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Economia

Dalla Marmolada alla concia: tra ambiente, Covid-19 e lavoro

Mentre la sigla di base Cub reclama a gran voce il pagamento degli straordinari non corrisposti dall'Ulss 7 durante la pandemia, i confederali provano a misurare la sostenibilità del settore pelle, uno dei più esposti sul fronte della critica alle attività «clima-alteranti» messe sotto accusa dopo il dramma consumatosi sulle Dolomiti: e così sono due i fronti caldi aperti in queste ore dal sindacato berico

Mentre oggi 6 luglio la Cub davanti a palazzo Volpe chiede che l'Ulss 7 saldi gli straordinari «non pagati ai dipendenti ormai da due anni», i confederali, a poche ore dal dramma della Marmolada, mentre infuriano le polemiche sul fronte delle attività umane «clima-alternanti», domani a Chiampo, provano a dare un parametro alla sostenibilità ambientale del settore della concia. Sul quale tra l'altro incombe lo spettro della siccità. È questo il quadro sindacale che emerge in queste ore dove la temperatura della polemica sale di pari passo con quella dell'aria.

LA RIVENDICAZIONE
Oggi a palazzo Volpe una delegazione del sindacato indipendente Cub capitanata dal segretario regionale Maria Teresa Turetta ha incontrato i funzionari della prefettura berica. Sul tavolo della discussione c'era la questione «degli straordinari non pagati a moltissimi dipendenti della stessa Ulss 7». I quali dopo «essersi letteralmente fatti in quattro durante il periodo pandemico non si vedono riconoscere nemmeno il minimo sindacale degli straordinari» spiega Turetta (che ai microfoni di Vicenzatoday.it ha reso ancora più esplicito il suo pensiero). Straordinari, che secondo la comunicazione di avvio della procedura per lo stato di agitazione indirizzata al prefetto berico Pietro Signoriello il 30 giugno 2022, hanno ormai raggiunto «la soglia monstre», spiega la stessa Turetta ai taccuini di Vicenzatoday.it «di migliaia e migliaia di ore di straordinario non retribuito». La situazione è così grave che l'avvio della procedura per lo stato di agitazione, «alla luce delle risposte fumose giunte dalla dirigenza dell'Ulss 7» vanno considerate a tutti gli effetti «il prologo di uno sciopero degli straordinari» che potrebbe mettere in sofferenza il già precario equilibrio di una azienda sanitaria come quella Pedemontana che copre l'intero comprensorio bassanese e quello scledense dell'Alto vicentino.

IL SILENZIO DI CONTE
Ma come commenta il vertice dell'Ulss 7 le accuse che da settimane la Cub distilla nei confronti dell'azienda sanitaria capitanata dal direttore generale Carlo Bramezza? Oggi nell'incontro in cui i funzionari dell'Ufficio territoriale del governo hanno cercato invano una mediazione la delegazione dell'Ulss era capitanata dalla direttrice amministrativa Michela Conte. Quest'ultima però davanti alle richieste di un commento a caldo da parte dei cronisti assiepati davanti alla prefettura ha preferito rimanere in silenzio. 

LE INCOGNITE
Frattanto il fronte sindacale rimane effervescente. Domattina con inizio previsto alle 9,oo presso l'auditorium municipale di via Volta a Chiampo, i confederali di Cgil-Filctem, Femca-Cisl e Uil-Uiltec daranno vita ad un convegno che si dipanerà tra «competenze, innovazione, sostenibilità, circolarità e politiche contrattuali» nel mondo della concia. A pochi giorni dalla tragedia della Marmolada, l'evento giunge in un momento delicatissimo perché proprio la concia in un continuum con la filiera dell'allevamento, è una di quelle attività che da anni viene messa sul banco degli imputati per quanto riguarda una azione «clima-alterante». Quella azione «clima-alternate di origine umana» la quale aumenta quell'effetto serra che secondo gli scienziati ha causato un aumento repentino delle temperature medie del pianeta (un tema che da anni genera discussioni a non finire). Aumento che come ricorda il divulgatore nonché ricercatore del Cnr Mario Tozzi, è poi alla base di drammi come quello della Marmolada.

FATTURATO E CASCAMI ECOLOGICI
Ma c'è di più. Il settore concia che nell'Ovest vicentino genera un fatturato tra attività tipiche e indotto di un paio di miliardi annui e che impiega di conseguenza circa 10mila persone, da anni viene criticato aspramente per due aspetti. Il primo è quello della contaminazione ambientale. Il secondo è quello dell'uso forsennato delle risorse idriche in una con la loro contaminazione. La siccità di questi mesi (l'argomento sarà dibattuto anche stasera in zona Ferovieri a Vicenza dal metereologo Marco Rabito e dal geologo Dario Zampieri) oltre a rendere più pesante l'impatto di un settore, che dà reddito a migliaia di famiglie ma che spesso dà seri problemi al comparto agricolo, mette in difficoltà, almeno sul piano potenziale, le stesse imprese conciarie, che funzionano solo se hanno acqua a sufficienza. La scarsità di questa risorsa peraltro ha già fatto calare lo stato di allerta sul consiglio di amministrazione di Acque del Chiampo ovvero la società pubblica intercomunale che gestisce il ciclo idrico integrato nel comprensorio arzignanese.

SICCITÁ: I TIMORI DI ACQUE DEL CHIAMPO
Un board che non più tardi del 5 giugno, in una nota dalla quale traspariva una certa qual  preoccupazione, spiegava che «il consiglio di amministrazione di Acque del Chiampo, in azione coordinata con il consorzio Arica che gestisce il collettore finale dei reflui industriali, ha approvato un'ulteriore limitazione dei limiti allo scarico delle aziende, con particolare attenzione per i cloruri e i solfati utilizzati nei cicli produttivi della concia, fino al termine della situazione di criticità». Detto in altri termini la scarsità d'acqua obbligherebbe le imprese a utilizzare, tra le altre,  meno derivati del cloro e dello zolfo. O quanto meno una frazione di questi componenti chimici non dovrebbe finire nel ciclo dei reflui ma essere recuperata prima. In questo senso la situazione rimane delicata anche perché da mesi in valle dell'Agno nella galassia ecologista girano voci ricorrenti. Voci secondo le quali alcuni importanti imprenditori che si sarebbero un po' alla volta allontanati dal mondo della concia avrebbero rilevato in Sud America cospicue attività della filiera dell'allevamento bovino proprio con lo scopo di destinare una parte rilevante degli scarti della macellazione verso la concia delle pelli. Una pratica che sul piano ambientale gli ecologisti definiscono «abietta e abominevole»: soprattutto perché «la si ammanta di una ecostenibilità e di una circolarità che sono solo strumenti di becero marketing».

ASCOLTA L'INTERVENTO DI MARIA TERESA TURETTA

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