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«Le leggi e le scelte di molti tribunali spingono le madri a non denunciare gli uomini violenti»

È impietoso il giudizio della associazione Movimentiamoci che ha così commentato i tre recenti episodi di vessazione patiti nel Vicentino da altrettante donne: l'atteggiamento «di certa giustizia non solo è maschilista, ma pure schifosamente classista»

I tre distinti episodi di «madri e figlie picchiate senza pietà» nel Vicentino che non hanno avuto la forza di denunciare gli uomini violenti sta facendo il giro dei media veneti. I tre episodi però hanno scatenato al contempo la reazione furente di Movimentiamoci, una associazione di Vicenza che da anni si batte contro le vessazioni patite da madri e figli. In una nota diffusa oggi 18 agosto, la presidente Emanuela Natoli, spara ad alzo zero non solo sui maschi violenti: ma pure su quei settori delle istituzioni, specie tra le fila dei magistrati, degli assistenti sociali e dei consulenti dei tribunali, che di fatto, attacca Natoli, finiscono per facilitare le vessazioni. Allo stesso modo, Movimentiamoci spara a palle incatenate contro una legge varata diciassette anni fa, che di fatto facilita le condotte più feroci da parte degli aggressori.

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«Se le istituzioni, a partire dalla magistratura e dai servizi sociali, spesso e volentieri non proteggono le vittime di reati compiuti in famiglia, come si può pretendere che una donna o un figlio - si legge - denunci la violenza patita? La feroce violenza istituzionale, alla quale sono esposte le vittime, madri in primis, dopo le loro denunce vengono indirizzate agli uffici competenti è ciò che da anni andiamo segnalando all'opinione pubblica: sfidando critiche ipocrite, polemiche costruite ad arte, attacchi vigliaccamente feroci».

«NOI TESTIMONI E SOPRAVVISSUTE»
E ancora, proprio per questo, attacca la presidente, «non ci stupisce che tre povere donne residenti nel Vicentino, tanto apprendiamo dalla stampa veneta in queste ore, pur sottoposte a vessazioni e violenze non abbiano avuto la forza di denunciare i propri aggressori. Sappiamo come gira la giostra  in quelle famiglie in cui l'uomo, il padre, il parente prossimo hanno scelto la strada del sopruso su madri e figli. Molte di noi sono testimoni di fatti specifici. Molte di noi sono vere e proprie sopravvissute insieme ai propri figli. Molte di noi sono sopravvissute a questa ferocia e quindi continueremo a lottare perché la verità emerga. Ma la situazione che viviamo da anni è anche il frutto avvelenato di scelte infauste prese a livello legislativo».

LA «VERGOGNA DELLA 54 DEL 2006»
Natoli rincara poi la dosa e sottolinea come fin dalla approvazione «della vergognosa legge 54 del 2006, una legge vergogna che de facto facilita le condotte anche in odore di pedofilia, una legge che in origine era stata pensata per disciplinare la materia del cosiddetto affido condiviso infatti», si sia costituito «un potente sistema di ridefinizione della violenza domestica». Infatti in molti, in troppi tribunali, «si parla solo di conflittualità mentre in tantissimi dimenticano che le condotte di molti padri violenti sono condotte non solo abiette ma che si concretizzano in veri e propri reati».

«RELAZIONE OBBLIGATORIA CON L'AGUZZINO»
In contesti del genere, questo il succo della doglianza, finisce che le vittime «sono condannate alla relazione obbligatoria con il loro aguzzino, finalizzata a restaurare ad ogni costo i legami familiari in nome dell'astratto maggiore interesse del minore». Una nozione che non solo «è sbagliata», ma che si porta appresso «il puzzo del sospetto di essere stata concepita in maniera politicamente delinquenziale».

Di conseguenza, stando così le cose, le madri che tentano di tutelare i propri figli da abusi e violenze vengono bollate come «alienanti, non collaborative, tanto che secondo certi magistrati, certi consulenti, certi assistenti sociali, queste donne vessate si rivolgono alla giustizia con denunce strumentali per secondi o terzi fini». Purtroppo, rimarca Natoli, «è da un bel po' di tempo che alcuni settori della giustizia» si sono incamminati «in questo malnato solco fatto di cultura omertosa e patriarcale».

«ATTEGGIAMENTO CLASSISTA» 
Si tratta di parole che pesano come pietre rispetto alle quali la chiusa non è da meno. «Spesso e volentieri sono le istituzioni a obbligare aguzzino e vittima ad un doloroso, per le vittime, percorso comune: che sfibra le donne e i figli vittima di violenza, danneggiando queste ultime pure sul piano economico». Il che accade, secondo il j'accuse di Movimentiamoci, perché la donna in casi del genere «nove su dieci vive una condizione svantaggiata rispetto al compagno».

Il che denota un atteggiamento «di certa giustizia non solo è maschilista, ma pure schifosamente classista. Per questo noi donne di Movimentiamoci non smetteremo mai di lottare e di denunciare la deriva di alcuni pezzi delle istituzioni». Detta semplice semplice, puntualizza Natoli ai taccuini di Vicenzatoday.it «le leggi e le scelte di molti tribunali spingono le madri a non denunciare gli uomini violenti».

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