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Cronaca

La 'Ndrangheta a Vicenza: Carlo Celadon, il più lungo sequestro della storia

Carlo Celadon venne rapito ad Arzignano e imprigionato in Calabria, un incubo durato 831 giorni. Incatenato, nascosto da un sistema omertoso, riuscì a sopravvivere solo alla sua forza d'animo


 
E’ un sequestro di persona, non è il primo e non sarà l’ultimo in quegli anni. Subito la Procura di Vicenza sceglie la “linea dura”, procuratore capo è il dott. Ferdinando Canilli, gentile, ma risoluto a “isolare” la famiglia e impedire che contatti vengano avviati, anche se i Celadon, dopo il sequestro si comportano bene e non hanno intenzione di creare situazioni diverse, in contrasto con chi investiga sul rapimento.
Nella notte tra martedì e mercoledì arrivano nella casa di Arzignano diverse telefonate. La polizia smentisce ma è sicuro che sono state comunicazioni brevi, poche parole, toni duri e minacciosi. Il padre di Carlo, Candido Celadon, tornato precipitosamente dal Kenia dove era appena arrivato, e ripreso l’aereo, è atterrato a Milano, poi corre ad Arzignano dove si chiude in casa.
Il sequestro di Carlo assume ora ritmi sempre più veloci e angoscianti: giunge in una chiamata notturna la richiesta di riscatto. I banditi chiedono 4 miliardi. Agli investigatori la richiesta sembra autentica. Ma la magistratura, come accennato, si muove svelta e impone il blocco dei beni della famiglia Celadon. Canilli ha una certa esperienza di sequestri di persona, ne ha seguiti ben cinque avvenuti tutti nel Vicentino anni prima.
Ma non è solo la famiglia che vorrebbe muoversi ma non può, c’è in questo momento di tragedia per i Celadon, un avvocato calabrese che si propone come mediatore con la banda dei rapitori. E’ un personaggio ambiguo e controverso, già estremista di destra con Ordine Nuovo di Rauti quando a Reggio Calabria era scoppiata la rivolta, ora fa l’avvocato brillante, è uno che ama i riflettori e per lui associarsi  alla famiglia Celadon rappresenta un formidabile veicolo di notorietà.
Solo in aprile i rapitori si rifanno vivi. Fanno attendere e provocano così lo sfaldamento della linea dura. In luglio arriva al padre una foto del figlio legato in catene. E’ troppo, un’attesa sfibrante e l’immagine di Carlo sono le mosse strategiche per sconfiggere gli inquirenti. Così la pensano i rapitori.
Attraverso l’avvocato calabrese i Celadon aggirano di fatto il blocco dei beni e si dispongono al pagamento di ben 3 miliardi di lire. Vengono, sempre a detta di Pardo, “oliati” i contatti giusti per arrivare alla liberazione di Carlo. A ottobre del 1988 l’avvocato convoca una conferenza stampa all’Hotel Excelsior di Reggio Calabria per annunciare ai sequestratori che lui era lì ad attenderli con la somma pattuita: tre miliardi appunto.
Però non succede niente. E dopo una settimana Candido Celadon esonera l’avvocato Pardo dall’incarico di mediatore. A questo punto entrano in scena i figli di Candido, i fratelli di Carlo, Paola e Gianni, e sono loro nella notte tra il 24 e il 25 ottobre 1988 sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria a consegnare agli emissari dell’Anonima sequestri calabrese la somma di cinque miliardi.
Anche questa volta non succede niente. Carlo Celadon resta sempre nelle mani dei suoi rapitori anche se il riscatto è stato pagato.
imputati-2Intanto gli investigatori arrestano quattro persone con l’accusa di aver fatto parte della banda che tiene sequestrato Celadon. Tra gli arrestati c’è anche Mario Leo Morabito e l’operazione che lo porta in carcere ha portato agli inquirenti le prove materiali della sua complicità con il sequestro.
Infatti i carabinieri trovano in una piazzola di sosta lungo la carreggiata nord della Salerno-Reggio Calabria, banconote di vario taglio per la somma di 150 milioni, di provenienza dal riscatto pagato poche ore prima per la liberazione di Carlo. Segno che la rete che sorvegliava da lontano i Celadon era stata stretta e ci erano cascati quattro componenti la banda. Morabito, considerato il “cervello” dell’organizzazione, è un brutto colpo per i sequestratori e  l’operazione blocca le loro decisioni.
Ora  a Candido Celadon non resta altro che andare in Calabria e dichiararsi disposto a pagare un altro miliardo, altro denaro non ne ha. Ma il figlio resta sempre nelle mani dell’anonima calabrese e un cupo silenzio cala sulla vicenda. La richiesta resta sempre di altri cinque miliardi.
Il 1989 si apre anch’esso nel silenzio. Ma Carlo, e lo si saprà poi, cambia carcerieri (quattro vengono arrestati  vicino a Pizzo Calabro poche ore  dopo che il ragazzo era stato trasferito) e anche il luogo dove è detenuto. Questi cambi saranno sette. Intanto il padre viene tenuto sempre in tensione con telefonate minacciose e dal linguaggio orripilante. A differenza del 1988 ora nel 1989 le telefonate arrivano dalla Germania, da Francoforte.
I carabinieri speravano, dopo l’arresto dei carcerieri del secondo covo, che la vicenda avesse una fine positiva nel giro di breve tempo. Ma non è così e il 1989 si appresta ad essere un altro anno di prigionia.
Candido Celadon fa sapere ai rapitori che è disponibile a trattare, attraverso i vecchi canali o anche i nuovi, a condizione di sapere qualcosa sulla salute del figlio. Le ultime notizie la famiglia le riceve in agosto poi nulla.
Ma la trattativa non è mai cessata veramente. Dai cinque miliardi i rapitori fanno sapere che ci si potrà accordare anche su due. Il sequestro sta diventando pericoloso non solo per Carlo, sempre più debole e affranto psicologicamente, ma anche per i rapitori. Le battute e i rastrellamenti effettuati dai reparti mobili dei Carabinieri aumentano la tensione, è possibile che i sequestratori all’improvviso incontrino in un faccia a faccia le forze dell’ordine.
Perciò la trattativa superato il dicembre dell’89 fa un salto di qualità. Ci si accorda finalmente sulla cifra che era stata ventilata e con attenta gradualità ci si muove sia per il pagamento che per il rilascio.
 
Il bonifico che risolve la situazione

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