rotate-mobile
Economia Trissino

Cgil contro Miteni: «Sequestro dei beni anche dei soci»

L’annuncio lo ha dato questa mattina il vertice del sindacato durante il sit- in organizzato davanti alla fabbrica trissinese: dopo la richiesta di fallimento avanzata dalla società i lavoratori ora promettono le barricate. E la magistratura vicentina che indaga sul caso intanto finisce sulla graticola dei Cinque stelle

Oggi però la vera novità riguarda la presa di posizione della Cgil sia a livello regionale che provinciale. Una posizione assunta durante le ore, «drammatiche» del primissimo mattino. «La nostra organizzazione - fa sapere il segretario confederale provinciale della Cgil Giampaolo Zanni - ha deciso che si muoverà a brevissimo sul piano giudiziario per chiedere il sequestro non solo dei beni della Miteni ma anche del resto della catena societaria, persone fisiche comprese, anche andando a ritroso nel tempo. Il motivo? Fare in modo che grazie all’azione della magistratura non si disperdano quelle risorse necessarie alle bonifiche ambientali e necessarie al ristoro per i danni alla salute patiti dai lavoratori. Noi non permetteremo a chi ha agito in modo scorretto si permetta di sfuggire dalle proprie responsabilità». Si tratta di parole che pesano come macigni che il segretario ha proferito questa mattina proprio durante il sit-in (in foto un momento della protesta). Ora Zanni non lo dice espressamente ma è chiaro che ora tutta la pressione del Cgil, col peso del suo apparato e dei suoi mezzi, si sposta gioco forza sulla procura della repubblica di Vicenza alla quale da anni, invano peraltro, comitati e ambientalisti chiedono il sequestro del sito e dei patrimoni necessari ad eventuali ristori.

LA SOCIETÀ CONTRO LA PROVINCIA

In questo contesto però è necessario capire il punto di vista dell’azienda. Quest’ultima in una nota diffusa ieri ha spiegato che le ultimissime incombenze impostale dalla Provincia di Vicenza (sue alcune specifiche competenze in materia ambientale) in tema di manutenzione e di verifica sul funzionamento degli impianti, incombenze definite «pretestuose», non sono finanziariamente sostenibili. Così almeno la pensa la proprietà di Miteni che fa capo ad una holding finanziaria germanico-lussemburghese il cui perimetro non è stato mai davvero chiarito nonostante l’associazione ambientalista Greenpeace in passato abbia redatto un corposo dossier con indicazioni molto puntuali che potrebbero in qualsiasi momento essere utilizzate dai magistrati: magari con lo strumento della rogatoria internazionale.

I detrattori della Miteni però sostengono che le ragioni addotte dall’azienda siano speciose: di fatto un escamotage per evitare oneri e incombenze, in primis sul piano ambientale, che per anni sarebbero state artatamente nascoste sotto il tappeto. Se in violazione o meno del codice penale chiaramente solo la magistratura lo può stabilire. Ma la prudenza della procura berica è più volte finita nel mirino dei comitati delle associazioni, di alcuni sindacalisti e anche di alcuni esponenti politici.

«COMMISSARIARE LA PROCURA»

Ed è in questo quadro che si colloca l’iniziativa di ieri del M5S. Il quale con una nutrita delegazione tra amministratori locali, consiglieri regionali e parlamentari, si è recato ieri alla procura generale presso la corte d’appello di Venezia con la consulenza giuridica dell’avvocato berico Edorardo Bortolotto. L’obiettivo? Chiedere che l’inchiesta in corso sulla Miteni sia tolta ai magistrati della città del Palladio e assegnata direttamente alla procura generale presso la corte d’appello di Venezia. Si tratta di una procedura eccezionale, una sorta di commissariamento su un caso specifico, alla quale si può fare ricorso quando si ritiene che il titolare di una inchiesta abbia mostrato gravi lacune nella gestione e nel controllo delle indagini. Detto in soldoni si tratta di una bastonata del M5S contro la procura berica la cui condotta è stata segnalata anche al Consiglio superiore della magistratura. Se poi si considera che il ministro della giustizia è Alfonso Bonafede (uno degli uomini più in vista del M5S) e che anche il Guardasigilli può avviare l’iter per provvedimenti disciplinari nei confronti delle toghe, si capisce quanto delicata sia divenuta la situazione.

BONIFICA: ASPETTO CRUCIALE

Da questo punto di vista sarà cruciale capire quali siano le incombenze sulla bonifica che gli enti preposti (Regione in primis, ma anche la procura può imporre una sua decisione in tal senso) hanno pensato per la Miteni. La pratica è ancora in divenire, ma è chiaro che più alti saranno i costi e maggiori saranno le difficoltà finanziarie che la società o la proprietà dovranno affrontare. Rimangono poi sempre valide le incombenze della legge fallimentare la quale stabilisce che chi fa fallire una società con l’obiettivo di sottrarre con l’inganno quanto dovuto ai creditori è colpevole del reato di bancarotta fraudolenta. Pertanto per avere una misura precisa dei margini concessi a tutti i protagonisti della vicenda sarebbe interessante sapere, per esempio, quali sono le ragioni tecnico- giuridiche, che hanno portato il tavolo tecnico sul caso Pfas a chiedere alla Miteni una radiografia della contaminazione del suolo (gergalmente si dice caratterizzazione) più blanda rispetto a quella inizialmente paventata. Si tratta di una materia particolarmente seria.

Non solo per una questione di costi (più è rigorosa la bonifica più il privato deve pagare): ma anche per una questione giuridica. Non ottemperare ad un ordine di bonifica è un reato. Se la bonifica è blanda obbedire all’ordine, evitando le forche caudine del codice penale è più facile. Se la bonifica imposta è colossale, perché colossale è il danno ambientale, allora è astrattamente possibile che i responsabili cerchino degli escamotage per venirne fuori. In questo caso solo la magistratura ha il potere di intervento e di sanzione.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Cgil contro Miteni: «Sequestro dei beni anche dei soci»

VicenzaToday è in caricamento