lavori della commissione bicamerale Ecomafie e da quelli della commssione speciale Pfas istituita dal Consiglio regionale del Veneto. Più nel dettaglio nel mirino del dossier di Peruffo (sono trenta pagine dattiloscritte) finiscono «Miteni, Confindustria», la politica genericamente intesa, «la Regione, i dirigenti di Arpav, il Genio civile», che è una articolazione regionale come Arpav del resto» nonché i sindaci del comprensorio al cui centro si trova appunto la trissinese Miteni.

DATI POCO ACCESSIBILI
«Noi - scrive l'attivista - difendiamo il lavoro degli operatori Arpav», lavoro che sul campo «ci ha permesso​ di avere i dati a nostra disposizione, ma non quello di dirigenti che hanno un nome e un cognome, e per responsabilità dei quali​ certi dati non sono stati fatti circolare o, peggio, hanno ​dato o non dato direttive​ per mettere in atto ricerche necessarie per tutelare la popolazione» poi colpita da una maxi contaminazione da derivati del fluoro, i Pfas, al centro di uno scandalo di portata nazionale.

IL COMMISSARIO STRAORDINARIO
Tra i tanti passaggi che pesano come macigni ce n'è uno in cui vengono menzionate le parole di Riccardo Guolo, commissario straordinario di Arpav. L'argomento è quello delicatissimo, uno dei veri tabù dell'affaire Pfas, della ragioni che hanno indetto la Regione a non scegliere una caratterizzazione stretta e rapida dell'inquinamento dentro e fuori la fabbrica. Detto in altre parole la commissione Ecomafie all'inizio di questa estate avrebbe chiesto al dottore Guolo quali fossero i motivi per cui gli enti coinvolti nella vicenda, (tra i vari Regione Veneto, Provincia di vigenza e Comune di Trissino) non avrebbero optato per una radiografia molto approfondita (anche con l'utilizzo di un numero elevato di carotaggi dentro la fabbrica) dello stato della contaminazione.

IL RACCONTO STENTATO 
Stando a quanto riporta Peruffo, Guolo lì per lì non sarebbe stato nemmeno in grado di spiegare in modo ageguato le motivazioni di una scelta così cruciale per i destini del Veneto centrale. L'attivista poi riporta la frase virgolettata che sarebbe stata estratta dal verbale, sintassi zoppicante inclusa: «... Perché non è stata fatta prima la maglia... la maglia sinceramente non lo so, ma possiamo procurare le motivazioni per cui sono state scelte, però devo dire la verità, Arpav ​non è sola dal 2017 nelle decisioni​, cioè noi siamo strumento tecnico operativo, ​ci dicono di andare e andiamo sostanzialmente​».

UNA SCOMODA VERITÀ
Sono parole, quelle di Guolo, dalla portata esplosiva non solamente perché potrebbero scatenare l'ennesima polemica sui vertici apicali delle agenzie regionali nonché sulle istituzioni: ma soprattutto perché dopo un racconto del genere «non si può escludere - rimarca Peruffo ai taccuini di Vicenzatoday.it - che su alcune articolazioni della Regione ci siano state pressioni politiche più o meno inconfessabili con la finalità di non dar corso alla promessa fatta inizialmente dalla giunta regionale affinché fosse valutata al dettaglio la situazione dell'inquinamento nel sito Miteni. Come? Con una serie di carotaggi a maglia strettissima che per settimane erano state il fiore all'occhiello delle promesse dell'esecutivo capitanato dal governatore leghista Luca Zaia. Promesse fatte proprie anche dall'assessore all'ambiente il leghista Gianpaolo Bottacin».

SUOLO MALATO, ACCERTAMENTI LUMACA
L'incertezza sulla caratterizzazione (che ad oggi non è ancora stata definita nel dettaglio) ha di fatto definito lo scenario nel quale Miteni è poi fallita. Gli attivisti infatti da mesi pongono tre domande: «Come mai le autorità non sono mai riuscite a definire al millimetro lo stato di salute dei terreni sotto la fabbrica? Perché tanto tempo è stato perso? Forse qualcuno aveva in mente il fallimento della Miteni in modo da evitare di pagare il conto dell'inquinamento?» Le domande non sono peregrine perché la procura in questo senso dopo la prima indagine sull'inquinamento causato «dai vecchi Pfas non più prodotti da lungo tempo», ormai prossima al processo, ha aperto altri due filoni: uno per presunta bancarotta fraudolenta e uno per gli sversamenti del C6O4 e del GenX. Queste ultime sono due sostanze cugine dei Pfas di generazione più recente. Anche se va ricordato in tal senso che le varianti Pfas prodotte nel mondo dall'industria chimica sono centinaia e centinaia. 

ESPOSTI IN SEDE PENALE
Ad ogni buon conto il filone più recente era stato aperto «anche in ragione degli esposti» presentati alla procura berica dalla associazione ambientalista Greenpeace la quale, ed in qualche modo il cerchio si chiude in questo caso, aveva chiesto di valutare anche eventuali comportamenti penalmente rilevanti in capo agli enti pubblici: un esposto consimile era stato indirizzato a Borgo Berga pure dall'avvocato Giorgio Destro per conto di un comitato ecologista padovano. Della cosa fra l'altro ne aveva parlato Vicenzatoday.it in un servizio del 7 agosto. 

PALAZZO BALBI NEL MIRINO
E così Peruffo, senza andare tanto per il sottile, punta l'indice sulla Regione Veneto per quanto riguarda le autorizzazioni concesse alla Miteni (una delle industrie chimiche più importanti dell'Ovest vicentino prima del tracollo economico) relativamente al trattamento proprio del C6O4 e del GenX. Detto in soldoni (la vicenda è già nota peraltro ed è stata sollevata a più riprese dai comitati, dal M5S, da alcuni ambienti del Pd). L'accusa è quella di aver autorizzato la ri-lavorazione di queste sostanze di scarto che giungevano a Trissino dai Paesi Bassi tra il 2014 e il 2017 senza poi andarle subito dopo a cercare nei reflui eventualmente dispersi nell'ambiente. Cosa che avrebbe permesso ulteriormente di aggravare l'inquinamento del Veneto centrale senza contare le possibili ricadute sulla salute dei residenti e sulla qualità dei prodotti coltivati nei distretti agricoli colpiti.

LA PREOCCUPAZIONE DI GREENPEACE
Tuttavia in queste ore non è solo Peruffo ad essere preoccupato. Anche Greenpeace non nasconde una certa ansia. «Nonostante tutte le notizie uscite sulla stampa in relazione al secondo filone d'inchiesta a noi non è ancora stato recapitato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari» fa sapere Alessandro Gariglio, avvocato del foro torinese che patrocina l'associazione ambientalista. Ma perché la cosa impensierisce il legale? Se l'avviso di chiusura delle indagini non verrà recapitato, Greenpeace potrebbe essere esclusa dal gruppo delle parti offese e anche da un eventuale processo. Si tratta di una eventualità che potrebbe scatenare polemiche a non finire (e non si potrebbero escludere ricorsi o segnalazioni alle autorità competenti): anche perché la legge da sempre consente alle associazioni che per statuto compendiano la tutela dell'ambiente di potersi costituire come parte offesa e poi parte civile in procedimenti che hanno al centro del contendere una serie di ecoreati.

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