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Aria malata, sit-in contro «i veleni delle concerie»

Nel piccolo comune ai piedi dei colli lessini una sessantina di persone rilancia il problema dei solventi e dell'idrogeno solforato scaricati in atmosfera dall'industria della pelle: «dagli amministratori vogliamo meno chiacchiere e più fatti»

Oggi 25 luglio in mattinata «una sessantina» di persone ha pacificamente invaso piazza Regaù a Zermeghedo dando vita ad un colorato sit-in. Sotto il municipio del piccolo centro ai piedi dei Lessini i dimostranti hanno chiesto che le amministrazioni dell'Ovest vicentino, più in particolare quella zermeghedese, si adoperino per ridurre le pressione ambientale delle industrie del luogo, concerie in primis ma non solo: chiedono che nell'aria «ci siano meno veleni». L'evento, organizzato dal comitato locale «Diritto di respirare» ha visto la partecipazione di attivisti e coordinamenti di tutto il comprensorio dell'Agno-Chiampo.

IL PORTAVOCE
«Gli ultimi dati resi noti dall'Arpav in relazione alla presenza nell'aria dell'idrogeno solforato ci preoccupano» fa sapere Filippo Albiero, presidente e portavoce del comitato, il quale a margine del sit-in si è «molto rammaricato» del fatto che la giunta comunale non sia scesa in piazza per spiegare ai manifestanti il proprio punto di vista. La questione dell'idrogeno solforato, un prodotto di scarto della concia sotto forma di refluo gassoso, è ben noto da anni. Tuttavia la polemica s'è fatta nuovamente rovente quando Vicenzatoday.it ha scovato tra i documenti agli atti dell'Ulss berica una missiva considerata «esplosiva» dagli attivisti nella quale la stessa Ulss metteva nero su bianco il problema del rischio salute, in particolare per il circondario di Zermeghedo, proprio in relazione alla presenza dell'acido solfidrico.

L'ARPAV
Per di più le più recenti indagini di Arpav al riguardo, promosse nell'ambito del «Progetto Giada», una campagna di monitoraggio del comprensorio realizzata da Arpav con il coordinamento della Provincia di Vicenza e dei comuni del distretto conciario, non fanno dormire sonni tranquilli al comitato perché i rilevamenti della zona di Zermeghedo fanno registrare valori di picco che sono in limine per quanto concerne la soglia allerta di fissata dalla legge. Rispetto a quest'ultima tra l'altro i comitati sono molto critici. «Per quanto blanda», fino al 2012 la legge poneva un limite, che poi è stato eliminato dalla maggioranza parlamentare che resse le sorti del Governo Monti a scavalco tra il 2012 e il 2013. Una modifica della disciplina (si tratta della legge 35 del quattro aprile 2012) «votata alla deregulation» che secondo diversi attivisti «vide ambienti del centrodestra e del centrosinistra vicentini trasversalmente molto affaccendati in una attività di lobbying per favorire de facto anche la concia». Per l'acido solfidrico la vecchia norma del 1971 fissava limiti per le immissioni all'esterno dei cosiddetti perimetri industriali di 100 microgrammi per metro cubo su un tempo di mediazione ai fini della misurazione di 30 minuti; limite che passava a 40 microgrammi su metro cubo per un tempo di mediazione di 24 ore. Nel 2012 per l'appunto la legge, consuderata «già blanda» dagli ecologisti, ha fatto suoi i limiti «ancor meno stringenti» che sono poi i parametri guida, peraltro non vincolanti, elaborati dall'Oms che alzano il valore a 150 microgrammi su metro cubo. Il dibattito peraltro nel mondo scientifico è ancora in atto perché le cosiddette mediane vengono considerate un escamotage «per allungare il brodo» nell'ambito della misurarazione del contaminante.

«QUESTIONE IRRISOLTA»: I DATI IN RITARDO
La questione di fondo («una questione irrisolta») secondo il presidente Albiero è «che ad ogni modo i rilevamenti di Arpav vengono comunicati sempre un anno dopo e in quel lasso di tempo i veleni, tanti o pochi che siano ce li respiriamo tutti». Massimo Follesa, presente alla manifestazione, già consigliere comunale a Trissino dove una decina di anni fa ingaggiò una dura battaglia mediatica «contro il Rino Mastrotto Group» per una questione di possibile conflitto di interessi in capo all'allora assessore all'ambiente trissinese Cecilia Fochesato (che era una funzionaria della conceria Mastrotto, società sottoposta alla vigilanza ambientale comunale), non ha dubbi. E rimarca che «mentre si attende da troppo tempo in una sorta di intollerabile gioco dei rimbalzi l'intervento del legislatore nazionale e di quello regionale che senza dubbio dovrebbero disciplinare il comparto in modo assai più restrittivo, un primo importante passo lo potrebbero già compiere i comuni inserendo nei piani regolatori l'obbligo per alcune imprese ad elevato impatto ambientale, non solo le concerie quindi, di dotarsi di un sistema di monitoraggio continuo dei contaminati, rendendo visibile su un cruscotto on-line, ora dopo ora, i risultati dei campionamenti, serie storiche comprese».

SITUAZIONE CRITICA
«La situazione è talmente delicata» che rischia di sfuggire di mano agli amministratori del comprensorio alle prese con una pressione ambientale (che si lega a quella esercitata da un sempre maggior numero di cittadini) che va dalla concia, alla Miteni per non parlare di altre imprese dalla pezzatura rilevante come la Fis nella sua doppia sede di Montcchio Maggiore e Lonigo. Tant'è che alcuni giorni fa proprio sulla scorta di un malcontento popolare che comincia a farsi sentire giusto a ridosso delle elezioni regionali, i sindaci di Arzignano, Chiampo, Montebello, Montorso e Zermeghedo hanno scritto al governo e per conoscenza a palazzo Balbi: al primo destinatario hanno domandato una riforma della norma nazionale che imponga soglie più restrittive nei confronti dell'acido solfidrico (meglio noto come idrogeno solforato).

La cosa tra l'altro nelle valli del Chiampo e dell'Agno non è stata interpretata solamente come un invito formale al governo e come un mezzo per sgravare la tensione sui comuni, ma è stata vista anche come una manovra, anche dettata dalle difficoltà del momento. Una manovra pensata per trovare sponda presso il legislatore come controbilanciamento rispetto alle richieste delle lobby della chimica e della concia, le quali sotto il pelo dell'acqua si fanno sempre più pressanti e sarebbero difficilmente gestibili da piccoli comuni in cui interessi e cordate di potere anche di livello locale fanno sentire tutto il porprio peso: anche facendo ricorso «ad una pratica di fatto mafioseggiante che è quella del ricatto occupazionale».

UN «MOSTRO OCCULTATO»
Tuttavia non c'è solo l'acido solfidrico a turbare il sonno della gente che spiega: «non c'è più tempo: bisogna intervenire, dagli amministratori troppe chiacchiere e pochi fatti». L'altra patata bollente, di cui si parla da anni, sono i solventi, un problema considerato come una sorta di «mostro occultato». Si tratta di sostanze usate spesso nelle industrie di lavorazione del pellame in primis in sede di tintura. A differenza dell'idrogeno solforato (noto perché sprigiona un odore simile a quello delle uova marce) i solventi non si avvertono facilmente. Ma a differenza dell'acido solfidrico sono spesso cancerogeni. Da settimane su Facebook gli abitanti di Zermeghedo pubblicano a ripetizione le foto della conceria Gea, impauriti dagli sbuffi opachi dei camini delle linee di tintura. Anche in questo caso gli ultimi dati dell'Arpav descrivono una situazione a luci ed ombre, ma con una serie «di picchi preoccupanti» ribadiscono i residenti.

Detto terra terra la gente talvolta è spaventata perché la norma pesa la pressione di questi composti in ragione di una misura media. «Ma che cosa succede ai nostri figli quando per anni una o due volte al giorno in orari ben precisi fanno scorpacciate di quelle sostanze tanto temibili quanto infide?». Un concetto che durante la manifestazione è stato reso così. «Se io in auto passo due volte al dì per il centro di Zermeghedo, una volta a cento all'ora e una volta a mezzo kilometro l'ora, non è che non becco mai la multa perché la media delle due velocità è cinquanta» tuonano i dimostranti. E così la tensione rimane alta: «Ne abbiamo i polmoni pieni» e «basta i veleni delle concerie» sono stati i refrain più gettonati. Ma come la pensa la giunta zermeghedese al riguardo? Chi scrive ha interpellato il vicesindaco Simone Cracco (sua la delega all'ambiente) anche per chiedergli conto delle critiche arrivate al suo ufficio (critiche che investono la sfera etica e non quella giuridica peraltro) giacché Cracco, chimico libero professionista, sarebbe stato a più riprese consulente di alcune concerie del comprensorio. Da quest'ultimo però, almeno per il momento non sono arrivati commenti.

GUARDA LA TESTIMONIANZA DI FILIPPO ALBIERO

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