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Domenica, 28 Aprile 2024
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Il signore «delle cime» scomunica «i profanatori» del Vanoi

Bepi De Marzi, autore di uno dei più noti canti-orazione di montagna, punta l'indice contro il bacino artificiale tra Trentino e Veneto voluto da palazzo Balbi. «Sono pronto per qualsiasi tipo di protesta» spiega il compositore che parla di «scempio» nel nome del «cinismo» nonché di «spietata disinvoltura» dei fautori dell'opera

«Quando alcuni amici mi hanno segnalato i numerosi articoli usciti sulla stampa regionale in relazione alla ventilata costruzione della diga di Lamon sul torrente Vanoi sono saltato sulla sedia». A confessarsi in questo modo ai taccuini di Vicenzatoday.it è Giuseppe De Marzi. Conosciuto al grande pubblico come «Bepi», in primis per «Signore delle cime» come per numerosissimi altri lavori, il compositore vicentino di natali arzignanesi parla «di operazione strampalata»: nonché «di scempio» che si potrebbe abbattere su quelle montagne al confine fra Trentino e Bellunese rispetto ad un bacino artificiale che secondo le intenzioni della giunta regionale veneta capitanata dal governatore leghista Luca Zaia,  dovrebbe contrastare la penuria d'acqua indotta dalla siccità che negli ultimi tempi ha colpito Vicentino e Padovano. Si tratta però di una iniziativa che nella città del concilio ha già scatenato un putiferio politico: un putiferio che in qualche modo contraddice i toni distesi cui lo stesso Zaia nonché il governatore leghista del Trentino Maurizio Fugatti avevano fatto riferimento non più tardi della fine di marzo.

Dunque maestro De Marzi, qual è il primo pensiero che l'ha colpita rispetto al cosiddetto affaire Vanoi?
«Voglio essere chiaro. Le centraline cancellano torrenti e ruscelli. Le dighe sono il terrore delle valli. In questo frangente ho confessato agli amici che mi hanno segnalato il problema che sono pronto per qualsiasi tipo di protesta. Come feci incontrando i contadini interessati dal tracciato della Superstrada pedemontana veneta: informando quelle persone, gridando e quasi piangendo, della distruzione incombente delle nostre migliori campagne».

Spesso nelle sue opere lei narra quella che a più riprese viene descritta anche come sacralità intrinseca delle montagne. In questo caso siamo di fronte, secondo lei, ad un progetto che comunque va incontro ad una necessità impellente? Oppure come sostengono molti esponenti della rete ambientalista, saremmo di fronte ad uno scempio?
«Nelle opere pubbliche c’è sempre, come diceva un celebre democristiano vicentino, l'angolo dell'appalto».

Davvero?
«Sì. I partiti vivono di appalti. E gli imprenditori lo sanno bene quando impostano i progetti. L'appalto è il nutrimento della politica ripeteva con amarezza Mario Rigoni Stern. Quello scempio, se l'opera si farà, sconvolgerà una parte del corso del Vanoi. Distruggerà l'antica armonia intorno a Cima d'Asta. Cancellerà la civiltà montanara della Caoria. Sfregerà lo scorrere ancestrale dell'acqua».

E poi?
«Quel progetto conferma il cinismo, la spietata disinvoltura dei profanatori. Tanto, le generazoni future compreranno dai cinesi e dagli arabi l'acqua del mare desalinizzata».

C'è un qualche aspetto sul piano sociale o umano che la colpisce di questa vicenda?
«La Valle del Vanoi, per chi sa cantare con i suoni del vento nelle stagioni, è un mistero d'amore. È musica purissima nel tranquillo parlare di quella gente lassù; è perfino commozione per noi che percorriamo da tempo quell'incanto nel silenzio, nell'estasi, nel rispetto dei segreti che accarezzano la storia: Cauriòl, Lagorài, Coltoróndo, Caorìa, Val Viósa, Còppolo, Cima d'Asta, Lamón».

Epperò nel frattempo si parla di lago artificiale, di bacino come «straordinario reservoir» a disposizione dei territori a valle. Sì o no?
«Un lago artificiale? Si leggano le storie popolari, cito testualmente, le quali raccontano che sulle sponde dell'acqua imprigionata dalla prepotenza ci sono lacrime e pensieri vuoti».

Secondo lei come hanno vissuto il Nordest e il Veneto in particolare il rapporto con la modernità specie dopo la Seconda guerra mondiale? In questo senso come valuta lei il fatto che il Veneto sia, assieme alla Lombardia, la maglia nera in Italia per consumo di suolo?
«Il Vèneto, sdrucciolo, accentato per i dialettofili, ma anch'io sono tra gli innamorati delle nostre parlate, della lingua che non si scrive, come diceva il grande Luigi Meneghello, il Vèneto dicevo, ha trascurato colpevolmente l'educazione e l'informazione delle nuove generazioni: quasi continuando il marionettare del fascismo».

Scorge qualche segno particolare in questo senso?
«I ragazzi frequentano la scuola con oscura rassegnazione, con il solo miraggio di scappare all'estero come si suol dire. E senza lavoratori specializzati, senza talenti veri, gli enormi, allucinanti capannoni che infestano campagne e periferie, rimangono vuoti».

In questo quadro, a suo modo di vedere, c'è qualche cosa che va indagato nei veneti e nella loro classe dirigente, quantomeno dalla fine degli anni Settanta, periodo in cui il boom post secondo conflitto mondiale si esaurisce almeno nelle sue dinamiche iniziali? Quanto la Chiesa e le sue gerarchie negli anni hanno fatto da freno o da volano rispetto ad una certa idea di sviluppo che i detrattori chiamano forsennato o sviluppismo nella sua accezione addirittura fideistico-ideologica?
«Una grande parte della Chiesa, con i nuovi preti consacrati in fretta, che girano in bermuda e barbetta coltivata, con i sacerdoti anziani esautorati, disperati nelle solitudini della irriconoscenza, con le Sante messe distribuite come pacchi postali, con le inverosimili stramberie liturgiche, dove di tradizionale e apparentemente sacro è rimasto solo il dondolare fumigante del turibolo, è in uno stato che deve indurci a riflettere. E aggiungerei dell'altro».

Che cosa?
«Soprattutto credo che chiudendo gli oratori, abbiamo dimenticato di coltivare l'amicizia e la solidarietà dei giovani. Le chiese sono ormai desolatamente vuote. E mi accuso tra i responsabili, io, credente, organista di chiesa fin da ragazzino, ormai tristemente lontano dalle felicità poetiche e musicali della liturgia».

E poi?
«E poi, e questo è allucinante, ci sono i nuovi politici di mestiere che esibiscono oggetti della fede come cornetti portafortuna. Dilaga la superstizione da comizio, da logorroica intervista televisiva. Anche una nuova diga è un inutile turibolo fumigante. Si vada in Vallarsa, dove sono perfino cittadino onorario, a cogliere la cupezza, lo squallore dell'acqua imprigionata dal bacino di Spèccheri».

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