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Cronaca Trissino

Miteni, al momento niente chiusura ma gli attriti rimangono

Durante un incontro con la dirigenza i sindacati hanno chiesto più sicurezza sul luogo di lavoro dopo lo scampato incidente di alcuni giorni fa

Per il momento la Miteni non chiude. Tuttavia le prescrizioni imposte di recente dalla provincia di Vicenza in termini di tutela ambientale potrebbero avere alcune ripercussioni anche a livello occupazionale. È questo il quadro emerso oggi nel tardo pomeriggio quando la dirigenza della fabbrica trissinese da anni al centro del caso Pfas ha incontrato le rappresentanze sindacali unitarie, le Rsu. L'incontro pur caratterizzato da toni pacati si è svolto in un clima di tensione dal momento in cui proprio la dirigenza ha parlato anche di ipotesi di cassa integrazione che potrebbe materializzarsi a breve.

Durante l'incontro Renato Volpiana (in foto) della Rsu Cgil-Filctem ha fatto presente all'amministratore delegato Antonio Nardone che «il sindacato ritiene necessaria una serie di investimenti in materia di sicurezza che non sono più prorogabili». Ad ogni buon conto i vertici aziendali dopo aver incontrato il sindacato hanno incontrato anche le maestranze. In quel frangente sarebbe stata ipotizzata anche la cessione di qualche ramo d'azienda, più precisamente uno spin-off, anche se tutto rimane in sospeso. Certo è che una evenienza del genere potrebbe essere addebitabile anche alla non facile situazione dell'azienda sul piano economico.

La società da tempo ha chiesto il concordato nonché una proroga dei termini per presentare al tribunale la situazione prima che quest'ultimo si pronunci per concedere o meno il concordato stesso. Il quale è una procedura che in qualche modo permette di sollevare il bilancio aziendale da una parte della stretta creditizia. Ma c'è di più. I mal di pancia tra i dipendenti si sono moltiplicati quando il personale è venuto a sapere (questa almeno è la doglianza dei lavoratori) che Nardone (un anno fa o poco più), in nome e per conto della compagnia, avrebbe beneficiato di una cifra, spiccio più spiccio meno, di cinquecentomila euro. Il motivo? Si tratta di un premio regolarmente incamerato dal gruppo Allianz a seguito del contratto assicurativo per danni ambientali stipulato per l'appunto col colosso europeo con base a Monaco di Baviera.

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