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Lunedì, 29 Aprile 2024
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«Stampa di regime e poteri forti»: al Leone XIII Travaglio fa il tutto esaurito

Nella città palladiana il direttore del Fatto ritira «il Premio legalità» conferitogli dal Csi di Vicenza: da Biden «rimbecillito» ai «conflitti di interesse» che ammorbano il Belpaese il giornalista in oltre due ore di dibattito non ha fatto sconti a nessuno

Alla fine non lo mollavano più: tra autografi, selfie, dediche sulle pagine iniziali dell'ultimo libro di Marco Travaglio dedicato alla questione palestinese, il 59enne direttore de Il Fatto quotidiano ieri 12 febbraio al teatro del patronato Leone XIII di Vicenza, ha fatto registrare «il tutto esaurito». L'occasione era «ufficiale», quella della consegna al giornalista torinese del «Premio legalità» da parte della sezione vicentina del Centro sportivo italiano, il Csi, che ha dato vita ad una «cerimonia-dibattito», per la consegna di un riconoscimento che da anni ormai «è divenuta un appuntamento fisso». Però l'incontro, anche per le domande con cui Francesco Brasco, presidente del Csi, giornalista pure lui, ha stimolato Travaglio, si è trasformato immediatamente «in una effervescente panoramica sulla situazione: dell'Italia e non solo» fa sapere lo stesso Brasco.

LA SVENTAGLIATA
Dalla politica all'economia allo sport, ai media, Travaglio non ha fatto sconti. A più riprese ha denunciato i conflitti di interesse che «dai tempi dell'ex premier Silvio Berlusconi fino ai nostri giorni ammorbano» il Paese. «Le veline che arrivano ai giornalisti più o meno arruolati ossia embedded» che finiscono per dare una percezione della realtà «assolutamente falsata» sono lo specchio, questo il senso del j'accuse, dei malori dell'informazione.

Tanto che in pochi attimi in quel frangente il giornalista sventaglia una mitragliata di esempi tra «fake news di regime» e manifestazioni continue «di quel conflitto di interessi in capo ai proprietari dei mezzi di informazione che quasi mai sono editori puri e che quindi hanno agio che le loro testate non tocchino certe questioni delicate cui tengono molto». E poi via via scudisciando: «I giornaloni ci avevano detto che la Russia dopo aver aggredito l'Ucraina si sarebbe rotta le ossa e ne sarebbe uscita malconcia pure economicamente per via delle sanzioni e invece chi si impoverisce a causa delle sanzioni alla Russia e a causa del costo delle armi inviate a Kiev è proprio l'Europa». Punto e accapo.

«CI SPARIAMO NELLE PALLE SEMPRE DA SOLI»
Poi un altro esempio al vetriolo: «Prima l'Italia con la Iveco, per anni legata «alla famiglia Agnelli», vendeva i blindati Lince all'esercito russo con i quali Mosca ha portato le truppe in Ucraina. E adesso gli stessi blindati, caricando i costi sul budget nazionale, li vendiamo a Kiev. Insomma alla fine noi italiani ci spariamo nelle palle sempre da soli». In sala applausi e risate si susseguono a scroscio, ma molte fra queste ultime hanno «un retrogusto amaro perché le scelte sbagliate dei governi si ritorcono contro le fasce più deboli della popolazione» è il commento che circola al brucio tra gli oltre 450 spettatori («un tutto esaurito»), giunti da Vicenza, provincia e oltre.

VELINE DA REGNO UNITO E USA
Durante l'incontro, oltre due ore e mezzo senza una pausa, Travaglio non ha mai mollato l'osso tanto che le rogne che ammalorano la stampa sono divenute un refrain. Troppo spesso «i media mainstream si mettono a rimorchio delle veline» che puntualmente arrivano «dall'ambasciata britannica e da quella americana a Roma»: un riferimento per nulla velato alle pressioni che da anni il Foreign office dal Regno unito e il Dipartimento di Stato dagli Usa operano nei confronti dell'Italia non solo per le questioni geopolitiche.

ALLEATI O SUDDITI? GLI ITALIANI SI INTERROGANO
Un'Italia che ottant'anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale oscilla, nella percezione di sé stessa, tra alleato e vassallo degli Usa. In questo senso fra l'esternazione al Festival di Sanremo della comica Teresa Mannino e le rivelazioni fatte dalla giornalista Stefania Maurizi sul suo ultimo libro, è circoscritto il luogo dell'immaginario in cui gli Italiani si interrogano sul loro ruolo in Europa e nel mondo.

Interrogativi che pesano come macigni proprio sulla scorta degli scoop dell'attivista Julian Assange: che nella «democraticissima» e «liberale» America, «rischia 175 anni di galera solo perché facendo bene il giornalista, ha rivelato gli orrori americani nella guerra in Iraq», ha detto ieri con preoccupazione il 59enne. Un tema scottante che secondo lui è sparito dai radar di troppi giornalisti poiché scomodo per un alleato per così dire di peso come quello statunitense.

«PROSTRATI A DRAGHI»
Giornalisti arrivati ad un punto così basso, prosegue  l'ospite, «da concludere le conferenze stampa prostrati davanti all'ex premier Mario Draghi, non solo senza porre domande, ma addirittura con un applauso». E via con le legnate ai colleghi («coi quali condivido solo l'iscrizione allo stesso ordine professionale») che coi potenti di turno «al posto di usare la penna usano la lingua». Stampa, destra, sinistra, centro, istituzioni, economia e lobby: non c'è ambito della società che ieri non sia stato scandagliato dal sonar della prima firma del quotidiano romano.

LE SBERLE AI GIUDICI E LE LEGGI BAVAGLIO
Senza mai alzare la voce il direttore ne ha avute anche per la magistratura. «Un giornalista che fa bene il suo lavoro e che picchia duro dopo aver ben argomentato, magari facendo della sana ironia su questo o quel potente, non può essere condannato per diffamazione perché il giudice non ha capito la battuta». Si tratta di un altro bengala accesso su un problema irrisolto «di vastissima portata».

Una boutade che sintetizza bene il dissidio patito da quella parte del giornalismo italiano, che su posizioni simili a quelle del giornalista piemontese, contesta con le unghie e coi denti le storture delle leggi (o l'applicazione delle stesse) in tema di diffamazione, bavagli, lacci e vincoli di varia natura alla libertà di stampa.

Nel Vicentino peraltro l'argomento era stato affrontato dallo stesso Brasco nonché da chi scrive non più tardi del 20 gennaio. E così nel volgere d'un baleno tra gli spalti son partite gragnole in forma di brevi invettive contro «la stampa di regime e contro i poteri forti» che la alimentano.

CENSURA E AUTOCENSURA: INCOMBONO DUE SPETTRI
«Cercare di dire come stanno le cose nel modo migliore possibile è uno dei primi doveri del giornalista» ha detto ieri il direttore, aggiungendo che però, «oltre agli atteggiamenti intimidatori dei potenti, troppi giornalisti quando sanno qualcosa di rilevante non la scrivono. In questo senso - fa sapere lo stesso direttore - oltre alla censura mascherata bisogna tenere conto dell'autocensura le cui ragioni retrostanti sono tantissime».

Dalla tendenza di molti «direttori ed editori» a evitare i cronisti scomodi perché i loro approfondimenti possono divenire oggetto di querele o richieste di risarcimento inaudite, fino alla tendenza degli stessi editori a rinnovare i contratti, «perché ormai giornalismo è divenuto sinonimo di precariato», ai colleghi «che non portano rogne, che magari scrivono dando seguito ai desiderata dell'editore, del politico amico dell'editore o dell'imprenditore amico dell'editore».

POTERE, PUPARI E DEMENZA SENILE
E così l'ultima folata del Travaglio pensiero è andata all'azione delle lobby. «Il caso più eclatante è quello del presidente degli Stati uniti Joe Biden che a causa della incipiente demenza senile finisce per essere un pupazzo nelle mani di uno o più manovratori che nessuno conosce. L'elezione diretta del Capo dello Stato quindi - attacca il giornalista - davvero è garanzia per chi vota che chi si trova in quella posizione agisce perché è davvero lui il designato dall'elettorato?».

Una domanda retorica che non solo contiene una critica nemmeno tanto velata alla proposta della attuale maggioranza di centrodestra di eleggere direttamente il premier («una cosa che non esiste in alcun Paese al mondo»): ma che costituisce anche una sorta di ideale esortazione ai giornalisti ad avere la schiena dritta.

«IL PAZZO E IL RINCOGLIONITO»: GLI YANKEE AL BIVIO DELLA STORIA
Tuttavia un qualche barlume di resipiscenza l'ospite della serata lo vede proprio Oltreoceano «dove i cronisti hanno cominciato a trattare il democratico Biden come un rimbecillito perché questa è la condizione di uno degli uomini descritti tra i più potenti al mondo». Motivo per cui alle prossime elezioni presidenziali americane «se Biden si ricandida, con ogni probabilità, gli Usa dovranno scegliere tra un rincoglionito manovrato non si sa da chi e un pazzo come Donald Trump che è anche disonesto, che è pazzo sì ma non scemo: e se decide qualcosa, indipendentemente da cosa, sa quel che fa». Seguono risa e battimani.

LUCI SPENTE
Poco dopo salgono sulla scena la dottoressa Angela Barbaglio, già procuratrice a Verona, oggi garante dei diritti dei detenuti su incarico del Comune di Vicenza, nonché Enrico Mastella, delegato nazionale del Csi. I due assieme a Brasco, che ha moderato la serata, consegnano a Travaglio il premio della legalità. Il giornalista poi scende dal palco per autografare i libri dei suoi lettori.

Tra applausi, foto, battute e strette di mano la serata corre a rotta di collo come se non ci fosse un domani: fino a quando la garbatissima minaccia del gestore della sala di chiudere le porte con tutti dentro, convince l'uditorio a rompere le righe in una nottata vicentina di fine inverno, come al solito «vitrea e vuota», ironizzano i ritardatari. In quel momento le luci in sala sono già tutte spente.

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