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Politica Bassano del Grappa

Il M5S? «Mediocri e avvinghiati alla poltrona»

L'ex attivista bassanese Francesco Celotto, nonostante la tregua tra Conte e Grillo, recita il de profundis della formazione politica e a partire dal Veneto la bolla come «funzionale al sistema di potere» regionale: così sulla graticola finiscono anche i trevigiani Borrelli e Colomban

«In certi momenti il M5S pare una polveriera sul punto di esplodere. Ci sono due fazioni che si contendono il potere ma forse non è proprio come apparentemente sembra. Da una parte ci sono i contiani dall'altra i grillini: ma questa è solo una lettura parziale e anzi superficiale». A parlare in questi termini ai taccuini di Vicenzatoday.it è il bassanese Francesco Celotto. Consulente finanziario con parecchi trascorsi da dirigente d'impresa in giro per l'Europa, Celotto, che da qualche anno risiede a Barcellona, per anni è stato uno dei volti di punta del M5S nel Veneto.

Dopo la burrasca interna imperversata a livello nazionale la recente tregua tra il fondatore del M5S Beppe Grillo e il capo politico in pectore Giuseppe Conte, già premier peraltro, non convince Celotto. Il quale senza mezzi termini afferma che «i parlamentari in primis si stanno scannando per mantenere il potere e soprattutto le careghe nonché le prebende proprio come i partiti marci che costoro hanno sempre criticato». Celotto che anni fa preconizzò più volte «un epilogo come quello cui stiamo assistendo oggi» parla di un movimento fattosi ormai «partito» totalmente ricompreso «nella gestione del potere». Una deriva che per l'ex attivista, il quale sfiorò l'elezione al Senato proprio coi Cinque stelle, potrebbe essere il prodromo di un M5S che un po' alla volta perde di peso fino a scomparire.

Francesco tu sei molto critico coi Cinque stelle. La tua convinzione è mutata nel tempo, per esempio quando militavi nel M5S bassanese?
«No, anche quando ero un attivista ho sempre insistito sul medesimo punto. Da illo tempore, ossia dal 2009, contavano sempre e solo Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, ossia Casaleggio senior. Tutto il resto sono balle cucinate ad arte, male per altro, per far finta che il M5S sia un movimento democratico. Anche da attivista non ho mai fatto sconti al M5S. Sono rimasto sempre coerente, io. Per questo a un certo momento ho sbattuto la porta e me ne sono andato».

Che cosa sta succedendo dietro le quinte per davvero?
«Succede che quel personaggio improbabile in pochette, ossia l'ex premier Giuseppe Conte, una volta assaggiato il potere se ne è innamorato. Non ci sta più a fare il burattino: vuole mettersi in proprio e giocare in grande, ammesso, e non credo proprio, che ne abbia la stoffa. In sostanza vuole comandare e contare dentro M5S. Dall'altra parte c'è Grillo».

Il quale che fa?
«Il quale non ci sta e non ha nessuna intenzione di farsi mettere all'angolo diventando un semplice garante. Vuole continuare a contare, decidere, muovere i fili da buon burattinaio».

E nel mezzo che ci sta?
«Nel mezzo ci sta il corpaccione dei gruppi parlamentari. Un parco buoi composto in gran parte da gente senza arte né parte né capacità politica o competenze. Gente che deve solo ringraziare Grillo e il M5S per aver trovato la cuccagna. Gente che in molti casi, pur con le dovute eccezioni, si è trovata dov'è solo per aver leccato il fondo schiena al fondatore. E non parlo solo dei parlamentari, parlo anche di chi si è seduto sugli scranni ministeriali. Parlo di persone che fino al giorno prima si arrabattavano con lavoretti saltuari e che di punto in bianco si sono trovate sulla scrivania dossier delicatissimi, magari che valevano miliardi».

E quindi come andranno avanti le cose?
«Ovviamente la gran parte dei parlamentari non ha nessuna intenzione di andare a casa anzitempo e capisce benissimo che saltare sulla barca di un eventuale nuovo partito di Conte senza il simbolo del M5S sarebbe un azzardo. Questo lo capisce pure il Conte in pochette che vuole sì comandare: ma non ha un programma e non ha una struttura. E soprattutto non ha mezzi economici né appoggi per lanciare un partito»

Epperò Conte sembra avere parecchio consenso. O no?
«Sì è vero. Apparentemente ha consenso: ma si sa questo e liquido: c'e oggi ma può sparire nel battito d'ali di una farfalla. Inoltre il marzo 2023, quando probabilmente si voterà, è ancora molto lontano. E si sa gli elettori italiani hanno la memoria di una formica. Per cui l'iniziale idea di lanciare un partito si scontra con la cruda realtà».

Che riflessione ne ricavi?
«Dopo la furia iniziale dello scontro Grillo-Conte, la situazione andrà incontro ad un momento di decantazione. Lì dentro lo hanno capito tutti, sia i cosiddetti big, sia i cosiddetti peones. Non penso ci sarà alcun partito di Conte. Non ci sarà alcuna scissione. Magari Grillo dovrà cedere su qualcosa, Conte avrà qualche strapuntino in termini di potere interno. Tuttavia le cose non cambieranno granché. In fondo se uno mi chiede che cosa sia oggi il M5S io rispondo che si tratta di mediocri avvinghiati alla poltrona».

Tu molto tempo fa profetizzasti una implosione o meglio un prolasso del M5S sui suoi temi fondanti. Quali furono le avvisaglie?
«Le avvisaglie sin dal 2012 erano chiare».

Tu le segnalasti?
«Sì io le segnalai a rotta di collo. Sia parlandone internamente al movimento sia mettendo le mie critiche nero su bianco. All'epoca mi bollarono come un rompicoglioni. Adesso andrei da ogni singola persona che si permise di dubitare della bontà delle mie argomentazioni e gli sbatterei la dura realtà in faccia. E comincerei dai più mediocri, quelli dalla sparata facile sui social network ma dalla sintassi stentata: omuncoli dotati o meno di scranno romano che si permisero di dubitare della bontà delle mie argomentazioni».

Quali furono le tue critiche all'epoca?
«Ribadisco. Segnalai, tra le tante, la pervasività del duopolio Grillo-Casaleggio nelle scelte che contavano, nonché la assenza totale di trasparenza nel meccanismo decisionale. Me la presi per la mancanza di trasparenza di coloro che erano delegati dai capi a prendere le decisione chiave. Cercai di puntare un fanale contro le figure oscure attorno a questo fantomatico Staff che non si è mai capito bene su che basi agisse. Una delle critiche più ricorrenti da parte mia fu quella relative ai criteri con cui si mise in piedi la procedura delle cosiddette parlamentarie: ossia una sorta di primarie interne al movimento le cui garanzie di trasparenza erano uguali a zero visto l'utilizzo di una piattaforma elettronica privata che impediva de facto i riconteggi in chiaro delle preferenze».

Segnalasti altri casi in particolare?
«Sì, emblematico fu il caso della ascesa del trevigiano David Borrelli. Un tempo il plenipotenziario del M5S nel Veneto, finito al Parlamento europeo a Strasburgo solo il cielo sa come, per poi abbandonare lo stesso M5S in modo molto misterioso».

Perché quel caso fu emblematico?
«Perché siamo di fronte ad una parabola politica tipica di chi ha raggiunto posizioni di vertice solo perché è stato portato in cima al palazzo dai dominus del movimento. Politicamente parlando Borrelli è sempre stato un furbetto. Ma allo stesso tempo, sempre politicamente parlando, da una vita è sempre stato sfuggente, meschino, mediocre, senza alcuna preparazione di alto livello. Ecco nel Veneto, che è la realtà che conosco meglio, nel M5S hanno fatto strada, grazie a promozioni sul campo gestite dai capi senza fare riferimento alla meritocrazia, improbabili personaggi in cerca d'autore come, appunto, Borrelli. O altri senza grandi capacità, con l'eccezione di quella di saper rimanere a galla sempre e comunque, come il ministro per i rapporti col parlamento Federico D'Incà».

Come valuti la consiliatura del M5S a palazzo Ferro Fini dal 2015 al 2020?
«Nel Veneto, uso una parola grossa, la classe dirigente pentastellata la considero una delle peggiori d'Italia: il che è tutto dire. In consiglio regionale nella scorsa consiliatura i grillini hanno fatto poco o nulla in relazione a temi scottanti per il nostro territorio. Quella compagine, capitanata dal furbetto e strategicamente evanescente Jacopo Berti, è sparita nel canale di scolo della storia politica regionale con tutto il M5S. Un discorso a parte va fatto per Patrizia Bartelle che quel gruppo lo abbandonò, per vero».

Che spiegazione ti dai rispetto a tutto ciò?
«Nel Veneto il M5S non ha mai voluto e, sottolineo voluto, contare nulla. Si è affidato a gente innocua nel migliore dei casi: ma utile nonché funzionale alla Lega e soprattutto al sistema di potere dominante. Gli esempi li conoscono tutti. Ho conosciuto negli anni in cui sono stato attivista nel Veneto ottime persone, anche professionisti o intellettuali capaci, che avevano aderito con entusiasmo al progetto del M5S».

A loro che cosa accadde?
«Vennero tutti o quasi tutti espulsi, tutti o quasi tutti fatti fuori».

Oppure?
«Oppure si allontanarono una volta capito il meccanismo di arruolamento dei vertici. In questo senso ricordo a tutti del preoccupante fil rouge che dopo il 2010 attraverso il think tank Confapri ebbe ad unire Grillo, Casaleggio, Borrelli con l'inner circle del potere del governatore veneto, il leghista Luca Zaia. Think tank in cui ebbe un peso l'imprenditore iper-liberista col pallino delle privatizzazioni e delle grandi opere Massimo Colomban. Imprenditore che non si sa bene perché il M5S portò addirittura in giunta nel Comune di Roma con una delle deleghe più pesanti: quella alle partecipate.

Diversi detrattori del M5S parlano di un soggetto nato, almeno in alcuni anfratti, per ingabbiare la protesta nascente, un movimento che portava già da allora una data di scadenza incollata sul tappo della bottiglia una volta normalizzato il dissenso crescente nel Belpaese. È una lettura che ha un senso? La ritieni plausibile?
«Si la ritengo perfettamente plausibile, anche e soprattutto alla luce di quanto avvenuto».

Con quale conseguenza?
«Oggi il Paese non ha più bisogno del M5S. Il dissenso si è normalizzato, la gente ha altre emergenze cui pensare».

In questo contesto il M5S ha perso peso nel nuovo governo e di risulta potere?
«Direi di proprio di sì. Basti vedere l'ennesima retromarcia sulla riforma della giustizia. Rispetto alla quale il M5S sta trangugiando un cotillon che è la negazione della sua fondazione e della sua esistenza, almeno sul piano delle intenzioni vendute agli elettori allocchi. Indipendentemente o meno dalla sopravvivenza dei Cinque stelle alle politiche del 2023, sopravvivenza sulla quale non metto la mano sul fuoco, il movimento è in uno stato di morte cerebrale, ammesso che di cervello si possa parlare».

Ne sei sicuro?
«Ribadisco sino alla nausea. Dico morto perché sono state prima narcotizzate e poi soffocate nel sonno le istanze primigenie in ragione delle quali i Cinque stelle nacquero: sepolte nonché spesso denegate sull'altare della poltrona, della pagnotta e delle cordate occulte di potere».

Ma come mai dici questo? Il M5S ha comunque riscosso un grande successo parlamentare. Bisognerà pur confrontarsi con queste persone o no?
«Dico questo perché al di là della misera parabola di Grillo le aspirazioni di una parte degli italiani che credettero in quel progetto erano genuine: indipendentemente da come quelle aspirazioni siano poi state grottescamente tradite. E non è la prima volta che accade una cosa del genere: historia docet».

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