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«Annegò in mezzo metro d'acqua» per una roggia non «segnalata»: condannato il Comune

Dopo una battaglia legale durata cinque anni il tribunale civile di Vicenza ha riconosciuto le ragioni dei parenti di una anziana di origine veneziana finita in un canale artificiale: rispetto ai rischi di caduta l'amministrazione rosatese non aveva preso i provvedimenti necessari. E per questo dovrà pagare ai familiari della vittima 415mila euro di danni

Ci sono volute molte udienze e cinque anni di un duro contenzioso, ma alla fine i familiari di Giulia Salvalaio a Borgo Berga hanno vinto la loro battaglia. Il Comune di Rosà per anni non aveva preso provvedimenti rispetto ai pericoli insiti in un accesso ad un «canale artificiale» risultato fatale per l'anziana che morì «annegata in mezzo metro d'acqua impossibilitata a risollevarsi a causa di una grata» che le impedì di liberarsi. A rendere note le motivazioni della sentenza, pubblicate di recente dal tribunale di Vicenza, è stato lo studio legale 3A di Mestre che ha assistito i familiari della vittima e che ieri 15 ottobre ha diffuso una lunga nota nella quale ricostruisce le tappe salienti della vicenda. Frattanto il Comune è intenzionato a ricorrere in appello.

LA NOTA
«I familiari di Giulia Salvalaio avevano ragione: la roggia in cui è caduta e annegata la loro cara... non era né segnalata né interdetta all'accesso, si apriva all'improvviso lungo un marciapiede» tanto che avrebbe potuto «finirci dentro chiunque». Per questo, si legge nella stessa nota, dopo un contenzioso iniziato nel 2017, in primo grado il Tribunale civile di Vicenza ha giudicato il Comune di Rosà «esclusivo responsabile del decesso dell'anziana, avvenuto il 24 settembre 2016». La municipalità rosatese è stata pertanto condannata «a risarcire i due figli con una somma complessiva di oltre 415mila euro, ma contando anche le spese processuali che dovrà rifondere a tutte le controparti... avendo a sua volta chiamato in causa anche terzi... si supera il mezzo milione di euro». La donna, all'epoca dell'incidente mortale aveva 88 anni ed era originaria di Martellago nel Veneziano.

IL TRASFERIMENTO
Dal 2011 la Salvalaio, per essere meglio seguita per le patologie collegate alla sua età, si era trasferita dall'altra figlia, che risiede appunto a Rosà con la sua famiglia. Non aveva mai dato alcun problema, «ma nella notte tra il 23 e 24 settembre 2016 era uscita di casa, con addosso la vestaglia e le pantofole» e aveva cominciato a percorrere le strade del paese. Il suo percorso «è stato ricostruito nel dettaglio dall'ingegnere Giovanni Maria Di Leva, il consulente tecnico d'ufficio nominato ad hoc dal giudice. Alle operazioni peritali ha partecipato quale consulente tecnico di parte per la famiglia anche l'ingegnere Pierluigi Zamuner che ha lavorato a stretto contatto con lo staff legale dei familiari della vittima».

TESTIMONE PREZIOSO
Per fare chiarezza sulla dinamica dei fatti di quella notte «è risultata preziosa anche la telefonata al 112 di un automobilista di passaggio insospettito dalla vista di quell'anziana» che attorno alle 5 del mattino era stata vista aggirarsi «nella zona industriale di Rosà». Il conducente, su indicazione dei carabinieri, «aveva invertito la marcia per tornare a controllare, ma purtroppo» non era stato in grado di intercettare la signora Salvalaio.

IL DRAMMA SI CONSUMA NELLA ZONA INDUSTRIALE
L'ottantottenne, uscita di casa di notte in relazione al suo stato psichico dovuto all'età, «aveva percorso 2,2 chilometri in circa mezz'ora, da via Domiziana a via Brega per poi dirigersi, alla rotonda, in via del Lavoro, rimanendo sempre sul lato destro della strada», si legge nella nota. La quale poi cita testualmente la sentenza quando questa spiega che la Salvalaio: «Camminò sul marciapiede che esiste a partire praticamente dalla rotatoria e fin quando esso terminava, e cioè poco prima del secondo varco pedonale agli stabilimenti Famir, e poi proseguì, ancora oltre, la sua marcia in avanti, non essendovi alcun ostacolo che la intralciasse. Essendole mancato il terreno sotto i piedi, cadde verso avanti e con il peso del corpo leggermente a destra nella roggia che si trova subito dopo la fine del cancello carraio dello stabilimento».

LA GRATA CHE NON DÀ SCAMPO E LA FINE «ORRIBILE»
Nella nota diramata ieri si rimarca come l'anziana sia finita con il volto immerso nel canale cercando «disperatamente di rialzarsi, come dimostrano i segni e i graffi che ha lasciato incisi sulle pareti e sul fondo, ma è rimasta incastrata con un piede in una grata inclinata posta all'ingresso di un incanalamento sotterraneo». Si tratta di un altro elemento «che ha contribuito al dramma» proprio perché la vittima non fu più in grado di  «liberarsi»: tanto da morire «annegata in mezzo metro d'acqua». Una fine che viene definita «orribile».

LA SENTENZA VERGATA DAL GIUDICE DE GIOVANNI
Lo studio che ha assistito i legali della vittima verificata tutta la documentazione e lo stato dei luoghi con i suoi esperti, «ha subito ravvisato evidenti responsabilità in capo alla pubblica amministrazione in ragione della pericolosità» dei luoghi stessi nonché «delle insidie che questi  presentavano e che avrebbero potuto nuocere a chiunque». Così ha chiesto «le coperture assicurative e i danni al Comune di Rosà, ma la sua compagnia, Generali, ha sempre rigettato ogni richiesta negando qualsiasi addebito a carico del suo assicurato».

Convinti delle proprie ragioni però i familiari hanno deciso di andare fino in fondo tanto che lo studio mestrino ha affidato ad Alessandro Di Blasi, avvocato del foro veneziano, il compito di intentare la causa. E così si è giunti alla sentenza depositata il 22 settembre scorso dal giudice monocratico dottor Massimiliano De Giovanni: «un verdetto che condanna il Comune di Rosà su tutta la linea», anche se per i familiari della vittima la battaglia non è ancora finita. Nei giorni scorsi infatti la giunta comunale rosatese ha dato mandato al suo legale di proporre appello.

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