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Tutankamon, Caravaggio e Van Gogh: al via la prevendita, le immagini dei capolavori

"La notte come esperienza psicologica, come immagine di uno spazio che è vicino e lontano al tempo stesso. Immagine della realtà e del dissolversi di quella stessa realtà": ecco cosa vedrete in Basilica

Conto alla rovescia per l'attesa prevendita dei biglietti della prossima grande mostra in Basilica Palladiana, "Tutankamon, Caravaggio, Van Gogh: la sera e i notturni dagli Egizi al '900". Dal 15 settembre sarà infatti possibile acquistare sia on line che telefonicamente il tagliando per vedere le decine di capolavori. ECCO COME 

Tutankamon, Caravaggio, Van Gogh


Ecco come il curatore, Marco Goldin, descrive come è nata questa prestigiosa esposizione e come sono state composte le varie sezioni. 

"Ho sempre pensato che l’arte sia il racconto della vita. Non mi sono mai sottratto a questa forza che mi conduce, né ho mai considerato di oppormi a essa. L’ho sempre immaginata come una cosa inutile: fare resistenza alla vita che scorre e fluisce. A volte ti frusta violentemente, ma altre volte ti consegna alla felicità più piena. Così il progetto di questa mostra, una volta di più, nasce dal contatto, e dallo sfregamento ruvidissimo, con la vita. Nasce dal desiderio di raccontare in altro modo qualcosa che è accaduto. Un’assenza, una mancanza. Pensando a come la notte, il suo spazio soprattutto, raccolga ogni volto, e ogni cosa, in una dispersione che ci fa partecipare – corpo e anima – di quello stesso spazio.

Questo progetto si è via via venuto modificando, fino ad assumere i contorni che adesso ha. E si è modificato anche mentre già vi lavoravo assiduamente. Come sempre mi accade. Nelle ore e nei giorni, nei pensieri che vi dedicavo. E si è in qualcosa modificato poiché sentivo il bisogno che aderisse fino in fondo alla mia vita, alla vita di chi desidera fare un’altra volta racconto attraverso la pittura. Ho smesso da tempo di interrogarmi sul fatto se sia o non sia giusto, questo raccontare dei sentimenti attraverso la pittura. Lo faccio perché a me sembra una cosa buona e certamente io così la sento. Una cosa che vorrebbe toccare, quanto più vicino possibile, il senso della verità. La verità d’ognuno, che pur a brandelli capita di percepire, e non ovviamente l’impossibile assoluto della verità. Solo ragionare sulle umane misure, quelle che ci toccano, ci feriscono e ci prendono in una luce di festa.

Volevo raccontare una perdita, che si avvicinava e che infine è avvenuta. E volevo farlo evocando i colori della notte, nella luce del crepuscolo, di una prima sera che viene. Mi sembrava bello poter chiamare accanto a me tanti artisti che nella notte si erano perduti, dipingendo. E costruire così una storia dei notturni, nelle diverse loro motivazioni stilistiche e di sentimento, ma pur sempre una storia che al suo centro avesse la sublime dilatazione dello spazio, il nostro perderci in esso. Così come nello spazio si perde, svaporando, chi si congeda e vive fino in fondo, a noi sconosciuta, l’esperienza della notte stessa.

Ho pensato quindi, e lo dico con pudore ma ben sapendo come questa ne sia la motivazione più forte, di costruire una storia da dedicare alla memoria di mio padre. Una storia della notte dipinta, anticipata, perché così mi sembrava giusto, dal viaggio simbolico degli Egizi dentro la notte abitata ancora dalla vita. E per sempre. E dire “per sempre” lo volevo, di fronte a un’assenza che sembrava invece annullare il “per sempre”.

L’idea di questa mostra si feconda nell’approfondimento della Fenomenologia della percezione di Maurice Merleau-Ponty, libro epocale per gli studi nel XX secolo, uscito nel 1945 da Gallimard a Parigi. C’è un passo, in modo particolare, attorno a cui si è sviluppata la mia riflessione circa il tema della notte, e dal quale parte il progetto di questa esposizione: “Quando, per esempio, il mondo degli oggetti chiari e articolati si trova abolito, il nostro essere percettivo amputato del suo mondo delinea una spazialità senza cose. E’ ciò che accade nella notte. Essa non è un oggetto di fronte a me, ma mi avvolge, penetra attraverso tutti i miei sensi, soffoca i miei ricordi, cancella quasi la mia identità personale. Io non sono più trincerato nel mio posto percettivo per vedere, da lì, sfilare a distanza i profili degli oggetti. La notte è senza profili, è la notte stessa che mi tocca, e la sua unità è l’unità mistica del mana. Anche delle grida o una luce lontana la popolano solo vagamente, essa si anima tutta quanta, è una profondità pura senza piani, senza superfici, senza distanza da me. Per la riflessione ogni spazio è fondato su un pensiero che ne collega le parti, ma tale pensiero non si forma in nessun luogo. Per contro, mi unisco allo spazio notturno dal cuore di questo stesso spazio”.

La notte dunque come esperienza psicologica, come immagine di uno spazio che è vicino e lontano al tempo stesso. Immagine della realtà e del dissolversi di quella stessa realtà. Racconto e annullamento del racconto, nuovamente realtà che si spinge oltre la realtà. Da questa apparente contrapposizione tra elemento della concretezza ed elemento della dispersione, nasce l’idea di un racconto che vuole diventare cammino attraverso le immagini. Che fa della notte il simbolo di un viaggio che avviene e di un luogo al centro del quale si sta.

Divisa in sei sezioni di carattere tematico e non cronologico, sarà composta da circa 110 opere, provenienti come sempre da musei e collezioni sia americane che europee.
1_04_EGYPTIAN_ART_2003.244-2In tutta la prima parte (La notte segue il fiume. Gli Egizi e il lungo viaggio), forte di 23 tra sculture e oggetti, e facendo interamente ricorso a una delle più straordinarie collezioni al mondo nel settore, quella del Museum of Fine Arts di Boston, verrà ricostruita l’idea che della notte avevano gli Egizi. Notte intesa in senso figurato, come cammino nell’oscurità di un dopo morte che invece si illumina con la resistenza delle immagini della vita, degli oggetti della vita, le figure, i segni, i simboli. Sarà la parte dell’esposizione in cui i dati della realtà diventeranno oggetti, gli oggetti che venivano custoditi nelle Piramidi, simbolo luminoso della notte dell’eternità, che però si portava dietro la vita.

Elementi che verranno esposti sotto un vasto cielo stellato, in un allestimento che simulerà le immense notti del deserto, perfino con il suono del vento a scuotere l’atmosfera e farla dondolare. Dai ritratti del Fayum alle teste scolpite in pietra, dalle maschere funebri ai gioielli e ai giochi dei bambini, la notte abitata dalla vita si disporrà con tutto il fascino che è proprio a questa straordinaria civiltà. Considerando anche quanto importante sia stato, per la cultura soprattutto di fine Ottocento e inizio Novecento in Europa, il riferimento proprio alla storia egiziana antica. Non a caso ad aprire il percorso sarà uno dei bellissimi ritratti del Fayum, a intersecare la profondità del volto e dell’assenza in quell’Egitto romano con taluni volti, governati dalla notte e dall’assenza stessa, in pieno Novecento, a cominciare da Francis Bacon.

Se questo sarà dunque il primo, pur circoscritto, dei sei tempi della mostra, con le altre cinque sezioni ci si sposterà molti secoli più avanti, nell’ambito questa volta della pittura, ma anche dell’incisione. La pittura che ha rappresentato la notte. La notte piena, oppure il suo giungere nell’ora del tramonto e del crepuscolo, la mareggiata delle stelle, la conclusione della notte stessa quando l’alba sta per giungere. Non ci si aspetti però di visitare una mostra fatta solo di neri notturni del cielo, o al più dei lumi delle stelle e della luna. La notte, e prima di lei la sera, sono intese in senso fortemente psicologico, e anche, in modo preponderante, quali scatole di contenimento di storie, di vicende, di forti dichiarazioni di fronte all’immenso o nella brevità dei giorni. Quando si confrontano il senso della casa e quello dell’eterno. E per far vivere questo sentimento, farlo scoccare come la freccia che lascia l’arco teso, ho scelto la tematizzazione, così da consentire che sullo stesso argomento potessero essere vicini pittori che, pur a secoli di distanza, creavano la loro pienezza nel tratteggiare una stessa immagine.

2_03_EL_GRECO_006-2La seconda sezione (Figure sul limitare della vita. Da una finestra viene la notte), vedrà, nella sua parte più ampia, il racconto soprattutto della vita di Cristo, nei momenti in cui essa è ambientata nella sera e nella notte. Per cui, dall’adorazione dei pastori fino all’orazione nell’orto, alla salita al Calvario, alla crocifissione e alla deposizione nel sepolcro, si succederanno i capolavori tra fine Quattrocento e Novecento. Dalle finestre orientate sulla notte di Giorgione e Tiziano che si confronteranno con quelle magnifiche dello spagnolo Lopez Garcia sul finire del XX secolo, da Lotto a Palma il Vecchio, da Tintoretto a El Greco (nella foto), da Savoldo a De La Tour, da Caravaggio a Zurbaran, da Guercino a Carracci, da Veronese a Velazquez solo per dire di alcuni, fino alla contaminazione tra Poussin e Bacon sul tema straziato e stracciato della crocifissione.

La terza sezione (Di lune e di stelle. E di tramonti prima. Il secolo della natura), sarà sostanzialmente tutta dedicata alla pittura ottocentesca. Tempo nel quale il gusto romantico (in mostra capolavori da Turner a Friedrich fino a Dahl e Carus) vede nel sentimento notturno il suo raggiungimento più pieno e più alto. Ma sarà interessante scoprire come questo sentimento della sera e della notte venga interpretato, al di là dell’oceano, da alcuni pittori americani di straordinario talento, da Allston a Cole, da Church a Lane e alle sue lune che si confronteranno con quelle interiori di Paul Klee. Fino a Winslow Homer che sarà posto a fianco del suo maggior prosecutore novecentesco, Andrew Wyeth. Le ombre della notte giungente in Homer e la luna splendente nel cielo in Wyeth, a dire una delle più stringenti esibizioni d’emozione e sentimento nella storia della pittura che esce dal romanticismo. Ma poi la pittura europea del secondo Ottocento, con il tema del realismo in Corot e Millet e la materia di grasso tramonto di quest’ultimo messa a confronto con quella di Van Gogh a Nuenen prima e Kiefer nella seconda parte del Novecento. E poi lo splendido transito di Monet, nelle luci di fine giorno dapprima lungo la costa di Normandia e poi lungo il Canal Grande a Venezia. O Pissarro, e ancora Van Gogh nei parchi di Arles o sui campi innevati di Saint-­‐Remy, fino alla modernità giungente in Mondrian, con il suo valore ormai pienamente novecentesco.

4_05_PIRANESI_005-2La quarta sezione (Il bianco e il nero della notte. Una mano incide una lastra), sarà contenuta nel numero delle opere, in tutto 16, ma offrirà alcuni tra i capolavori della storia dell’incisione, con la scelta di concentrarsi su un artista del Seicento, Rembrandt, e uno del Settecento, Piranesi (nella foto). Per evidenziare la meraviglia delle figure soffuse dentro la notte nel primo, e l’intensità plastica degli scorci scenografici e teatrali nel buio delle sue carceri del secondo.

La quinta sezione (Sere e notti del Novecento. Il cielo e lo spirito), sarà dedicata ad alcune delle esperienze più affascinanti soprattutto del secondo Novecento, a cominciare però prima da Hopper e Nolde. Il primo per evidenziare il senso per lui usuale della solitudine notturna dei luoghi nella città, vuoti di ogni presenza umana. Il secondo, quasi in un’antitesi di spazi, per evocare il senso di una solitudine invece piena di cieli e di natura, graffiata dal vento, fuori dal gusto quasi cinematografico della notte hopperiana. Ma poi, partendo dal pullulare delle luci di Whistler proprio accanto a Hopper, per dare l’idea di quanto possa essere diversa una città (Venezia da un lato, New York dall’altro) dentro la notte, si apriranno le immagini di alcuni dei grandi pittori dell’ultima parte del XX secolo. Alcuni di loro, i grandi astrattisti (da Rothko a Noland a Morris Louis in America, fino a De Stael in Europa), a evidenziare la portata fortemente introspettiva e psicologica del sentimento notturno, che non è più fenomeno della descrizione fisica quanto invece l’approfondimento dentro il tempo. Con loro dialogheranno, in una vasta sala, Andrew Wyeth e Antonio Lopez Garcia, unitamente all’italiano Piero Guccione, scelti tutti per rappresentare il poetico ossequio ancora nei confronti della realtà a fine Novecento, e dire dunque l’altra faccia del cielo notturno di Rothko e compagni.

6_05_BACON_006-2La sesta e ultima sezione (In queste sere e notti ci si perde. La mostra in una stanza), entro una serie mozzafiato di capolavori, vuole restituire il senso finale dell’esposizione, legandolo alla storia dell’uomo dentro le luci serali e notturne. Dapprima lo straccio del corpo nella notte giungente o presente, con il contatto prepotente tra le deposizioni di Rubens e Luca Giordano accanto a un corpo assassinato di Cézanne e a uno accovacciato di Bacon (nella foto). Così come corpo è quello di una donna tahitiana di Gauguin, cosparsa come unguento del rosso del tramonto tropicale che tutta la sabbia invade, tanto da poter stare accanto a un grande e fiammeggiante rosso, quasi arancione, di Rothko, che rovescia il potere del naturalismo simbolico dello stesso Gauguin. Mentre tutti osserva Vincent van Gogh, che nel suo celeberrimo Sentiero di notte in Provenza evoca la presenza, sotto le stelle e una grande luna, di un mistero che sigilla in una sola immagine la forza della carne e dello spirito nella luce della notte. Chiudendo in questo modo la mostra come immagine del destino.

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