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Il grande leone tra Pfas e Pedemontana: contraddizioni e nodi irrisolti

L'inaugurazione del leone marciano è stato un happening riuscito. Ma i rilievi mossi sul caso Miteni e sulla Pedemontana rimangono senza replica. Le interviste ai "contro", Alberto Peruffo e Giuseppe Ungherese

Ma per chi ambisce a una qualsiasi riforma, che sia un decentramento più marcato o una separazione vera e propria dall’autorità centrale il quesito rimane lo stesso. Siamo sicuri che il distacco, netto o sfumato che sia sia automaticamente garanzia di governo migliore scevro da scempi ambientali e paesaggistici?

Se il Veneto nel 1948 fosse divenuto una Repubblica indipendente avrebbe lo stesso avuto la Miteni, il polo chimico dell’Ovest Vicentino, le concerie, i cementifici della spalla euganea, gli scandali come quello della Nuova esa o quello dell’avvelenamento delle falde tra Vicentino e Padovano nel bacino del Brenta o il Fratta Gorzone ridotto a una cloaca? Quanta contezza c’è del fatto che l’ambiente, il paesaggio, la cura del territorio, la cultura sono la cifra del retaggio storico molto prima delle questioni che pertengono alle infrastrutture, al lavoro, ai modelli organizzativi, alle imprese che sono invece fattori comuni a tutto il globo?

Sarebbe stato interessante aprire una riflessione del genere davanti al leone, ma non è accaduto. Questo significa che chi ambisce ad un cambiamento dell’attuale status, magari in senso federalista o autonomista o indipendentista non colga questo problema? Assolutamente no. Tra la gente questo tensione si percepisce eccome. Il problema è che la classe dirigente (imprenditoriale, politica, professionale), e questo vale per ogni latitudine politica, specialmente per chi ha governato a lungo, non è assolutamente all’altezza di ragionare su questo scarto: o per fanciullesca ignoranza. O per biechi motivi di bottega.

IL DISCO ROSSO E IL DISCO ROTTO

Un ragionamento a parte merita invece la Pedemontana veneta, meglio nota come Spv. L’àut àutcui l’ha messa di fronte la Corte dei conti è un dato di fatto. La replica fornita dall’amministrazione è talmente poco pertinente nel suo essere sempre uguale a sé stessa, una sorta di disco rotto, da destare imbarazzo. Come se alla domanda su che tempo faccia uno risponda che sono le sei e mezzo. Ma c’è un dato ulteriore che va vagliato.

IMBARAZZO STELLATO

Il governo di Roma, nel quale il M5S ha il maggior peso e che esprime alle infrastrutture un Cinque stelle doc come Danilo Toninelli e all’ambiente un uomo di area come il generale Sergio Costa, che è ferratissimo in materia, ha fatto una scelta molto precisa. D’accordo con l’alleato leghista o forse su input di quest’ultimo, ha deciso di non sottoporre ad una valutazione costi benefici la Spv.

La voce che i Cinque stelle hanno fatto circolare è che questo tipo di valutazione non era possibile poiché l’opera vede come concedente la Regione Veneto e quindi sfugge da questo tipo di controllo centralizzato. In realtà si tratta di una sciocchezza sul piano giuridico e per un paio di motivi almeno.

Uno, il governo, fino a quando non sarà cambiata la Costituzione, è sempre competente su questioni di questo tipo anche in ragione del fatto che una parte del contributo di cui ha beneficiato la realizzazione dell’opera viene dallo Stato. Se così non fosse nemmeno la Corte dei conti potrebbe mettere becco sul progetto. Invece lo sta facendo in forza dell’azione di un suo ufficio speciale che è quello sul controllo della spesa delle amministrazioni delle pubbliche amministrazioni in tutte le loro articolazioni. Si tratta di rudimenti di diritto costituzionale che i parlamentari dovrebbero quanto meno sforzarsi a maneggiare se non padroneggiare.

Due, la scelta di non menzionare nel Def la Spv come opera vagliata sul piano del rapporto costo benefici è una scelta esclusivamente politica. Che per di più mette inevitabilmente il M5S in una posizione meno difendibile perché l’accordo di fatto sottoscritto col Carroccio è comunque un patto rispetto al quale gli alleati chiederanno comunque l’osservanza. E non è un caso che la base del M5S è andata in escandescenza per questo fatto: per non parlare dei comitati che da sabato scorso stanno attaccando ad alzo zero.

“S'I' FOSSE FOCO”

Rimane però un problema di fondo. Governo e parlamento, se volessero, avrebbero gli strumenti, metaforicamente parlando, per incenerire la Pedemontana? La risposta è sì. Il primo è quello della legge. Basterebbe che le camere definissero per legge tutta una serie di nuove incombenze in capo a tutti i concessionari (che è cosa ben diversa dal porre un obbligo retroattivo che sarebbe di più difficile applicabilità), tra cui la Sis per la Pedemontana, così insostenibili da obbligare chi non avesse la pezzatura organizzativa e finanziaria a mollare l’osso pena l’applicazioni di ammende tanto draconiane da compromettere l’esistenza stessa del concessionario.

Ancora i ministri competenti, anche alla luce dei rilievi emersi fino ad oggi potrebbero sospendere i lavori o congelarli. Questo vale in primis per le Infrastrutture, ma anche l’Ambiente, avrebbe la potestà di annullare, congelare o sospendere l’opera fino a decretarne la decadenza della concessione risolvendo in danno del concessionario la rescissione. Si aprirebbe un contenzioso davanti ai tribunali: ma i rilievi messi nero su bianco dalla Corte dei conti spianerebbero la strada al pubblico.

Se tutto ciò non accade se ne ricava che il progetto allo stato rimane in piedi per una decisione politica ai più alti livelli. E dall’imbarazzo con cui Toninelli ha accolto il j’accuse di chi ha criticato la scelta di non sottoporre la Spv ad una valutazione costi benifici che sarebbe stata l’equivalente di una bocciatura senza appello, si capisce una cosa. Che non tanto dietro, ma sopra i destini della Spv, ci sia qualcosa di molto molto grosso. Il che aumenta l’imbarazzo in un M5S che prima delle elezioni politiche del 2018 definì la Pedemontana come un monstre finanziario che una volta al governo i pentastellati avrebbero incenerito senza pietà.

«S'i' fosse foco, arderei 'l mondo» ovvero la Spv, era stato il leitmotiv dell’ultima campagna elettorale. Il lanciafiamme però, almeno per ora, fa cilecca. E la base, s’incazza.

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