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Economia

«Dalla Corte europea una lezione per le lobby finanziarie»

Secondo il Coordinamento Don Torta la recente decisione del massimo organo giudiziario continentale obbliga la politica a rifondare la norma sui salvataggi degli istituti di credito e riscrive un pezzo della storia nell'affaire che ha coinvolto BpVi e Veneto Banca

«La recente decisione della Corte europea, che salutiamo con grande favore, getta comunque una luce sinistra sull'operato dell'allora governo Renzi, di Bce e di tutti quesi soggetti che avallarono la decisione della Commissione europea di considerare aiuto di Stato il piano di intervento riferibile al Fondo interbancario di salvataggio a beneficio di Tercas, la Cassa di risparmio di Teramo. Ecco vorrei far presente a tutti che questa teoria errata fu alla base del mancato piano di salvataggio per Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca». Non ha peli sulla lingua l'avvocato trevigiano Andrea Arman, da anni presidente del Coordinamento don Torta, «uno dei raggruppamenti più attivi in difesa degli ex soci delle ex popolari del Nordest». Alcuni giorni fa la Corte europea (il massimo grado di giudizio comunitario, una sorta di mélange tra la Corte costituzionale italiana e la Cassazione italiana) dopo un contenzioso durato anni ha convalidato il giudizio espresso già in primo grado dal Tribunale europeo. Giudizio per cui il salvataggio ti Tercas per mezzo del Fondo interbancario italiano non fu aiuto di Stato. Ergo la procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea (il principale organo esecutivo comunitario) per mano della commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager fu un errore di diritto. Di conseguenza l'avallo alla decisione della Vestager deciso dall'allora esecutivo italiano capatinato da Matteo Renzi (allora nel Pd) e fortissimamente sostenuto dall'allora sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta, pure lui del Pd, costituiscono secondo Arman una «bruttissima pagina» della storia italiana recente. Frattanto la novità ha dato vita sui media a un ampio dibattito nonché a molte analisi. Non più tardi di due giorni fa ha preso la parola anche l'Associazione noi che credevamo nella banca popolare di Vicenza, la quale ha inviato una lettera a palazzo Chigi per chiedere al governo di intervenire a favore dei cosiddetti azionisti azzerati. 

Dunque Arman che cosa dice in sostanza quella sentenza?
«Dice che la Vestager avviando una procedura di infrazione e vietando de facto il ricorso al fondo interbancario a beneficio di Tercas commise un errore grave giuridico e quindi un abuso».

Perché un abuso?
«Perché il fondo interbancario non può essere considerato una longa manus dello Stato giacché invero è ascrivibile alle banche che sono soggetti privati».

All'epoca voi, in grande solitudine per certi aspetti, criticaste duramente sia la Commissione europea sia il governo. Perché?
«In punta di diritto proprio per gli stessi motivi che la Corte europea ha evidenziato in modo chiarissimo. È chiaro che se si fosse attinto al fondo interbancario di garanzia e Tercas fosse stata rimessa in sesto i piccoli risparmiatori sarebbero stati tutelati».

E sul piano politico che cosa avvenne?
«Sul piano politico quel niet all'utilizzo del fondo fu l'occasione per mettere una pietra sopra il sistema della banche popolari del Nordest in primis, ossia delle banche per così dire mutualistiche in cui non si vota in base al numero azioni possedute ma in base alle teste. Ecco oggi dalla Corte europea è stata impartita una lezione nei confronti delle lobby finanziarie».

Gli scandali che colpirono BpVi e Veneto Banca sono però una cosa assodata. O no?
«Certo che sì. Le responsabilità ci sono state e sono grandi. Il problema però è che un certo apparato tecnocratico e finanziario con molti addentellati nei corridoi europei ha usato quella vicenda per fare in modo di sottrarre, al Nordest in primis ma non solo al Nordest, una porzione importantissima della finanza locale che poi è l'albero motore tra risparmio e imprese locali. Per cui non facciamo sconti al sistema che ruotava attorno all'ex presidente di BpVi Gianni Zonin e non facciamo sconti al sistema che ruotava attorno all'ex amministratore delegato di Veneto banca Vincenzo Consoli. Ma c'è un ma».

Quale?
«Se c'è uno scandalo nella sanità pubblica non si abolisce la sanità pubblica: ma la si bonifica dalle infiltrazioni maligne e la si rimette in piedi. Non la si privatizza e la si mette direttamente in bocca ai capitali stranieri».

Questa operazione di svuotamento come sarebbe andata in porto?
«Sappiamo tutti che BpVi e Veba sono finite in bocca a Banca intesa al costo di un euro. Quest'ultima, foraggiata dallo Stato e con la vergognosa complicità dei sindacati dei bancari, ha scaricato sulla collettività gli esuberi anche suoi e si è appropriata di un pezzo della raccolta del Nordest rispetto al quale ha chiuso i rubinetti: anzitutto verso le piccole e medie imprese. Questo ha mandato in sofferenza le nostre ditte che tra una crisi e l'altra in tanti casi sono state svendute finendo in mai straniere».

Chi critica la Commissione critica le strutture di potere europee. Però a sbattere la porta in faccia alla Commissione europea è stato un altro organismo continentale, ossia l'alta corte di giustizia che ha sede in Lussemburgo. Vero?
«Vero sì. Ed è per questo che bisogna evitare di cadere nel tranello di chi dice in blocco Europa no o Europa sì. Ora va combattuta una battaglia politica campale indipendentemente dagli schieramenti partitici e indipendentemente dagli Stati su due fronti politici. Nel primo caso va ridisegnato il sistema normativo europeo sulla salvaguardia del sistema bancario, noto come bail-in che fa acqua da tutte le parti. Nel secondo va combattuta una battaglia affinché chi ha sbagliato paghi. È difficile che le trecentomila persone che direttamente o indirettamente hanno patito per quella decisione avventata possano adire le vie legali. Per questo parlo di soluzione politica, perché è tutto il sistema della banche popolari, parlo in primis dei piccoli risparmiatori, che ha sofferto».

Lo può fare l'attuale premier Mario Draghi che viene accreditato di carisma e credibilità oltre la media?
«Guardi che alla storiella dello standing internazionale dei nostri premier io non ho mai creduto. Ricordo a tutti di come Draghi da presidente della Bce si mise de facto contro le nostre istanze. Per questo ripeto, occorre una battaglia politica affinché dal basso si convincano quelle istituzioni sorde alle istanze sella società non solo ad ascoltare, ma ad agire. È una battaglia estenuante che andrebbe combattuta giorno dopo giorno».

Baretta sui quotidiani ha messo le mani avanti. Ha detto che all'epoca quella scelta fu una via obbligata. Voi che dite?
«Certo che fu una scelta obbligata: per chi è ancillare rispetto al sistema, certo che lo fu. Per cortesia, lasciamo stare Baretta. Però, torno a ripeterlo in Europa c'è chi non condivide questo andazzo. E poi dobbiamo fare tesoro della decisione uscita in Lussemburgo».

Perché?
«Per uscire con una sentenza così netta su un tema così delicato avendo come contraltare de facto uno dei rassemblement di potere più coriacei del panorama continentale ce ne vuole. Per questo va tutta la nostra stima ai giudici che hanno mostrato non solo di essere indipendenti ed integerrimi, ma anche di essere giuristi di altissimo livello».

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