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Economia Bassano del Grappa

«Sì alla ripresa, no ai capitali illeciti o peggio mafiosi»

Mentre i rivoli della «China connection» toscana relativa al traffico illecito di rifiuti sfiorano Vicentino e Trevigiano il professore Guidotto invita a non minimizzare l'aspetto dei collegamenti col tessuto criminale e con quello imprenditoriale

Due giorni fa il Comune di Prato ha dato ampio risalto ad una vasta operazione di contrasto al traffico illecito dei rifiuti tessili prodotti da alcuni imprenditori di origine asiatica in quella che nella città del Retaia viene definito il distretto cinese del pronto moda. L'operazione, conosciuta col nome di «Tex majhong» è stata condotta dalla polizia municipale del capoluogo e dalla polizia provinciale pratese sotto il coordinamento della Procura antimafia toscana. Il grosso del lavoro investigativo ha riguardato lo stoccaggio illecito del materiale. Tuttavia le perquisizioni ed i sequestri hanno interessato anche il Bassanese, territorio in cui opera un imprenditore trevigiano attivo appunto tra l'Est vicentino e la Marca: imprenditore che sarebbe rimasto invischiato nelle indagini. Il professore Enzo Guidotto di Castelfranco è il presidente dell'Osservatorio veneto sul fenomeno mafioso. Ai taccuini di Vicenzatoday.it fa sapere che «occorrerà tenere puntati gli occhi sui rivoli dell'inchiesta perché in passato questo tipo di reati lungo l'asse Veneto Toscana era già finito» nel mirino degli investigatori.

Dunque professor Guidotto, ancora una volta le procure antimafia si sono attivate  nell'ambito del contrasto allo smaltimento illecito di rifiuti. È un refrain?
«Premesso che per quanto riguarda la vicenda deflagrata recentemente a Prato non sappiamo ancora se ci siano fattispecie di tipo mafioso. Non c'è dubbio che spesso siamo di fronte ad illeciti in cui la matrice si assomiglia spesso».

Perché?
«Perché il modello di business alla base delle ecomafie è un modello che non è stato inventato dalle mafie bensì dalle imprese. Era un modello che già c'era. Casomai le mafie sono entrate dopo in quel giro mettendo a disposizione i propri uomini e i propri servizi».

L'inchiesta toscana sembra avere alcuni evidenti collegamenti con una indagine del 2019 dal tenore per certi aspetti simile. Quella inchiesta, in cui le liason dangereuse con la n'drangheta di Rosarno erano evidenti e che lambì ancora una volta il Veneto all'epoca fece scalpore. Oggi sulla stampa regionale alcuni luoghi e alcuni nomi tornano a fare capolino. Come torna a fare capolino una sorta di «China connection» tra operatori asiatici, imprenditori italiani senza scrupoli e uomini della criminalità organizzata. Se lo aspettava?
«Direi che non c'è nulla di nuovo sotto il sole. È chiaro che, mafia o non mafia, chi ha un expertise criminale se può lo mette a frutto».

Si parla ancora una volta di capannoni più o meno dismessi in cui puntualmente finiscono scarti di lavorazione il cui smaltimento lecito costerebbe assai di più. In questo business ci si sono tuffati  pesce anche i cinesi d'Italia? Lei che ne dice?
«Business is business dicono gli anglosassoni. Il malaffare non ha confini, non ha etnie di riferimento. Diciamo che queste connessioni tra imprenditori senza scrupoli di origine asiatica, imprenditori del nord e uomini senza scrupoli legati alle mafie andrebbero studiati anche al fine di prevenirli. Poi c'è un problema di memoria corta».

Che cosa intende?
«Un paio di anni fa Est veronese e Ovest Vicentino in primis, ma non solo, vennero investiti da una raffica di incendi. Incendi che erano stati appiccati a capannoni che contenevano scarti di lavorazione. Di quel filone sui media non s'è più letto nulla. Anche in questo caso però va rimarcato che questi episodi hanno più a che fare con la criminalità industriale che con le mafie perché questo tipo di illeciti, continuo a ripeterlo fino a sgolarmi, non solo non sono appannaggio esclusivo delle mafie: gli utilizzatori finali sono le imprese».

Per caso le viene in mente l'operazione Cassiopea dei primi anni Duemila?
«Sì ecco. Possiamo definire l'operazione Cassiopea la madre o quantomeno la madrina di tutte le inchieste in cui ecomafie e imprenditori andavano a braccetto. Sarà spiacevole ricordarlo ma in quella inchiesta, che stranamente morì per prescrizione, su 97 imputati di veneti ne contava ben venti. Ed erano tutti pezzi grossi».

E quindi?
«Guardi in questi casi il vero punto di caduta non sono tanto gli arricchimenti illeciti o l'alterazione della concorrenza, che pure vanno tenuti nel dovuto conto. Il punto di caduta è l'ambiente, la salute delle persone, la tenuta del territorio anche sul piano sociale. E io sono preoccupato».

Perché?
«Il cielo non voglia che da alcuni anfratti delle istituzioni, con la scusa che stiamo entrando nel periodo post coronavirus e che l'economia deve ripartire in fretta, lo stimolo lo si cerchi nell'allentamento delle norme ambientali, paesaggistiche, di quelle sugli appalti, di quelle sulle infrastrutture, di quelle sui controlli bancari e via dicendo. Guai se passasse un messaggio improntato al lassez faire costi quel che costi. Se qualcuno pensa che la rinascita morale e economica del Veneto o del resto del Paese, venga anche dall'impiego di capitale la cui origine rimane avvolta nella nebbia, allora ci aspetta un orizzonte fatto di oscurità: sì alla ripresa, no ai capitali illeciti o peggio mafiosi».

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