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Madamoiselle X e il delitto nel Delta del Po

Un caso estivo per Lidia Nardi, questa volta in "trasferta". Il racconto di Silvia Miola per Vicenzatoday

«Esattamente… cosa è andato storto nell'ultimo incarico che ti ho affidato?» Lidia stava per abbozzare una risposta, ma il direttore Zanatta la anticipò: «No, no, non voglio sentire nessuna scusa. Piuttosto… ho qualcos'altro per te: devi indagare sulla misteriosa morte di due fratelli pescatori nel Delta del Po e su una vecchia sospetta che si aggira da quelle parti.»

«Nel Delta del Po? Ma generalmente noi ci occupiamo di cronaca locale…»

«E invece questa volta vai a Rovigo... A TUE SPESE! E cerca di fare un buon lavoro per farmi dimenticare il tuo ultimo fallimento. Magrin ha la documentazione.»

L'incarico era chiaramente una punizione: il giorno prima Lidia non aveva saputo aiutare il cugino del direttore fermato dai carabinieri.

Solitamente era Marco Magrin ad occuparsi di cronaca nera ma questo era un delitto strampalato senza alcuna pista. Il direttore doveva proprio aver cercato con cura la vicenda.

Lidia entrò nella stanzetta che fungeva da ufficio comune per i tre giornalisti della testata. Si avvertiva una strana tensione: forse c'era un po' in imbarazzo per la ripicca del direttore, di cui tutti erano a conoscenza. Si avvicinò al tavolo di Magrin e disse: «“Zan” mi ha detto che hai della documentazione da darmi.»

«Sì, in realtà poco o nulla. Si tratta di un duplice omicidio senza testimoni nella Sacca degli Scardovari. Gli abitanti del luogo farfugliano qualcosa su delle leggende del posto e di qualcuno o “qualcosa” che vaga nei campi.» rispose il collega.

«Sono zone molto belle e poetiche, vero Lidia?» commentò il collega Davide Soldà cercando di renderle il compito meno ingrato.

«Sì, c'è un'atmosfera molto rarefatta, suggestiva. Certo non a gennaio…»

«Non è detto.» aggiunse Soldà in tono apparentemente sincero.

«Ah, Lidia quasi dimenticavo… è passato un tizio impettito e ha lasciato questo biglietto da visita.» disse Marco porgendole un biglietto da visita che recava il nome del conte Papafava-Falier.

«Cosa ha detto?» chiese Lidia.

«Nulla, è passato a farti visita. Forse vuole essere richiamato.» rispose Soldà, sebbene non fosse stato interpellato.

«Aveva persino il cappello e il bastone da passeggio… non sarà nemmeno un conte.» commentò Magrin rivelando così di essere rimasto colpito dall'eleganza dell'uomo tanto da provarne invidia.

«L'ho conosciuto quando mi sono occupata del caso di Noventa Vicentina… Lo richiamerò, ma adesso devo occuparmi del nuovo incarico.»

Una quindicina di ore dopo Lidia era già alla guida della sua utilitaria di seconda mano che sembrava sempre in procinto di abbandonarla e che, invece, resisteva ostinatamente contro ogni previsione. 

Verso mezzogiorno arrivò all'agriturismo in cui aveva scelto di pernottare, una ex stazione di pesca delle anguille. Era un luogo incantevole, ma sperduto. A tratti, nonostante la luminosità rifranta dall'acqua salmastra, si avvertiva una sensazione di disagio. 

Voleva avere un primo approccio alla vicenda interrogando i gestori dell'agriturismo, anche perché non c'era una vera e propria pista da seguire.  I fatti erano questi: la notte tra il 24 e il 25 dicembre due fratelli erano usciti a pesca e la mattina del 26 erano stati ritrovati morti. Il decesso era avvenuto la mattina del 25, ma non se ne capivano le cause. Apparentemente si trattava di arresto cardiaco, ma... entrambi? Nello stesso  momento? 

I gestori dell'agriturismo erano i fratelli Ada e Alberto che avevano rilevato l'attività pochi anni prima. Lidia cercò di intavolare una conversazione con la scusa di voler noleggiare una bicicletta che i due mettevano a disposizione dei clienti. Si fece dare una mappa delle strade percorribili in bicicletta per farsi una rudimentale idea del territorio. Dopo qualche esitazione rivelò di essere una giornalista sulle tracce del duplice omicidio e chiese loro che idee avessero a riguardo. I due si guardarono come per accordarsi vicendevolmente il permesso di parlare.

«Deve sapere» esordì Ada «che è proibito uscire a pesca a Natale e alla Vigilia.»

«Dalla legge?» chiese ingenuamente Lidia.

«No, … non dalla legge. Sono superstizioni di pescatori e contadini affamati che si tramandano ancora. Noi non ci crediamo ovviamente.»

«Naturalmente, però sono così affascinanti le tradizioni popolari! Sicuramente ci raccontano molto della natura dell'essere umano, non trovate? In fondo è la materia di studio degli antropologi.» disse la giornalista sperando di spingerli a parlare.

«La polizia non ha voluto minimamente considerare… Tutti noi sappiamo che chi osa pescare in qui giorni viene colpito da una maledizione.» (Lidia annuiva come se anche lei trovasse adeguata una punizione.) «I giorni precedenti il delitto era stata vista aggirarsi per le campagne una donna vestita di nero, anzi “la donna”. Un tempo era umana, ma a causa del dolore scaturito da ripetuti lutti si è trasformata in un fantasma.»

«Come... la riconoscete?»

«Sappiamo che non è umana perché nessuno può ricordare il suo volto.» rispose Alberto «Chi riesce a vederla sa che la propria fine è vicina. E' una vecchia vestita come anticamente usavano le nostre contadine.  Immagino che sia venuta a conoscenza dello sciagurato piano che avevano in mente i due pescatori. Tutti sospettavamo qualche cosa  perché dopo diversi “bicchieri di troppo” i fratelli avevano l'abitudine di irridere la tradizione di non pescare in quei giorni sacri. In osteria tutti erano inorriditi da tanta blasfemia, ma nessuno osava controbattere. Io non amo immischiarmi nelle chiacchiere da osteria e credo che queste superstizioni  non incoraggino certo l'arrivo di turisti. Non nego che abbiano una loro validità, ma non è prudente parlarne ai forestieri.»

La sorella lo guardò come a rimproverarlo così Lidia cercò di stemperare: «Io invece, come tanti dell'entroterra, amo le storie di fantasmi. Ovviamente sto cercando un assassino in carne ed ossa, ammesso che si tratti di un delitto.»

«Ovviamente.» rispose l'uomo.

«Durante la notte potrebbe avvertire dei rumori, ma non ci faccia caso: è la numerosa fauna che ci circonda. Molti “cittadini” non hanno mai sentito nemmeno il lugubre canto della civetta.» aggiunse in modo un po' enigmatico Ada.

L'uomo deviò bruscamente il discorso dalla fauna locale: «Intende cenare nell'annessa trattoria? Data la stagione facciamo pochi coperti, ma possiamo proporle un menù a prezzo fisso: trenta euro escluse le bevande. Le chiediamo di confermare il prima possibile così da poterci organizzare.»

«Il menù a prezzo fisso andrà benissimo, grazie.»

La camera che le era stata assegnata era ammobiliata con dei semplici mobili di inizio Novecento che avevano dei sobri intagli floreali. Lidia li guardò con tenerezza perché le risultavano in qualche modo familiari, poi si vestì pesantemente per una prima ricognizione in bicicletta.

Si diresse verso la stazione della polizia locale ospitata in una vecchia caserma rimaneggiata in epoca fascista. I poliziotti furono stupiti nel vedere una giornalista interessata alla vicenda, perché nemmeno la cronaca locale gli aveva dato risalto. 

Il giovane commissario capo le offrì un caffè e le riferì gli sviluppi del caso. Sembrava quasi ansioso di ricevere una visita: probabilmente risentiva di quella destinazione lavorativa remota e sonnolenta. La possibilità di indagare finalmente su un duplice omicidio era sfumata: il medico legale propendeva per una morte naturale anche se non sapeva indicare chiaramente una causa. Forse doveva arrendersi a questa evidenza. Non c'erano segni di lotta o aggressione e gli esami tossicologici erano negativi. Certo, il capanno di caccia aveva la porta aperta ma forse i due nemmeno la chiudevano a chiave. Perché avrebbero dovuto? 

Tra i portotollesi girava quell'assurda spiegazione soprannaturale che lo deprimeva ulteriormente. Si sentiva come catapultato indietro nel tempo di almeno centocinquant'anni. I suoi colleghi in altre città fronteggiavano potenti criminali balzando agli onori delle cronache, mentre lui aveva a che fare con... cosa? Degli spettri? Iniziava persino a pensare che il medico legale sabotasse la sua carriera con un referto alterato. Magari era solo negligente o incapace. 

Sembrava proprio che il destino non volesse dargli modo di esprimere tutto il suo talento investigativo.

Non rese partecipe Lidia dei suoi pensieri se non per il fatto che si sentiva costretto in quella realtà rurale e superstiziosa.

«Insomma tutto fa pensare ad una morte naturale.» concluse sconfortato nel congedarla.

Lidia ripensava al colloquio avuto con il commissario mentre cenava nella sala deserta della trattoria. La mattina successiva aveva intenzione di recarsi sulla darsena dove si trovava il capanno dei due sfortunati fratelli. Passò una notte agitata a causa dei rumori che sembravano provenire dall'esterno, non riusciva a distinguere di che animali si trattasse. Certamente non era la malinconica civetta,  ma uno o più animali dal peso considerevole. Avrebbe detto cinghiali, ma non era una ipotesi plausibile. 

La mattina seguente, mentre si stava preparando per andare a fare colazione, si aggiustò guardandosi un'ultima volta nelle ante a specchio dell'armadio. Vide riflessi gli stessi mobili con gli intagli che la circondavano, ma non la stanza in cui si trovava. Sul letto giacevano due amanti nudi. Quando si accorsero di essere visti la fissarono. “Siamo condannati in questo spazio senza tempo a causa di un amore illecito e omicida” sembravano comunicare. Improvvisamente l'immagine scomparve. 

Non ne fu più di tanto sorpresa. Dopo l'incidente stradale nel quale era rimasta coinvolta mesi prima Lidia aveva iniziato ad avere delle allucinazioni.

«Non si preoccupi, è chiaramente una sua rielaborazione della paura della morte.» le aveva diagnosticato il neuropsichiatra «Prenda quello che le prescrivo e starà meglio.

Potrebbe anche aver riportato dei danni cerebrali in seguito al trauma che ha subito. Eh, in quel caso non possiamo farci nulla.» 

Le sembrava di sentire ancora riecheggiare nella testa le parole del medico. Ormai questi episodi allucinatori erano diventati parte della sua vita e non la allarmavano più di tanto. Non poteva nemmeno escludere che fosse in grado di avere realmente contatto con una dimensione ultraterrena. Sebbene un po' turbata dall'apparizione, decise di fare colazione per poi guidare verso il luogo del possibile duplice delitto. 

Giunse alla darsena dove si trovavano alcuni capanni di pescatori che arrotondavano i magri guadagni accompagnando qualche occasionale turista ad ammirare la lussureggiante  palude. In lontananza si scorgevano dei ruderi semisommersi di alcuni casolari testimoni di una lontana alluvione. 

L'arrivo di una “forestiera” aveva subito destato la curiosità dei pescatori. Uno di loro si avvicinò alla donna con la scusa di proporle una gita in barca.  Lidia pensò che accettando la proposta avrebbe avuto tutto il tempo per intervistarlo aggirando la sua probabile diffidenza. Salirono a bordo di un barchino in legno che aveva un piccolo motore esterno, gli unici altri compagni di viaggio erano due vivacissimi cuccioli meticci. «Sono fratelli.» spiegò il pescatore notando l'interesse di Lidia per le bestiole «Sono due sopravvissuti. Il proprietario voleva annegarli e mi ghe gho dito: “ma no sta negarli, damei a mi!” Le dispiace se dopo ci fermiamo da un mio amico che vive in un casone? Devo portargli alcuni viveri e sarebbe una bella occasione per lei poterlo visitare.» Dopo circa un'ora arrivarono ad un lembo di terra, una specie di isolotto dove si trovava il casone. Era un edificio di fine Ottocento interamente costruito con fasci di erbe palustri talmente fitti da non permettere alla pioggia di penetrarvi. Era una visione meravigliosa: una specie di grandissimo nido. 

Il proprietario era un anziano strambo che, a detta del pescatore, era l'unico ancora in grado di prendersi cura di quell'edificio straordinario. Aveva deciso di stabilirsi lì nonostante la mancanza di acqua corrente e ogni altra traccia di elementare comfort.

I due furono invitati ad entrare in quella umilissima abitazione con una inaspettata ospitalità. L'interno era costituito da un unico ambiente arredato spartanamente con un focolare, un lettuccio, un tavolino e due sedie. Il pescatore si mise a giocare in disparte con i cagnolini mentre Lidia non smetteva di lodare la maestria con cui era stata costruita quell'edificio. Era sinceramente rapita da tanta bellezza. Ad un tratto si accorse che l'anziano interlocutore sembrava guardare ripetutamente in un punto della stanza come se vedesse qualcuno o qualcosa, così gli confidò: «Sa cosa mi è capitato questa mattina? Ho visto due amanti riflessi in uno specchio. Mi hanno detto che hanno ucciso per poter mantenere la loro relazione.»

«Lo so, anch'io sono in contatto con gli spiriti. Ha detto di essere interessata alla morte dei due fratelli, vero? Conosce la storia di colei che chiamano “la Femena”?» (La giornalista annuì.) «È venuta da me la notte della della vigilia di Natale. Ha detto che dovevamo mettere le cose a posto, che ci avrebbe pensato lei... e altri spiriti, ma aveva bisogno del mio aiuto. Avrei dovuto bussare al capanno dei due per farmi aprire. Loro non avrebbero potuto farlo e farsi udire. Una volta entrati non so cosa sia successo, ma… sapevo che sarebbe stata una sentenza di morte.

La Donna mi ha detto che potrò continuare a vivere su questa isola fino a quando lo vorrò. Non l'ho fatto per avere alcunché in cambio. Sapevo solo che quella pesca blasfema non doveva rimanere impunita.»

Cosa avrebbe potuto scrivere di tutta quella vicenda? Nulla. 

Nulla di concreto, ma sarebbe diventato un bell'articolo antropologico da mettere sulla pagina domenicale della cultura.

Lo scritto strappò delle lodi al direttore Zanatta e una bestemmia al giovane commissario capo di Portotolle che maledì nuovamente il territorio in cui si trovava.

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