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L'ex magistrato anti-Zonin: «Ci furono coperture e contro di me un muro»

Intervista esclusiva a Cecilia Carreri che martedì ha avuto uno scambio di vedute col governatore. «Sa che ho chiesto il reintegro in magistratura: contro di me venne alzato un muro»

Cecilia Carreri quando era in forza alla magistratura berica è stata una delle prime toghe a mettere in discussione il sistema Zonin. Era la metà degli anni Duemila. Poi sulla dottoressa si abbatté un ciclone mediatico relativo ad alcuni suoi viaggi in barca che sarebbero coincisi con un periodo di malattia del magistrato.

Il caso peraltro si sciolse come la neve al sole quando, tempo dopo, si apprese che la condotta dell’ex gip del tribunale di Vicenza era «assolutamente legittima» visto che quella attività velistica era addirittura di supporto alla terapia che l’allora giudice stava portando avanti. Le polemiche però non si spensero. Carreri in un primo momento presa dallo sconforto si dimise. Ma quando «in modo coerente con la norma» ritirò le dimissioni le autorità non procedettero col reintegro.

Da quel momento Carreri ha ingaggiato una battaglia di carte bollate per chiedere di essere riammessa tra le toghe. Ha scritto diversi libri, ha rilasciato interviste. Senza chiederlo è divenuta un punto di riferimento di tanti azionisti colpiti dal crac della Popolare di Vicenza che da anni non mancano di chiedere il reintegro in magistratura. «Sullo stato della quale - spiega l’ex magistrato - sarebbe opportuna una seria riflessione».

Ed è proprio sullo stato della magistratura che Carreri è intervenuta all’inizio di questa settimana quando ha incontrato per un colloquio il presidente della Regione Veneto Luca Zaia. Col quale è stato affrontato proprio il tema dello stato della giustizia, questione degli organici del Veneto in primis.

Dottoressa Carreri, recentemente sui media si è tornato a parlare con molta insistenza dello stato di salute della giustizia. «Presa Diretta», popolare programma di approfondimento di Rai tre ha affrontato l'argomento accendendo i riflettori anche sulla situazione del Veneto. Magistrati molto noti all'opinione pubblica ne hanno parlato diffusamente. Lei come vede questo dibattito?

«L’inchiesta ha fotografato una situazione reale. Da anni la magistratura soffre di mancanza di fondi, di personale e di giudici. Inutile dire che la politica non ha mai curato a dovere il servizio giustizia. Si tratta di un problema molto antico: solo una minima parte del bilancio è destinata all’apparato giudiziario. Inoltre permane il cronico problema del Consiglio superiore della magistratura, composto in gran parte da consiglieri di estrazione politica o da magistrati spartiti in correnti associative».

Ci sono vie d’uscita all’orizzonte?

«Si parla da molti anni di riforme radicali. Penso che al primo posto dovrebbe essere collocata la selezione dei magistrati, talvolta non all’altezza del ruolo. Serve un vaglio maggiore della professionalità».

Recentemente il presidente della giunta regionale Luca Zaia ha parlato diffusamente di uno studio della Cgia di Mestre. Studio che distilla una spaccato dettagliato dello stato della giustizia veneta. Da tecnico del diritto lei che idea si è fatta di quello studio?

«Lo studio della Cgia di Mestre, davvero impeccabile, ha denunciato una grave carenza di organico nel Veneto. Il problema incide gravemente sul tessuto economico delle imprese del Nordest perché le cause civili di recupero credito durano troppo: o non partono neppure. Il che fa pensare ad un rilevante danno economico in una regione già seriamente provata dalla crisi mondiale del 2008 e dal crac delle banche venete. Anche il processo penale dovrebbe essere più efficiente, più severo: le condanne arrivano tardi, le carceri esplodono. E poi pensiamo a inchieste scottanti come quella sul Pfas».

Se lei dovesse dare qualche dritta al governatore o alla Cgia, dal lato della sua esperienza, che cosa direbbe loro se avesse modo di incontrare i vertici della associazione o il presidente della Regione?

«Mi limito a dire una cosa. Il ministro della giustizia Alfonso Bonafede sta reclutando tramite concorso trecentosessanta magistrati per coprire i vuoti di organico in tutta Italia, ma non è questa la soluzione. Che selezione meritocratica e professionale, nonché attitudinale, hanno questi candidati? La società italiana è diventata complessa, le imprese, tanto per dirne una, hanno bisogno di una magistratura altamente specializzata».

Va bene, ma se qualcuno lo chiedesse, al riguardo, lei che parere darebbe?

«Direi che non basta riempire i tribunali».

In questo quadro tra le tante questioni sul tappeto c'è anche una asserita carenza di organici. A fronte di questa carenza c'è lei che da anni chiede di essere re-integrata in magistratura. Con quali esiti? Se potesse che messaggio vorrebbe lanciare alle istituzioni regionali, al Csm e al guardasigilli Alfonso Bonafede?

«Stiamo assistendo a una situazione davvero grottesca, allucinante: la sottoscritta sta combattendo da anni per riprendere il suo ruolo di magistrato, e al contempo ri-esplode a livello nazionale il caso relativo ad una allarmante mancanza di giudici, denunciata anche da Zaia, il presidente della giunta della Regione Veneto: la regione dove vivo e dove sono nata».

In che contesto maturarono le sue dimissioni dalla magistratura?

«Diedi le dimissioni in un momento di difficoltà familiare, ma poi le ho più volte revocate, prima che venisse emanato il decreto ministeriale che le rendeva esecutive».

E dunque?

«E dunque sto combattendo da anni una battaglia perché sia revocato quel decreto. Sarebbe una questione di cinque minuti. Nel frattempo sono costretta ad assistere alla scena dei tribunali vuoti, con tanta gente che attende per anni una sentenza. Mi sembra che sia l’ennesima conferma di una gestione inefficiente della giustizia in Italia».

Ma nel frattempo si è mossa in qualche altra direzione?

«Sì. Ho inoltrato diverse istanze al guardasigilli Bonafede, a David Ermini del Consiglio superiore della magistratura. Però...».

Però?

«Tutto tace».

E poi?

«L’altro ieri, visto che si parla di istituzioni regionali, ho avuto un incontro proprio con Zaia; gli ho segnalato la mia disponibilità a tornare in servizio nel Veneto. Insomma ora sa che ho chiesto il reintegro. Ho un ottimo curriculum professionale e tanta esperienza. Le vittime del crac delle banche venete reclamano il mio rientro in servizio, come riferisce la stampa nazionale. La politica non ascolta queste persone?».

A breve riprende il processo per l'affaire BpVi. Lei è sempre stata assai scettica sulla piega assunta prima dalle indagini e poi dal processo vero e proprio. Lo è ancora? Alla luce di quali ragioni?

«Nel 2001, la gestione della banca mostrava già aspetti di grave illegalità, denunciati dalla Banca d’Italia e da un perito della procura. Abbiamo dovuto attendere il 2018 per veder partire finalmente un processo, in una situazione di tracollo totale della BpVi: si parla di danni da miliardi di euro, di un’intera economia azzerata, di suicidi, e di novemila vittime. Mi scusi ma il bilancio della giustizia, per adesso, è negativo».

Eppure il Csm non aprì una inchiesta sulle inerzie della magistratura berica?

«Assolutamente sì. Però quest’ultima è stata archiviata con un nulla di fatto».

Morale della favola?

«Ora aspettiamo di vedere se la procura di Vicenza ravvisi i reati di bancarotta che dovrebbero estendersi, oltre che al vecchio cda, anche ai collegi sindacali e a coloro ai quali erano in capo altri controlli esterni».

E nel frattempo che cosa è successo?

«Nel frattempo i responsabili si sono spogliati di tutto, la banca è stata svuotata, non esiste più. Da parte mia, essendo fuori ruolo, ho scritto un libro sul crac bancario: sono stati tre anni di duro lavoro».

Come lo definirebbe?

«È la sentenza che non potrò mai scrivere. Chi lo legge, capisce che cosa avrei fatto nel ruolo di magistrato, quello che sto cercando di riavere. Ma sembra che nei miei confronti sia stato alzato un muro». Il titolo scelto per il libro è «Non c’è spazio per quel giudice».

Vero?

«Vero sì. E non è un titolo scelto a caso».

Gli azionisti colpiti dal crollo di Veneto Banca e di BpVi continuano a sentirsi affranti per quanto accaduto ai loro risparmi. Ma non mancano le critiche anche verso queste lamentele dal momento che c'è chi accusa gli stessi risparmiatori di avere voluto investire in titoli del genere, consci che questi presentavano comunque un livello di rischio evidente. Lei è d'accordo?

«Le banche venete sono sotto processo penale. Ora è evidente che vi fu una gestione illegale di queste società, durata molti anni. Scaricare delle colpe sui risparmiatori mi sembra francamente ingiusto. La gente comune ripone un istintivo affidamento nella serietà delle banche. Certo, ognuno cercava di investire al meglio il proprio denaro, anche prendendo dei rischi, ma questo è normale. Gli istituti di credito danno profitti. Tradire questa fiducia però è molto grave; negli Stati uniti infliggono condanne molto severe e pure il carcere quando ti pizzicano».

Recentemente su "Il Fatto quotidiano" Nicola Borzi ha pesantemente criticato la perizia in forza della quale il tribunale di Vicenza ha dichiarato la insolvenza dell'istituto di via Framarin. Per di più in quel servizio si mette pesantemente in discussione pure la perizia in ragione della quale lo stato di insolvenza è stato poi effettivamente dichiarato. Una perizia che potrebbe demolire l'ipotesi di bancarotta. Perché secondo lei?

«Molti esprimono giudizi sul crac della BpVi, si cimentano i più esperti giornalisti di economia e finanza. Sarà la magistratura a decidere; bisogna conoscere gli atti. La vera realtà finanziaria della BpVi è stata alterata e dissimulata per molti anni, godeva di forti coperture. Già nel 2001 c’erano i falsi in bilancio. Il valore gonfiato delle azioni fu denunciato più di dieci anni fa, nel 2008, con un esposto clamorosamente archiviato».

Lei traccia uno scenario in cui prevalgono le tinte fosche. Come sostanzia questo suo pensiero?

«Guardi, giusto per fare un esempio. Che fine hanno fatto i fondi e le società estere, collegate al gruppo bancario? E che fine ha fatto la vicenda di Banca nuova, la controllata siciliana di BpVi?».

Che cosa se ne ricava pertanto?

«Non mi stancherò mai di ripeterlo. La vera questione, nella giustizia italiana, è avere una magistratura specializzata, preparata, non solo sul piano professionale». Sarebbe a dire? «Per una giustizia moderna ed efficiente, ci vuole anche una buona dose di coraggio».

Può spiegarsi meglio?

«Abbiamo bisogno di una magistratura credibile, determinata, coraggiosa, che abbia la stima della gente. La crisi della legalità è alta, la corruzione è ovunque, persino tra i giudici. Mafia, corruzione, poteri forti, servizi segreti: il giudice deve prevalere su tutto, con tanta autonomia e indipendenza. Erano le mie caratteristiche, ero un giudice coraggioso che non guardava in faccia nessuno, che non si lasciava condizionare da nessuno. Mi restituiranno mai la toga?».

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