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Lane: uno tsunami che rischia di affogare un mito

Mimmo Di Carlo si è lasciato dietro una scacchiera disastrata. Per rimettere i pezzi al loro posto sarebbe meglio ripartire da umiltà e autocritica. E tutti sono chiamati a fare la loro parte. Perché le colpe sono collettive

Al Vicenza probabilmente pensavano di aver infilato una genialata mettendosi tutti al riparo sotto l’ombrello di San Domenico da Cassino. All’inizio, in effetti, la cosa ha anche funzionato. Fissi e coperti all’ombra della Grande Icona del calcio biancorosso. Poi però ecco succedere quel che nessuno aveva previsto: dopo aver terminato mestamente il campionato scorso, l’allenatore infila in questo inizio di stagione una terrificante serie di otto sconfitte su otto partite (per carità cristiana escludiamo dal conto l’inglorioso pareggio contro una formazione di serie D) con il risultato di scoprire nell’occhio del ciclone lo stesso Unto dal Signore, l’intoccabile Di Carlo.

Un evento cui nessuno aveva pensato, vista l’enorme dote d’amore puro che la “bandiera” porta tuttora con sé, un amore acquisito attraverso una milizia sul campo degna del massimo Gotha berico. Nessuno in via Schio aveva probabilmente pensato all’effetto tsunami che ne poteva derivare. Il naufragio dell’avventura di Mimmo in panchina ha subitaneamente chiuso quel comodo parapioggia, lasciando tutti gli altri protagonisti della Lanenovela scoperti come un cane sull’uscio della chiesa in un giorno da diluvio universale.

Dopo il principio di Inquisizione gravato sul tecnico nei giorni successivi alla debacle di Ferrara, le ire dei tifosi si sono presto spostate dalla zucca pelata dell’ex mister a personaggi apparentemente intoccabili: dal DS al DG fino al presidente e al patron Renzo. Un’onda di protesta e di risentimento che ora sta rischiando di fare di tutt’erba un fascio, coinvolgendo nelle responsabilità per questa squadra fanalino di coda (e titolare di almeno un paio di record negativi da far tremare i polsi) anche personaggi che magari tutta questa responsabilità non hanno. O ce l’hanno solo di sponda. Magallini, ad esempio, ha di certo costellato la sua avventura all’ombra della basilica con una serie errori fantozziani (è persino inutile entrare nel dettaglio) ma siamo sicuri che abbia potuto operare nelle condizioni migliori?

E che la lista dei nomi (tanto l’anno passato che questo in corso) l’abbia scritta lui di testa sua? E’ un dubbio che passo ai miei lettori. E la tempesta di critiche che stanno piovendo sulla testa di Bedin, poggia su fatti concreti o è diventata un fatto emozionale? Siamo proprio sicuri che fosse nelle competenze di un direttore generale l’intrusione nelle questioni tecniche e di spogliatoio? In realtà, come sa bene chi ha una certa competenza di rapporti in una società professionistica, l’ambito operativo di un DG nel calcio italiano è stato sempre oggetto di grandi discussioni.

C’è chi non lo considera un elemento necessario, chi invece lo vede come il cardine dell’intero sistema squadra, chi lo vuole fortemente legato al ruolo dell’AD e chi al contrario lo pretende limitato ad una funzione amministrativa e di gestione finanziaria. La domanda, anche in questo caso smistata ai tifosi, è dunque: che cosa si chiedeva esattamente al direttore? Di occuparsi del mercato? Di farsi sentire in spogliatoio? Di gestire in prima persona la crisi? Bisognerebbe per prima cosa sapere esattamente che tipo di paletti ha piantato la proprietà in questo ambito (visto che il DG risponde direttamente al board). Io purtroppo non ne sono informato, ma c’è sempre chi è più addentro alle secrete cose, specie tra i leoni da tastiera… Ce lo spiegheranno loro. E proprio quanto alla proprietà, che dire? Orba della personalità traboccante di Di Carlo, anche i Rosso si sono trovati col cerino in mano. Perché un conto è far fuori Colella o Serena, un altro è liquidare un “mostro sacro”.

La piazza è umorale. Passata la rabbia, resta nella gente la gratitudine per l’indimenticabile giocatore da 268 presenze. Ma quando la nave affonda, la gente ha un disperato bisogno di colpevoli, lo sappiamo tutti. Ecco allora finire come bersaglio del tiro a segno anche quelli che il Vicenza l’hanno tirato fuori dal guano, consentendogli, nel bene e nel male di ripartire. Avranno pure il braccino corto (come dicono in tanti), saranno troppo poco presenti nella vita della squadra (come sostengono altri) ma è fuor di dubbio che se il re dei jeans non si fosse buttato nell’avventura del Lane, veramente non so dire cosa resterebbe oggi, della grande storia partita nel 1902. Probabilmente un presente da scapoli e ammogliati. Pur essendo Vicenza una delle 20 province più ricche d’Italia, per quel che riguarda l’AssoIndustria locale la Nobile Provinciale potrebbe morire domani e nessuno aprirebbe il taccuino per il calcio. Fidatevi. Ma non chiedetemi di dividere con la lama della verità il gran guazzabuglio nel quale ci siamo cacciati.

Dont shoot me, im only the piano player. Anzi no, nemmeno il pianista, sono un semplice cameriere col suo vassoio di opinioni. Cosa mi resta dunque da dire in conclusione? Ciò che ho sempre affermato sin dall’inizio. Che l’unica strada percorribile per trarre il Vicenza fuori dal pantano passa attraverso la modestia, l’autocritica e lo sforzo per comunicare assai di più e meglio di quanto non sia successo finora. Il richiamo che continuamente arriva dall’alto, volto a trovare una sintesi comune, un’unità di intenti, una coesione di tutte le componenti, è giusto. Ma prima di chiedere, bisogna dare. E soprattutto occorre smetterla di prendere in giro l’ambiente, consapevolmente o inconsapevolmente. Evitando (come purtroppo faceva in continuazione Mimmo Di Carlo) di fare i fenomeni.

Se il Lane è fermo a zero punti non può essere solo frutto di sfortuna, contingenze mediche, assenza di pubblico e bla bla bla. S’è assommata commessa tutta una serie di errori, da più parti. Riconoscerli, ammetterli, analizzarli e farne tesoro, è parte fondamentale di una ripartenza che è ancora possibile. Nei numeri e nella sostanza. Ma per compattare tutti verso un obiettivo tanto difficile non servono manuali di marketing. Servono fatti. Ci proverà Brocchi, con tutte le sue forze. Ma nessuno pensi che tutto dipenda dall’allenatore. La vera genialata, a questo punto, sarebbe scendere dal piedistallo e spiegare bene alla gente cosa sta succedendo. Non nell’inglese di Wall Street, ma col linguaggio della gradinata. “Eccoci qua. Siamo venuti per poco, perché per poco si va. E ci inchiniamo rispettosamente…” direbbe Francesco De Gregori…

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