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Possamai, Variati e Letta nel mirino della sinistra Pd

La débâcle dei democratici fa da detonatore alle polemiche scatenate da chi in seno ed attorno alla formazione aveva contestato nel nome della «agenda Draghi» la svolta liberale ed «iper-atlantista» del partito. Il tutto avviene in un Veneto in cui la Lega è «in crisi nera» mentre sull'orizzonte della futura presidenza della giunta regionale si intravede, sfumata, la figura di Elena Donazzan che conta sull'exploit di Fdi

Con una nota di fuoco diramata ieri 26 settembre l'ala dissenziente e quella ecologista del gruppo del Pd a palazzo Ferro Fini hanno lanciato un vero e propio ultimatum al capogruppo, il vicentino Giacomo Possamai, che pur mai menzionato è il primo bersaglio di una raffica indirizzata al segretario nazionale Enrico Letta che è stato con Achille Variati (plenipotenziario di Letta nel Veneto) il vero artefice della svolta liberal-democratica del partito. Una svolta in nome della cosiddetta «agenda di governo o agenda Draghi», impostata dal premier uscente Mario Draghi la quale ha potuto contare su una cabina di regia nordestina di cui fa parte anche Possamai. E dal cui interno si è spesso strizzato l'occhio, questi i rumors ormai chiassosi che giungono dal consiglio regionale, proprio agli aficionados più sensibili allo status quo che da anni attorniano l'inner circle del governatore veneto Luca Zaia: in quota ad un Carroccio sul cui orizzonte, come su quello del Pd, si staglia una sorta di notte dei lunghi coltelli.

PALLE INCATENATE PER UN MEZZOGIORNO DI FUOCO 
«Il flop del Pd in Veneto e a livello nazionale è il risultato di scelte sbagliate sulla composizione delle liste, sul non rispetto delle proprie regole a partire dallo statuto che prevede le primarie e rispetta le scelte dei territori, sulle scelte sbagliate in tema di alleanze frutto di una serie di errori imperdonabili e infine sulla campagna elettorale poco chiara e diretta» è il commento vergato a caldo ieri a mezzodì: un vero e propio mezzogiorno di fuoco, da parte dei dei consiglieri regionali del Veneto Andrea Zanoni e Anna Maria Bigon Il primo è l'esponente più in vista dell'ala ecologista-progressista. La seconda è un altro degli esponenti di spicco dell gruppo che nel partito dissente rispetto ad alcune scelte giunte da Roma. Bigon appartiene per vero al gruppo «Comunità democratica» che in questo frangente condivide con la sinistra del partito le critiche alle scelte piovute dalla capitale.

Mai i due, che pure in passato come altri avevano marcato le loro differenze dalla Weltanschauung di Possamai,«de facto liberista» per i detrattori  di Possamai, mai avevano usato parole così dure. Bastano pochi passaggi per rendersi conto di come Bigon e Zanoni, tirando le somme, pur senza riferimenti precisi non chiedano solo una sterzata decisa, a sinistra sul piano sociale e in senso ecologista sul versante della pianificazione regionale, ma chiedano proprio  la testa di un Possamai che delle buone relazioni coi grandi gruppi economici (stigma che contraddistingue anche la politica di Zaia) aveva fatto la sua cifra.

POLEMICHE A PIÈ DI LISTA
«Le liste del Pd, con particolare riferimento al Veneto, sono state elaborate - si legge - in sfregio ai territori, alla meritocrazia, ai militanti, ai deputati uscenti, all'organizzazione locale del Pd e hanno visto troppi candidati catapultati e indicati altrove. Il caso di Treviso è eclatante, ma non è l'unico». I due spiegano di avere assistito ad un fenomeno in cui le direzioni provinciali e le segreterie sono state scavalcate «da scelte romane imposte, inspiegabili e mai condivise, con strascichi sul territorio che hanno danneggiato l'immagine del nostro partito». Poco appresso, ed è la mazzata finale, c'è un riferimento al pontefice: «Dobbiamo tornare a fare politica per i cittadini, per risolvere i tanti problemi di questa società travolta dagli eventi, come ha detto pochi giorni fa papa Francesco I il quale ci ricorda con le sue precise parole che dobbiamo aiutare i nostri rappresentanti a mantenere alto il livello della politica che è tutt'altra cosa della politica di basso livello che non serve a niente, e anzi deprime i corpi sociali e impoverisce gli Stati».

BERGOGLIO E IL MESSAGGIO CIFRATO
Questo è un altro passaggio topico benché cifrato. Il riferimento a Jorge Bergoglio è chiaramente pensato per criticare tutti coloro che nel Pd hanno tenuto nei confronti della guerra in Ucraina seguita all'attacco russo nei confronti di Kiev una linea pedissequamente «iper-atlantista» evitando invece di sposare una linea interpretativa degli eventi, quella della curia vaticana ben descritta dal quotidiano Avvenire, più propensa a valutare una complessità di fattori in gioco ben maggiore di quanto riportato «dalla stampa mainstream». La lettura degli eventi bellici scelta da un vertice nazionale del Pd «perfettamente in linea con l'establishment di Washington», avrebbe parecchio scontentato una fetta consistente del mondo cattolico. Questo il refrain che gira nelle parrocchie, tanto da spingere gli elettori di quel mondo a rimanere a casa o a dirottare le proprie preferenza, storicamente patrimonio in primis del Pd, verso il M5S: il che è avvenuto non tanto nel Veneto, ma soprattutto al Sud.

INCORONAZIONE ESTIVA
Tuttavia le scelte operate sul piano della selezione dei candidati hanno letteralmente fatto trasecolare Bigon e Zanoni che con le loro parole hanno deciso di levarsi qualche sassolino dalle scarpe per quella sorta di incoronazione per Possamai che quest'ultimo ricevette da Letta quando quest'ultimo in veste di segretario nazionale del Pd in visita a Vicenza quest'estate fu intervistato dal Corveneto.  

QUESTIONE ECOLOGICA E QUESTIONE SOCIALE
«Il Veneto - scrivono appunto il trevigiano Zanoni e la veronese Bigon - che dovrebbe essere ancor più valutato, vista la forza elettorale del centrodestra, con queste elezioni è diventato ancor più terra di conquista di Roma, con quattro candidati, sui sette totali in posizione eleggibile, indicati e voluti da Roma. Questa modalità ha comportato l'allontanamento di molti e l'inattività di altri, impedendo l'elezione di rappresentanti territoriali, quelli indicati dai militanti che conoscono i problemi dei cittadini e li sanno rappresentare». Poi il colpo di grazia: «Da Roma ci avevano detto che in questa campagna elettorale l'ambiente sarebbe stato messo al primo posto, tema pressoché sparito dalla campagna elettorale travolto da inutili contrapposizioni e politiche sterili che poco interessano i cittadini. Il tema della sanità invece sin dall'inizio ha trovato poco spazio nel programma elettorale nonostante sia una questione cruciale per gli italiani e soprattutto per i veneti che vedono soccombere, giorno dopo giorno, il sistema sanitario pubblico a vantaggio di quello privato».

BORDATE RECIPROCHE NEL CARROCCIO
Ad ogni modo per ragioni speculari la batosta del Pd si riflette come una sorta di chiasmo nel tracollo del Carroccio. Da giorni gli aficionados di Zaia fanno capire che la testa del segretario italiano della Lega Matteo Salvini è a rischio. Proprio perché Salvini è il leader che ha portato il movimento attorno ad un 10% se non meno che viene visto come un risultato misero, da «crisi nera». Il problema che gli aficionados di Zaia e quelli del suo parigrado leghista friulano Massimiliano Fedriga debbono affrontare però pesa come un macigno. Salvini e i suoi, queste le indiscrezioni che giungono dal quartier generale della Lega a Milano, denunciano che se la Lega ha preso una batosta è perché «si è messa nelle mutande - la battuta è un copyright del giornalista Franco Bechis peraltro - una agenda Draghi» poi rivelatasi una bomba a orologeria.

ZAIA, GIORGETTI IL PREMIER USCENTE «E IL CONTE ZIO»
E gli artefici di questa decisione, «molto sponsorizzata dalle elite economiche e non solo, sono stati appunto Zaia, Fedriga, il governatore leghista del Trentino Maurizio Fugatti con l'abile regia dell'eminenza grigia della Lega ossia l'ex sottosegretario alla Presidenza del consiglio Giacarlo Giorgetti». Quest'ultimo, stando alle voci circolate nelle settimane passate tra i fedelissimi di Salvini nel Veneto, avrebbe per mesi «intessuto interlocuzioni riservate tra gli altri con Draghi, con Enrico Letta e con uomini prossimi alla cerchia di Gianni Letta (soprannominato nell'ambiente «il conte zio»), zio appunto di Enrico, già uomo di fiducia dell'ex premier Silvio Berlusconi, considerato per anni come trait d'union tra determinati ambienti atlantici, determinati ambienti vaticani, alcuni ambienti in comunicazione con l'intelligence e circoli esclusivi alto di gamma al di là e al di qua dell'Atlantico. 

LA SILHOUETTE BASSANESE
Ad ogni modo capire che cosa succederà nel Carroccio veneto e più in là nel centrodestra veneto alla luce del tourbillon di queste ore è complicatissimo. Epperò il deciso balzo in avanti compiuto da Fdi (che sull'autonomia differenziata agognata da Zaia pare abbia già chiuso la partita con un no tanto definitivo negli intenti quanto sfumato nelle parole) anche nel Veneto potrebbe permettere a quest'ultima forza di pretendere la presidenza della giunta regionale: una manovra rispetto alla quale «starebbero già sondando il terreno alcuni uomini di fiducia della bassanese Elena Donazzan», attualmente potentissimo assessore alla formazione nella giunta Zaia.

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