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Morto un Papa se ne fa un altro, ma un saluto dal cielo era opportuno

Grazie di cuore a Giovanni Colella e benvenuto a Michele Serena, con qualche riflessione

Benvenuto a Michele Serena e in bocca al lupo a Giovanni Colella. Se potessi parafrasare Shakespeare, mettendomi nei panni di Marco Antonio, direi: “Sono qui per seppellire Colella e non per lodarlo.”

Il web è già abbastanza popolato di sciacalli occupati a contribuire con la loro pala virtuale al riempimento di guano dell’ex allenatore del Vicenza. E si tratta di uomini d’onore. Tutti uomini d’onore. Cosa mai potrei aggiungere io, con i pochi neuroni ancora funzionanti nel mio cerebro obsoleto? Io che continuo a considerare il tecnico trevigiano un buon allenatore e una grande persona? Dovrei, forse, prepararmi a far la guerra al suo sostituto? Ma Serena non ha alcuna responsabilità in merito e il ruolo di giornalista mi porta dritto ad un augurio sincero, sperando che la sua esperienza col Lane si riveli produttiva e vincente. Perché, si sa, le panchine passano, anche quella di Colella, ma i colori biancorossi rimangono. Dovrei prendermela allora con la società?

In realtà, la decisione di giubilare il coach non è arrivata per caso: nel calcio (come nella vita) ogni professionista è figlio dei risultati che ottiene. E i risultati delle ultime settimane sono agli occhi di tutti. La squadra stava vivendo un’involuzione di gioco e di mentalità sulla quale occorreva intervenire. Una vecchia regola del calcio dice che non potendo cambiare l’intero parco giocatori è più facile affidarsi alla defenestrazione del singolo. Si tratta di un rito catartico già visto in mille altre occasioni e che serve, nel dettaglio, a salvare le chiappe di chi resta di fronte all’irritazione popolare. Viene individuato il capro espiatorio e ognuno ci si pulisce la coscienza. Per fortuna non per tutti è proprio così. In conferenza stampa sia il DG Bedin (“Decisione sofferta ma ineluttabile””) sia soprattutto il DS Seeber (“Non è lui l’unico responsabile. E’ una sconfitta di tutti”) si sono defilati almeno parzialmente dal gioco al massacro dei cosiddetti leoni da tastiera. Io non posso certo sapere se Colella sarebbe riuscito a raddrizzare la barca, così come non posso indovinare se questa operazione riuscirà invece a Michele Serena. Mi sarebbe piaciuto, tuttavia, un intervento al massimo livello, per addolcire la pillola di un licenziamento doloroso.

Ma è da qualche tempo che il titolare del Lane aveva già scaricato il suo ex pupillo, quello stesso che aveva tratto dai guai l’anno scorso un Bassano disastrato per proiettarlo verso i play off, persi poi con una buona dose di sfortuna. L’intervento sul palco alla festa per gli auguri natalizi a Breganze aveva messo in allarme i più smaliziati tra noi sul progressivo distacco tra la proprietà e il tecnico. E qualche altro segnale successivo, anche sui social forum, aveva confermato tale impressione.

Renzo Rosso è un grande imprenditore, lo dice la sua storia. E noi vicentini abbiamo con lui un enorme debito di riconoscenza per aver tratto fuori la società da un fallimento esiziale che stava per sancire il punto più basso della storia del club. Che, ricordiamolo, in 116 anni non ha mai assaggiato un declassamento in C2 (o serie D che dir si voglia). Renzo Rosso ha ridato credibilità, risorse e professionalità ad una società che era stata recentemente lo zimbello dell’intera Italia sportiva.

Ma le cronache ci hanno dimostrato in ripetute occasioni che non basta essere un bravo imprenditore e un buon manager per potersi salvare dalla piovra del calcio. La quale nasconde al suo interno una grande contraddizione: è difficile far bene senza spendere soldi ma anche quando gli investimenti sono congrui, non c’è alcuna garanzia di successo. Temo che non serva a molto (spero di sbagliarmi e che invece l’esperienza attuale mi smentisca) la convinzione che l’attività aziendale nel mondo del pallone debba piegarsi alle regole base del buon business di mercato, di cui RR è maestro.

Il calcio è una brutta bestia. Non servono le convention motivazionali, non basta uno staff di alto livello, non basta la programmazione pluriennale. In aggiunta, sono necessarie tanta, tanta pazienza e pervicace capacità nel metabolizzare gli insuccessi e i costi imprevisti. Per uscire dall’inferno della Terza Serie la cordata Barilla di Parma ha sin qui bruciato nel calderone degli investimenti qualcosa come 8 miliardi. Qualcuno ha fatto anche di peggio. E senza raggiungere gli obiettivi. Far diventare produttiva l’azienda Vicenza presuppone un’impresa titanica, che, in caso di successo, candiderebbe Rosso al premio Nobel per l’economia. Lo speriamo con tutto il cuore. Per lui e per il Lane, naturalmente.

E siccome so che talvolta lui mi legge, mi permetto di aggiungere un’ultima annotazione, a completamento di queste righe. Il calcio è tutte le cose che ho enumerato prima. Ma anche altro. Il calcio è pure fatto di rapporti umani, di sensibilità e di empatia. E io una parola pubblica di ringraziamento a Colella da parte del patron me la sarei aspettata…

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