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Economia

Ripartenza pmi, ok alle nuove misure di sicurezza ma il mercato è fermo

Ecco i risultati dell’indagine condotta da Apindustria Confimi Vicenza su un campione di 200 attività: il 69% lamenta la mancanza di ordini

Per le Pmi vicentine è stata una ripartenza ordinata, senza particolari criticità nel mettere in atto i nuovi protocolli per la prevenzione del contagio, ma la vera sfida arriva adesso, sotto forma di un mercato che appare sostanzialmente fermo. È questo, in sintesi, il messaggio che emerge dall’indagine flash condotta da Apindustria Confimi Vicenza su un campione di 200 PMI della provincia, rappresentativo dei principali settori manifatturieri.

Più in dettaglio, per quanto riguarda le nuove misure di sicurezza, nell’86% dei casi l’investimento necessario è stato minimo, in quanto le aziende già rispettavano buona parte delle misure indicate. Così, l’unica vera complicazione rimane quella di reperire i DPI per il personale (lamentata dal 51% del campione), anche se un buon numero di aziende (28%) segnala anche la difficoltà di ripresa lavorativa di alcuni dipendenti a causa dei loro problemi familiari dovuti alla chiusura delle scuole. 

Anche la paventata perdita di efficienza per le ricadute sull’organizzazione interna appare tutto sommato superabile: solo un 16% dichiara una differenza tangibile e impattante sulla capacità produttiva, per il 54% invece è trascurabile e per il 30% non vi sono ricadute.

Dove invece sta emergendo tutta la criticità del momento è sul fronte del mercato: per il 69% delle aziende i clienti, pur avendo anch’essi riaperto, non stanno effettuando nuovi ordini, anzi molti stanno sospendendo o posticipando gli ordini già fatti prima del lockdown. «Il mercato è fermo - sintetizza Flavio Lorenzin, presidente di Apindustria Confimi Vicenza -. Del resto è poco lungimirante riaprire le attività manifatturiere lasciando chiusi i loro clienti, perché tenere chiuse le attività commerciali significa azzerare il mercato interno, che nella media nazionale vale il 70% del Pil. A questo si aggiunge una questione più generale: la prima conseguenza della pandemia è stato il blocco di tutti gli investimenti, soprattutto quelli strumentali. Questo sia per motivi psicologici, sia perché tutte le aziende stanno cercando di conservare liquidità per far fronte agli impegni già presi e alle difficoltà future. Di conseguenza si chiede ai propri fornitori di spostare più avanti le consegne e così a cascata lungo tutta la filiera. Chi pensava dopo 2 mesi di stop di dover correre per recuperare il tempo perso è rimasto molto deluso: tutti stanno a guardare per capire cosa accadrà. C’è grande incertezza».

Una situazione che per il 40% delle imprese si traduce in problemi di liquidità, tanto più che non mancano nemmeno gli insoluti (ne ha registrati il 24% delle imprese del campione). Nonostante queste difficoltà finanziarie, tuttavia, il 41% non ha usufruito – e non intende usufruire - delle misure previste dai decreti Liquidità e Cura Italia, solo il 24% vi ha fatto ricorso per la liquidità di cassa e il 23% per la sospensione dei mutui.

Il 58% delle imprese, in ogni caso, lamenta difficoltà nel rapporto con gli istituti di credito: tra i principali motivi di malcontento, un eccesso di burocrazia e tempi troppo lunghi (22%) e una scarsa conoscenza delle misure del Governo da parte degli stessi operatori finanziari (12%). «Il sistema bancario è lento, per non dire fermo – evidenzia Lorenzin -. Le banche non stanno erogando nuova finanza, piuttosto stanno ridiscutendo i finanziamenti già in essere, limitandosi all’aumento di fido minimo previsto dal Governo, appena un 10% a fronte di controgaranzie molto maggiori. Per questo come Confimi Industria abbiamo chiesto che il Governo alzi l’incremento minimo del fido almeno al 50%, altrimenti non serve a niente. Tanto è vero che molte aziende non stanno utilizzando le misure a supporto della liquidità. Basti pensare al famoso prestito di 25 mila euro con controgaranzia al 100%: le imprese non hanno voluto o potuto usarlo, tecnicamente questa misura è stata un flop».

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