Shibusa | Opere al nero
Mostra personale di Nadir Basso, con una selezione della sua più recente produzione di
ceramiche raku.
A cura di Petra Cason Olivares e NUMA contemporary
Inaugurazione sabato 4 marzo, ore 18.30
Presso l'Atelier L'IDEA di M.Luisa Amatori
Piazza dei Signori, 56 - Vicenza
Martedì-sabato 9.30-12.30, 15.30-19.30
Informazioni
www.numacontemporary.com | info@numacontemporary.com
www.nadiraku.it
APNEE CANGIANTI
a cura di Petra Cason Olivares
C’è una fase, nel processo antichissimo di creazione delle ceramiche raku, che più di ogni
altra mi affascina.
Non è tanto nella scelta accurata della materia prima, quell’argilla purissima che nell’antico
Giappone veniva cavata solo in determinate zone del Paese. Non è nemmeno il momento in
cui la creta morbida viene plasmata dal vasaio, con il primo e più importante strumento che
l’Uomo da tempi immemori possiede, le sue stesse mani. Non è nemmeno la stesura attenta
degli smalti sulla superficie levigata del manufatto, dopo che i quasi mille gradi del fuoco
hanno reso salda la materia, stabile la forma.
È, invece, quel momento in cui il vaso entra, per un lungo istante, in apnea. Nella pratica
raku, la ceramica dipinta torna per una seconda volta nella cavità incandescente del forno,
finché il vasaio non la estrae. È qui che tutto cambia: il manufatto viene deposto su del
materiale combustibile (foglie secche, carta, segatura...) che, infiammandosi a contatto con
la ceramica incandescente, ruba all’aria ossigeno, creando la “trasformazione alchemica”.
In questa apnea - una pausa dal "respiro" del vaso - la ceramica assume l’aura che è tipica
della produzione raku: l’aspetto cangiante della sua superficie traslucida, la craquelure che
scompone in piccolissime frazioni la sua patina adamantina, il nero fumo che tinge le parti
prive di smalti. Il fuoco e l’aria rarefatta concorrono alla trasmutazione chimica degli smalti.
Qui il ceramista non ha più potere: la sapienza si inchina al caso, il vero elemento che
determina l’aspetto finale dell’opera.
Come spesso avviene per gli insegnamenti che provengono dalla cultura orientale, anche la
tecnica raku si è aperta, nei secoli, alle suggestioni provenienti da altri mondi, da contesti
anche lontanissimi dal Giappone delle origini, che hanno fatto sì che la pratica non si
limitasse al pedissequo rispetto della tradizione, ma integrasse in sé la spinta inesausta del
rinnovamento.
Nadir Basso condensa, nella sua personale pratica, la conoscenza della tecnica ceramica
della tradizione a noi geograficamente più vicina: la sua è una famiglia di ceramisti contigua
alla scuola di Nove e Bassano, e la sua formazione ricalca la via intrapresa dai grandi
maestri ceramisti del secolo scorso. Ma la pratica non è che una parte della ricerca.
Una ricerca quotidiana si rivela nell’azione ponderata che accompagna ogni singolo giorno
attraverso la cura per le cose semplici, raffinate, sobrie: una sorta di dáim?n - lo spirito
guida, il silenzioso compagno di viaggio che nelle culture orientali svela la nostra vera
vocazione - sembra manifestarsi appieno, quando a fianco della ceramica raku, Nadir dedica
il suo tempo alla meditazione zen o all’arte della calligrafia giapponese, lo shod?. Una
filosofia di vita.
“?nanda, tra gli elementi interconnessi che hanno fatto sì che la ciotola esista, vedi l’acqua?”
“Certo, signore. Il vasaio ha avuto bisogno di acqua per impastare l’argilla e modellare la
ciotola”.
“Dunque l’esistenza della ciotola dipende dall’esistenza dell’acqua. Inoltre, ?nanda, vedi
l’elemento fuoco?”
“Certo, signore. E’ stato necessario il fuoco per cuocere l’argilla, dunque vedo in essa fuoco
e calore”.
“Che altro vedi?”
“Vedo aria senza la quale il fuoco non si sarebbe acceso e il vasaio non avrebbe respirato.
Vedo il vasaio e l’abilità delle sue mani. Vedo la sua coscienza. Vedo il forno e la legna che
l’ha alimentato. Vedo gli alberi che hanno fornito la legna. Vedo la pioggia, il sole e la terra
che hanno fatto crescere gli alberi. Signore, vedo migliaia di elementi interconnessi che
hanno concorso alla formazione di questa ciotola”.
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Aggiungo io: vedo i tanti viaggi compiuti, i molti libri letti, e così i volti incrociati, le lingue
udite e parlate, l’arte osservata e imparata, di culture e popoli vicini e lontani. La “mescla”,
dal portoghese “miscuglio”, è ciò che compone ogni singolo manufatto realizzato da Nadir
Basso. Esperienze allo stato solido, dalla superficie cangiante, ognuna delle quali attinge,
anche nei nomi, al bacino di diverse cosmogonie e mitologie.
Ogni sua opera ceramica è una storia, che valica dalla cultura greca a quella persiana, alla
shintoista.
1 scrittura buddista Samyutta Nikaya. Tratto da “Il silenzio è cosa viva”, C. L. Candiani, Einaudi 2018
“Mi è piaciuto pescare lì in ragione di una risonanza che cercavo tra le forme vagamente
arcaiche ed esotiche di alcuni miei manufatti e l’orizzonte di alterità - nello spazio e nel
tempo - a cui quei nomi stessi rimandano. Spesso sono divinità che presiedono a qualche
ambito del mondo naturale - e sappiamo quanto conti la natura nell’orizzonte estetico delle
pratiche orientali, ceramica raku compresa”, scrive l’Artista.
Un oggetto piccolo, apparentemente insignificante, come una tazza da tè, è all’origine di una
storia lunga oltre cinque secoli la quale, uscita silenziosamente dai confini spaziali e
temporali del Giappone antico, si è ramificata come un albero dalle fronde rigogliose. Più
scende nelle profondità del terreno, e più è in grado di estendersi, espandersi, allargarsi,
fino a dare vita a una genealogia che unisce gli essenziali elementi alchemici: la terra, il
fuoco, l’acqua. L’aria.
Se in una notte stellata tenessimo nell’incavo di una mano la giusta quantità d’acqua per
colmare la misura, e guardassimo al piccolo specchio liquido con occhi attenti, potremmo
scorgere l’intero universo. Avremmo tra le mani ciò che basta. Il tutto.
SHORT BIO
Nadir Basso è nato a Marostica nel 1968.
Nella precedente vita, dopo gli studi in Lettere a Padova, è stato prima teatrante e poi
libraio - negli interstizi e nei periodi vacanti già ceramista e decoratore nel laboratorio del
padre, Gianbattista Basso, che gli ha trasmesso il suo sapere legato alla ceramica
tradizionale.
Si dedica alla ceramica a tempo pieno da una decina d’anni e (ri)scopre la ceramica raku -
avvicinata nei primi del 2000 grazie ad un maestro padovano - all’inizio della pandemia.
Ne perfeziona la tecnica e ne approfondisce lo spirito sotto le cure di Nico Toniolo, maestro
ceramista per anni sodale di Alessio Tasca.
Trova in questa declinazione del fare ceramico un proprio dàimon buono, un luogo dove far
convergere l’interesse coltivato negli anni per pratiche e saperi dell’oriente estremo (come
lo shod? e il pensiero zen) che condividono con la ceramica raku (raku significa
‘altre’ rispetto alle nostre - e per questo profondamente affascinanti.