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Politica Arzignano

La «concia connection» dell'Arno finisce in consiglio

Il vicesindaco della città del grifo fa un parallelismo tra l'inchiesta che sta spazzando rifiuti, politica, economia e mafia in Toscana e i dubbi espressi dal suo esecutivo sull'inceneritore «modello Santa Croce» che gli industriali dell'Agno-Chiampo, vorrebbero nell'Ovest vicentino: Fi insorge

Gli echi della «concia connection» toscana rimbalzano nel Vicentino. È accaduto ieri 28 aprile durante il consiglio comunale ad Arzignano, capitale della pelle del Nord Italia. La serata si è incendiata quando il vicesindaco Enrico Marcigaglia della Lega ha de facto distillato un parallelismo tra lo scandalo che sta spazzando il vertice dell'amministrazione di palazzo Guadagni-Sacrati, anche noto come operazione Keu, e alcuni episodi di cronaca nera che hanno colpito l'Ovest vicentino: il tutto mettendo in fila vicende ambientali, politiche e criminali. L'opposizione ha bollato come «infelice» l'uscita di Marcigaglia.

IL PROLOGO
Per capire la complessa partita a scacchi andata in scena ieri nella città del Grifo è necessario ricordare che da giorni la giunta regionale toscana di centrosinistra capitanata dal democratico Eugenio Giani viene martellata dalle notizie che riguardano uno scandalo di vaste proporzioni che ha come epicentro la gestione dei fanghi conciari del distretto della pelle di Santa Croce sull'Arno nel Pisano.

I fanghi, trattati anche in un inceneritore consortile, una volta divenuti ceneri contaminate (denominate Keu), sarebbero finiti sotto strade in costruzione, lottizzazioni. Il tutto a fronte di concentrazioni delle sostanze proibite ben oltre il livello di soglia. Diverse sarebbero le zone della Toscana interessate da questo traffico, persino la Versilia. Ad ogni modo la temperatura è alle stelle perché come raccontano i media (Firenzetoday.it ha dedicato all'argomento un lungo approfondimento) nel mirino della procura antimafia di Firenze è finito pure il potentissimo capo di gabinetto di Giani, ossia Ledo Gori: uomo noto per le sue entrature di alto livello nel mondo della politica e nel mondo economico.

LA CHIAVE DI VOLTA
La chiave di volta dell'affaire «concia connection» come è stato ribattezzato da alcuni internauti sui social media sarebbe appunto il depuratore di Santa Croce sull'Arno nel Pisano. Attraverso alcune manovre di corridoio di personaggi alto di gamma della politica toscana (riferibili in primis «all'ala lettiana del Pd e a Italia viva») all'impianto posseduto dalla società Aquarno di Santa Croce sarebbe stato consentito di non essere assoggettato ad una procedura autorizzativa molto rigida la cosiddetta Aia, che comporta di norma una serie di verifiche molto puntuali sui cicli che coinvolgono la struttura.

Per di più in questo roveto di «liaisons dangereuses» è finito, come ricorda Pisatoday.it, anche il sindaco di Santa Croce ossia Grazia Didda (che è sostenuto da una maggioranza civica di area centrosinistra). Il quale sindaco indagato ha fatto sapere di voler continuare la sua esperienza di primo cittadino perché convinto di avere agito nella legalità. Oltre al tema rilevantissimo della gestione dei rifiuti però l'inchiesta (ne parla diffusamente in queste ore anche il quotidiano il Domani con due approfondimenti di Giorgio Meletti) ha puntato l'indice anche su altre condotte illecite tra cui lo spaccio di sostanze stupefacenti: nel mirino degli inquirenti sono finiti anche soggetti considerati nelle fodere della 'ndrangheta.

IL FLASHBACK
Ma che cosa c'entra la presa di posizione dell'arzignanese Marcigaglia con i fatti toscani? Il vicesindaco della città del Grifo alcuni giorni fa sulla sua pagina Facebook aveva scritto un post intinto nel curaro. Se l'era presa con coloro che per anni avevano tacciato la sua giunta di immobilismo imputandole il fatto di aver dato input ad Acque del Chiampo (la società intercomunale del comprensorio che gestisce il ciclo integrato dell'acqua e quello dei fanghi conciari) affinché procrastinasse sine die la progettazione di un inceneritore per il trattamento di questi ultimi. Un ritardo che avrebbe messo in difficoltà il settore, il quale, secondo le doglianze di Confindustria, teme che le discariche arzignanesi stiano per esaurire lo spazio.

«Se la strada che avremmo dovuto percorrere era quella tracciata in Toscana ricordo a tutti voi quanto sta accadendo oggi in Toscana» ha tuonato ieri in aula Marcigaglia che era stato chiamato a rispondere delle sue esternazioni su Facebook in una interrogazione di una parte della minoranza che non aveva gradito che il buon nome del distretto della pelle dell'Agno-Chiampo venisse accostato alla debacle mediatica al quale sta andando incontro quello dell'Arno. L'interrogazione vede come primo firmatario il forzista Mattia Pieropan e quali cofirmatari Nicolò Sterle, Elena Pasetto e Michele Carlotto. A più riprese l'azzurro Pieropan è insorto attaccando il vicesindaco, bollando la sua uscita come «infelice poco chiara e fuori contesto».

QUESTIONI DI FAMIGLIA
Tuttavia la questione non riguarda solo il buon nome del comprensorio Agno-Chiampo, ma forse anche una questione di orgoglio familiare. Carlotto infatti è il nipote dell'ex consigliere comunale arzignanese Lorella Peretti (vicinissima all'ex sindaco arzignanese del Pd Stefano Fracasso), la quale a sua volta è la sorella di Giuseppe Valter Peretti (vicepresidente di Unic, Unione nazionale industria conciaria) che a capo dell'omonimo gruppo è considerato uno dei gran visir della concia del comprensorio assieme a Rino Mastrotto (che non va confuso con Santo e Bruno Mastrotto i quali sono i nomi di riferimento di un altro importantissimo gruppo conciario arzignanese).

SASSOLINO DALLE SCARPE
In questo senso l'intervento di Marcigaglia (che ha continuamente rilanciato le incognite sulla possibile pericolostà di un inceneritore conciario già vagliato da Arpav specie per la mancanza di dati sul temutissimo cromo esavalente) va letto in filigrana perché nel 2019 nella campagna elettorale che portò la Lega a riconfermarsi a Arzignano col sindaco Alessia Bevilaqua, durante un incontro porte chiuse tra candidati sindaco presso il mandamento locale di Confindustria, «fu proprio Peretti a chiedere perentoriamente» agli aspiranti primi cittadini di vendere ai privati Acque del Chiampo spa (de facto controllata dal Comune di Arzignano) proprio in ragione del fatto che le amministrazioni di centrodestra che da anni reggono le sorti di Arzignano, l'inceneritore non lo hanno mai digerito.

Si tratta di amministrazioni rette dalla Lega, ma che fanno parte di una area leghista «assai guardinga» verso la corrente del governatore veneto del Carroccio Luca Zaia (corrente che assieme a Fi e Pd l'inceneritore lo vuole e che con Rino Mastrotto e con il gruppo Peretti è in rapporti di grande cordialità). Ed è per questo motivo che durante il suo intervento ieri Marcigaglia oltre a spiegare le criticità di un ipotetico impianto di gassificazione ha ribadito con una durezza inusuale che Acque del Chiampo, «a differenza di quanto è accaduto in Toscana con l'impianto consortile dell'Arno, finché governeremo noi rimarrà pubblico».

COMPAGINI AZIONARIE: SPUNTA ANCHE HERA
Ma a chi appartiene il depuratore toscano finito sulla graticola dei quotidiani di mezza Italia? L'impianto è di proprietà di Consorzio Aquarno: una spa pubblico-privata in cui figurano il Comune di Santa Maria sull'Arno e quello di Fucecchio. Si tratta però di quote modestissime perché la stragrande maggioranza delle stesse è in mano ad un altra compagine. Si tratta del «Consorzio depuratore di Santa croce sull'Arno», una spa in mano ad una pletora di soggetti privati: principalmente imprese conciarie del luogo. Tra l'altro a pagina 58 del fascicolo camerale fa capolino tra i proprietari del consorzio anche il Gruppo Peretti con 182 azioni ordinarie e tre «azioni speciali di tipo c». E ancora tra i vicentini c'è il gruppo dei fratelli Bruno e Rino Mastrotto con mille «azioni ordinarie» e «41 speciali di tipo C». C'è poi un'altra curiosità, tra i tantissimi soci figura anche il colosso Hera. Più precisamente Herambiente servizi industriali, una srl che possiede 965 azioni ordinarie.

VICENDA OSCURA
Ad ogni buon conto il peso politico della serata di ieri a Arzignano va ricercato anche in un altro passaggio. Quando a Marcigaglia è stato chiesto di dare conto del suo j'accuse su Facebook quest'ultimo ha tirato in ballo una delle vicende più misteriose della recente cronaca giudiziaria del Veneto. Si tratta del ritrovamento avvenuto a fine 2018 di oltre mezza tonnellata di cocaina in un container di pellame destinato alla Conceria Cristina di Montebello Vicentino apparente al Gruppo Peretti.

Fermo restando che l'azienda, anche se in modo informale, ha sempre negato ogni coinvolgimento, rimane il fatto che si tratta di uno dei più importanti sequestri avvenuti nell'intero continente europeo. All'epoca dei fatti Vicenzatoday.it dedicò alla vicenda due approfondimenti, uno il 6 dicembre 2018 e uno il 19 dicembre 2018. In quello del giorno 6 dicembre peraltro si parlava di una «pista toscana». Nonostante la portata colossale della notizia quest'ultima si abissò nell'oblio della provincia veneta senza che se ne sapesse più nulla. Alcuni giorni fa in parlamento era in calendario una seduta della Commissione bicamerale antimafia alla quale era atteso in audizione anche il numero uno della procura antimafia veneziana Bruno Cherchi. Poiché, dal poco che è trapelato, è quest'ultima ad indagare sul maxi sequestro, i componenti della commissione avrebbero potuto chiedere lumi sul proseguo delle indagini. La commissione però è saltata all'ultimo momento. La questione non è di lana caprina anche perché ieri in aula Marcigaglia (sua la delega alla sicurezza), su richiesta delle opposizioni, ha spiegato che una volta appreso dalla stampa del sequestro ha avviato contatti riservati «ai più alti livelli istituzionali» per investire le autorità preposte del problema.

OPERAZIONE MAKINA: DROGA E IMPRESE
Ma c'è di più. Nel febbraio di quest'anno le forze dell'ordine coordinate dalla dda antimafia veneziana portano a segno un blitz contro alcune famiglie mafiose appartenenti alla 'ndrangheta. Epicentro del blitz, Makina è il nome della operazione, è Montecchio Maggiore, un altro centro dell'Ovest vicentino (a un tiro di schioppo dal comprensorio arzignanese) da anni terra di conquista per il crimine organizzato. Anche in quella operazione, cui il vicesindaco ha fatto un breve cenno a margine del consiglio, si parla di una maxi partita di droga che sarebbe dovuta finire in una conceria videntina in qualche modo avvicinabile dai malavitosi.

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