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Cronaca

Caso Miteni? «La contaminazione della falda sarà eterna»

Al processo per l'inquinamento da Pfas che ha colpito Veronese, Vicentino e Veronese le testimonianze di due scienziati sono state così scioccanti da spingere le parti civili a chiedere la riformulazione del capo di imputazione in modo che i reati siano considerati permanenti: una novità che non ha sorpreso il fronte ambientalista il quale, oltre ad alzare la voce, già da tempo prospettava uno scenario del genere

La procura di Vicenza dovrebbe riformulare il capo d'imputazione a carico delle persone accusate della colossale contaminazione ambientale da derivati del fluoro, i Pfas, addebitata alla Miteni, industria chimica di Trissino oggi fallita. La richiesta è stata formulata ieri 9 ottobre durante il processo in corso presso il tribunale berico da parte dei legali dei gestori del ciclo integrato dell'acqua, gestori che a dibattimento sono parte civile.

LA NOVITÀ
Gli illeciti penali oggetto delle imputazioni nel processo Pfas, benché contestati fino al 2013 e al 2018, hanno invece «le caratteristiche della permanenza perché l'inquinamento, l'avvelenamento delle acque e il disastro ambientale sono fatti che non si possono considerare esauriti». Così hanno commentato ieri a margine dell'udienza Marco Tonellotto, Angelo Merlin e Vittorio D'Acquarone gli avvocati che patrocinano i gestori ossia Acque del Chiampo, Viacqua, Acquevenete e Acque veronesi appunto parti civili nel processo. «Ne abbiamo avuto ulteriore conferma dalle deposizioni odierne. Si delinea pertanto un quadro, maturato nel corso dell'istruttoria e chiaramente non conosciuto al momento della formulazione delle imputazioni, in relazione al quale - spiegano i legali - abbiamo chiesto alla Procura di Vicenza di modificare il capo d'imputazione, ad oggi risalente a una impostazione di oltre dieci anni fa, per scongiurare la prescrizione che comporterebbe un grave danno per la collettività».

Questo è il convincimento dei professionisti che sin dall'inizio patrocinano i gestori nell'ambito «del processo Pfas» che vede imputati quindici manager di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. «Siamo pealtro soddisaftti - scrivono i legali in una nota diffusa ieri - dell'adesione di tutte le parti civili alla nostra richiesta e siamo confidenti nel fatto che la Procura, che ha chiesto la trasmissione del verbale d'udienza per poter valutare la segnalazione, aderirà alla nostra nuova prospettazione. D'altronde, abbiamo sempre registrato una piena convergenza di azione con l'attività dei pubblici ministeri, in quanto l'interesse comunemente portato avanti con loro è quello di offrire ai cittadini la più ampia tutela e protezione. L'iniziativa giudiziale dei gestori è infatti in funzione di evitare la ricaduta delle conseguenze sulla bolletta degli utenti».

IL GEOLOGO E IL CHIMICO
Più nel dettaglio ieri dinanzi alla Corte d'assise del tribunale di Vicenza hanno deposto il geologo Pierluigi Bullo e il professore ordinario di chimica all'Università degli studi di Padova Antonio Marcomini, consulenti di parte delle società idriche. Interpellati, in esame e controesame, i due esperti hanno dichiarato che le sostanze perfluoroalchiliche, per la tipicità della loro conformazione chimica, non sono degradabili e, a causa della loro persistenza, possono rimanere nell'ambiente per centinaia di anni. Il che vale soprattutto nell'ambiente acquatico. L'alimentazione dei fenomeni è d'altronde permanente, nonostante gli sforzi profusi dal sistema istituzionale per contenerli, anche perché Miteni e i responsabili non hanno mai realizzato interventi risolutivi». Si tratta «di ulteriori evidenze scientifiche» sulla complessiva pericolosità dei Pfas che difatti hanno indotto i legali delle società idriche a chiedere al pubblico ministero Paolo Fietta di rivedere il capo d'imputazione.

OLTRE «500 ANNI PERCHÉ L'ACQUA TORNI COME PRIMA»
Ma quanto tempo servirebbe all'acqua inquinata della falda sotto la Miteni per tornare come prima se per incanto cessasse la sorgente dell'inquinamento? «Più di cinquecento anni  anni. Lo dicono i dati di Arpav» ha testimoniato in aula il professore Bullo. Ed anche in relazione a questa testimonianza che le parti civili per l'appunto hanno chiesto di riformulare il capo di imputazione. «Ancora una volta - fanno sapere dal fronte ambinetalista i più duri detrattori della Regione Veneto, accusata di non essere stata abbastanza incisiva nei controlli preventivi - abbiamo avuto evidenza di come la contaminazione dell'acqua di falda sarà eterna».

OMBRE ALL'ORIZZONTE
A questo punto le testimonianze uscite in aula allungano un'ombra densa sul caso Miteni per due motivi principali. Uno, vengono confermate ancora una volta le previsioni di alcuni scienziati (come il professor Dario Zampieri dell'Università di Padova un geologo che da tempo segue da vicino il caso) per cui la bonifica è di fatto irrealizzabile. Due, la fase di contenimento attualmente in corso da parte dei soggetti che si sono accollati l'onere della bonifica sperimentale, di fatto non ha portato ad alcunché di concreto mentre le prospettive di una bonifica vera e propria in grado quanto meno di contenere il perpetuarsi della contaminazione rimane una chimera.

LO SCENARIO E LA QUERELLE SULLO SCREENING SANITARIO
Il che cozza con gli annunci fatti a più riprese in passato dalla Regione Veneto che direttamente o indirettamente coordina le operazioni relative alla cosiddetta barriera idraulica. Sul caso Miteni tra l'altro pesano alcune rivelazioni di questi gironi. Secondo Il Fatto quotidiano infatti ci sono alcune circostanze di peso che non depongono a favore della condotta della Regione Veneto per quanto riguarda l'impulso agli studi epidemiologici per valutare quanto la contaminazione da Pfas abbia influenzato negativamente la salute dei cittadini colpiti dal maxi inquinamento tra Veronese, Vicentino e Padovano. In passato infatti la Regione era stata messa nel mirino dalla galassia ambientalista perché in qualche modo avrebbe messo il bastone fra le ruote proprio perché questi studi, anche in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità, l'Iss, venissero iniziati e completati.

Palazzo Balbi più volte aveva rigettato al mittente l'accusa spiegando di aver dato vita ad un piano di sorveglianza sanitaria. Che però è la versione povera e ridotta dello screening sanitario. Il quotidiano romano in questi giorni è entrato in possesso di una lettera interna all'Iss che mostra come lo stesso istituto in qualche modo consideri il piano di sorveglianza non adeguato alla situazione venutasi a creare nel Veneto centrale.

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