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La grande fuga da Vicenza (e provincia): costo della vita elevato, ingressi a picco

Il territorio berico perde di attrattiva. A lanciare l'allarme è la Cisl che chiede alle istituzioni politiche e alle parti sociali di affrontare la questione con un piano strategico

La seconda decade degli anni Duemila potrebbe essere ricordata nel Vicentino come l’epoca della “grande fuga”. I dati infatti parlano chiaro: negli ultimi dieci anni sono crollati gli arrivi nella nostra provincia sia di lavoratori italiani provenienti da altri territori, sia di lavoratori stranieri, e parallelamente sono aumentati i flussi dei vicentini in uscita dal territorio berico.

A evidenziarlo sono i dati della nuova ricerca del Centro Studi Cisl Vicenza - curata dai ricercatori Stefano Dal Pra Caputo e Francesco Peron - attraverso la quale Cisl Vicenza ha voluto indagare e porre al centro dell’attenzione un tema preciso, come sottolinea il Segretario generale provinciale Raffaele Consiglio: «Questa ricerca prosegue un ragionamento che abbiamo avviato ormai più di un anno e mezzo fa, quando per primi abbiamo evidenziato gli effetti del calo demografico sul mercato del lavoro: abbiamo visto che nei prossimi 15 anni nel Vicentino mancheranno circa 50 mila lavoratori e l’attuale tasso di natalità, nonché le nascite già avvenute, non lasciano possibilità di invertire la tendenza in tempo utile. Ci siamo posti allora la questione dell’attrattività del territorio vicentino verso i lavoratori provenienti da altre regioni o altri Paesi e come sempre abbiamo voluto affrontare il tema a partire dai fatti concreti, dunque dai numeri. Ma il nostro territorio è ancora in grado di attirare i lavoratori? La nostra ricerca risponde proprio a questo interrogativo».

Migranti (in entrata e in uscita)

La risposta è drammaticamente negativa. Un primo dato significativo riguarda il saldo migratorio di stranieri (ovvero il numero di stranieri in ingresso e in uscita, sulla base dei dati delle anagrafi dei Comuni vicentini). Se nel 2003 erano entrati nella provincia berica circa 9.600 cittadini stranieri, il valore scende a circa 1.700 dieci anni dopo, per poi diminuire a meno di 400 nel 2015 e 2016; dal 2017 si registra una lieve ripresa - con un anno di pausa nel 2020 per effetto della pandemia - ma ancora nel 2021 (ultimo anno per il quale sono disponibili i dati) il saldo migratorio dall’estero era positivo per sole 1.400 unità.

È interessante osservare come un analogo andamento presenti anche il flusso migratorio da altri Comuni italiani: si è passati da un saldo positivo per 2.910 persone nel 2002 ad appena 337 nel 2012, per poi ricrescere dal 2015 ma senza mai avvicinare i valori di vent’anni fa: il saldo nel 2021 è stato di 1.250 persone, meno della metà.

Sommando la mobilità in ingresso e uscita dall’estero e da altri Comuni italiani, si scopre che nel 2003 c’era stata la punta massima con un saldo positivo di 9.648 nuovi residenti, per poi scendere gradualmente fino a 365 nel 2016 e, nonostante una leggera ripresa, attestarsi a soli 1.386 nel 2021, ovvero circa un quarto di vent’anni prima.

A spingere la tendenza sono non solo i minori ingressi, ma anche le maggiori uscite, come dimostra il dato degli iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) provenienti dalla provincia di Vicenza, cresciuti in modo significato negli ultimi 5 anni: dai 78.122 del 2017 al 105.412 del 2022, passando da una percentuale del 9% in rapporto alla popolazione della provincia vicentina al 12,4%.

Perdita di qualità

E la perdita non è solo quantitativa, ma anche qualitativa in termini di competenze lavorative. In questo caso il dato è regionale, ma è verosimile che quello provinciale presenti un andamento abbastanza analogo: nel 2011 tra i  lavoratori trasferitisi all’estero, solo il 14,5% era in possesso di un livello di competenze elevato, ma questa percentuale è quasi raddoppiata in 10 anni, arrivando al 26,9% nel 2021, ed è aumentata in modo significativo anche la quota di lavoratori veneti emigranti con un medio livello di competenze (dal 18,5% al 30,9%), mentre in parallelo è diminuita la quota di lavoratori in uscita verso altri Paesi esteri con basse competenze (dal 66,9% al 42,1%).

«È evidente - commenta Consiglio - che la nostra provincia non è più in grado né di attirare lavoratori da altri territori, sia che si tratti di stranieri sia di cittadini provenienti da altre province e regioni d’Italia, né di trattenere i propri lavoratori. Questo per una provincia ad altissima densità di imprese come la nostra, dunque con un grande fabbisogno di lavoratori, è un fatto gravissimo. E ancora più grave è osservare come ad andarsene oggi siano sempre di più lavoratori con un grado di competenze medio-alto: in un momento in cui la competitività delle imprese e di interi territori si gioca appunto sulle competenze, questo rappresenta un impoverimento molto pericolosissimo in prospettiva futura. Abbiamo già ricordato la prospettiva, che è una certezza, della perdita di 50 mila lavoratori per effetto del calo demografico da qui a 15 anni. Come dimostrano questi dati, al momento non siamo in grado di rimpiazzarli nemmeno parzialmente con lavoratori provenienti da altri territorio o Paesi, perché la provincia vicentina semplicemente non è più attrattiva».

Da qui l’allarme di Cisl Vicenza e la richiesta alle istituzioni politiche e alle parti sociali di affrontare la questione con un piano strategico: «Con la nostra ricerca abbiamo contribuito a mettere a fuoco il fenomeno e le sue dinamiche. Ora occorre interrogarsi sulle cause e porre in atto i rimedi - prosegue Consiglio -. Sicuramente un primo tema riguarda le politiche abitative: la mancanza di alloggi è un fenomeno ormai di dominio pubblico, con prezzi degli affitti spesso insostenibili per chi deve iniziare una nuova vita professionale, magari trasferendosi con tutta la famiglia. I Comuni, in particolare quello di Vicenza ma non solo, devono mettere immediatamente in cantiere un piano di rilancio dell’edilizia popolare, ristrutturando le case di proprietà pubblica al momento vuote perché trascurate nel corso degli anni. Allo stesso tempo la questione abitativa va affrontata anche con nuovi modelli, in grado di accompagnare i lavoratori immigrati, italiani e stranieri, nella fase iniziale, che generalmente è la più difficile: penso ad esempio a case in coabitazione offerte a prezzi molto contenuti, per un periodo iniziale e limitato, a quei lavoratori che si trasferiscono da soli, dando loro la possibilità di consolidare la propria posizione lavorativa finché non hanno le risorse per prendere in affitto un appartamento da soli e far trasferire la famiglia».

Dare una casa ai lavoratori che scelgono di trasferirsi nel Vicentino però non basta: «Molti lavoratori con famiglia, soprattutto italiani, non si trasferiscono più per non rinunciare ad un essenziale supporto di welfare familiare (pensiamo ai nonni che aiutano ad accudire i figli piccoli) che perderebbero allontanandosi da casa. Ecco allora di nuovo l’appello a potenziare i servizi per la famiglia, in particolare quelli per la cura dei bambini: oggi questa è non solo una leva per costruire una maggiore equità sociale e favorire l’occupazione femminile, ma diventa anche uno strumento per tornare a essere un territorio attrattivo. E sempre pensando ai lavoratori in ingresso con tutta la famiglia, vanno ripensati i servizi di formazione e orientamento al lavoro con percorsi dedicati ai loro coniugi, quanto meno con percorsi dedicati».

Costo della vita

Infine, il Vicentino paga anche lo svantaggio di un costo della vita più elevato rispetto ad altri territori d’Italia: «Su questo gli enti pubblici locali possono incidere impegnandosi a calmierare i costi dei servizi pubblici, ma un aiuto può arrivare anche dalle imprese attraverso la contrattazione di secondo livello, inserendo sempre di più al suo interno bonus e incentivi in grado di alleggerire il bilancio familiare».

Tante proposte concrete, ma anche un appello: «I fronti su cui possiamo e dobbiamo lavorare sono tanti, però il tema va affrontato con concretezza, iniziando davvero a pianificare e attuare degli interventi a sostegno delle politiche abitative e di inserimento dei lavoratori e delle loro famiglie nel tessuto economico e sociale, altrimenti la già grave carenza di lavoratori che oggi colpisce un po’ tutti i settori è destinata a diventare irrecuperabile. E in quel caso andremo verso una deindustrializzazione forzata, con conseguenze catastrofiche a livello economico e sociale per tutta la comunità».


 

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