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Pfas e fanghi inceneriti a Schio? La prospettiva sfuma

L'indicazione di massima arriva dall'assessore Maculan durante una seduta della commissione ambiente della città laniera: ma ora la partita dello smaltimento potrebbe spostarsi nel capoluogo berico

Incenerire i Pfas contenuti nei fanghi di depurazione nell'impianto di Ava a Schio? La soluzione prospettata, anche se in forma al momento solo esplorativa, da Alto vicentino ambiente e Viacqua appare sempre più in salita: anzi potrebbe essere sfumata del tutto. Questa almeno è l'impressione che si ricava dalla commissione territorio e ambiente che si è tenuta ieri 3 novembre nel municipio della città laniera. Durante i lavori, che peraltro vanno inquadrati in un contesto più generale di partecipazione aperta verso il basso che è esplicitamente prevista dallo statuto comunale, ieri sono stati sentiti due manager incaricati giustappunto da Ava Alto vicentino ambiente e Viacqua. Ai quali è toccato il compito di illustrare le ragioni di fondo della proposta, oggi ancora allo stato larvale se non abbandonata, messa in campo dalle due società pubbliche.

L'IDEA DI FONDO
L'idea di fondo è quella di incenerire i fanghi della depurazione urbana usciti dai processi di depurazione del comprensorio della città del Leogra nel termovalorizzatore già esistente in modo che il materiale di risulta, un 20% sul totale combusto, possa essere poi usato come inerte. L'iniziativa delle due società per vero aveva da subito dato adito a critiche a non finire dalla parte della galassia ambientalista vicentina anche perché è lo stesso termovalorizzatore di Schio ad essere indigesto alla rete ecologista. Tali critiche per vero si erano materializzate anche durante un incandescente incontro pubblico di cui Vicenzatoday.it ha dato conto il 13 giugno.

Tanto che successivamente sulla stampa i vertici di Viacqua hanno fatto intendere, anche se in modo non giudicato molto chiaro, che il progetto in qualche modo fosse stato abbandonato o superato. Ad ogni modo l'amministrazione di Schio, decisa a vederci chiaro, ha comunque preferito proseguire l'iter di approfondimento sul caso prevedendo di dare spazio a tutti gli attori: dalle società interessate all'Ulss, dall'Arpa alle associazioni ecologiste.

PASSAGGIO CHIAVE
Quello di ieri è stato uno dei passaggi chiave durante il quale l'incaricato di Ava - Alto vicentino ambiente (il presidente Giovanni Cattelan) e l'incaricato di Viacqua (il direttore generale Alberto Piccoli) hanno sostanzialmente rimarcato due aspetti. Uno la combustione dei fanghi è già ora prevista dalle autorizzazioni di cui gode «il termovalorizzatore di Schio». Due i riscontri acquisiti durante la fase sperimentale preliminare tra essiccamento e combustione hanno fornito risultati in linea con le prescrizioni di legge attuali. Tutto scritto quindi?

Niente affatto. In primis perché le due società, specie Viacqua, starebbero pensando di ritirare la bozza progettuale proprio per la contrarietà dell'opinione pubblica o perché interessati in un investimento diverso a Vicenza. Viacqua infatti starebbe ripiegando su un impianto di essiccamento a Vicenza che potrebbe essere una derivazione o parte integrante del depuratore che in zona Casale è atteso da decenni. In secundis perché non è ancora chiaro quali Pfas siano stati presi in considerazione durante la sperimentazione e quali siano le eventuali concentrazioni di queste sostanze in aria dopo la combustione. I Pfas infatti sono una sterminata famiglia di derivati del fluoro che nel Veneto centrale sono protagonisti di uno dei casi di inquinamento di specie tra i più gravi al mondo.

QUALI CONCENTRAZIONI? I DUBBI DELL'ASSESSORE
Ed è proprio l'incertezza sulle concentrazioni di Pfas nell'aria su cui ieri l'assessore scledense all'ambiente Alessandro Maculan si è soffermato più volte. Ribadendo più volte uno dei cardini della legislazione europea in tema di difesa dell'ambiente che riguarda la nozione «di principio di precauzione». Si tratta di parole che lette in filigrana fanno pensare ad un occhiuto scetticismo della giunta municipale retta dal sindaco Valter Orsi rispetto alla opzione caldeggiata dalle due società pubbliche. Sullo sfondo infatti rimane il problema dei gestori del ciclo idrico integrato come Viacqua, che è quello dello smaltimento dei fanghi da depurazione.

Come ha ricordato ieri Piccoli, che ha ben presente il problema infatti, questa frazione terminale della filiera non è affidata ai gestori pubblici «ma al mercato». Una sorta di collo di bottiglia che espone i gestori del ciclo idrico dell'acqua ai capricci del privato e alle oscillazioni dei prezzi quando va bene e alla speculazione tout-court fino alle ingerenze delle ecomafie quando va male. Ma c'è di più. I fanghi astrattamente parlando dovrebbero contenere solo i reflui civili: ovvero le deiezioni di chi è allacciato al sistema fognario.

LO SCENARIO
Una volta recuperati i fanghi potrebbero essere tranquillamente sparsi nei campi come fertilizzante ammendato o come gessi da defecazione. La parte nascosta del problema sta nel fatto che in quasi tutto il Paese da anni si permette ai reflui dei cicli industriali (che quasi mai sono segregati al 100%) di confluire in quelli urbani. Col risultato che negli stessi fanghi urbani si trovino sostanze chimiche (per non parlare di quelle legate all'uso di sostanze artificiali in agricoltura) che nulla hanno a che vedere con le feci e con l'urina.

L'ENIGMA
Questo limite strutturale della produzione agricola e industriale è il vero enigma che da anni sta assorbendo quei settori della classe dirigente che hanno compreso la gravità della questione ma che ad oggi non sono in grado di pensare ad una soluzione definitiva. Che secondo il fronte ecologista non può passare che attraverso una ridefinizione radicale del modello di sviluppo: un obiettivo «di portata immane che mette in discussione le fondamenta stesse della civiltà industriale». E in un frangente del genere questa è la sfida che da anni sta interessando Schio come mille e mille altre città del mondo industrializzato.

UN VERDETTO POLITICO
Ma come hanno commentato la seduta di ieri l'assessore Maculan e il presidente della commissione ambiente Marco Calesella? «Siamo molto soddisfatti di come il meccanismo di partecipazione voluto dalla nostra amministrazione abbia trovato accoglimento presso la cittadinanza che nel caso di specie, vuoi anche per la importanza della posta in gioco, si è mostrata subito interessata all'argomento». Epperò alla fin fine, alla luce di quanto spiegato in sede di commissione da Cattelan e Piccoli qual è il parere della giunta sulla proposta? «Il nostro parere rimane contrario» ha fatto sapere l'assessore Maculan a margine della seduta. Si tratta di parole precise che hanno fatti cadere sul resto dell'iter (sempre che i proponenti siano ancora interessati giacché hanno più volte espresso un parere contrario negli ultimi tempi) una pesante ipoteca.

VERSO CASALE
Per certi versi adesso la partita si sposta a Vicenza. Che da anni attende il nuovo depuratore di Casale. Il progetto oggi caldeggiato da Viacqua, dopo le polemiche sui ritardi del passato potrebbe essere indirizzato verso una decisa accelerazione. Tuttavia la galassia ecologista del capoluogo berico è in ambasce. Il motivo?

PARLA IL DIRETTORE
Da più parti si vuole capire se l'ipotesi combustione con ogni probabilità abbandonata dalle due spa per Schio possa invece trovare sponda proprio a Vicenza e dintorni. In una lunga nota diramata da Viacqua sul finire di giugno infatti, il direttore Piccoli parlava di «ulteriori interventi volti all'efficientamento energetico che ora dovranno affrontare le diverse fasi di progettazione».

COGENERATORI? I RESIDENTI COMINCIANO A STORCERE IL NASO
E ancora, nella seconda fase degli interventi che riguardano Casale, si leggeva, «si opererà sul complessivo efficientamento energetico. Stando a quanto al momento definito nello studio di fattibilità sviluppato nel 2015, una volta entrato il funzione il nuovo assetto del depuratore sarà possibile smantellare progressivamente l'attuale impianto lasciando spazio in particolar modo a nuovi digestori anaerobici e cogeneratori a biogas in grado di sostenere maggiormente i consumi dell'intero polo depurativo». Detto in altre parole il vecchio impianto potrebbe ospitare un cogeneratore a biogas e un digestore. Che sono impianti ben diversi sia dagli inceneritori sia dai termovalorizzatori: ma hanno comunque un impatto sull'ambiente. Motivo per cui da settimane i residenti, queste le voci che circolano a mezza bocca, hanno cominciato a storcere il naso. Soprattutto perché ritengono che l'aumento dei costi di depurazione e smaltimento, giacché imputabile all'industria e all'agricoltura, sia da addebitare a questi settori «e non certo alla collettività».

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