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Conflitto Russia-Ucraina: previsioni fosche per l'agroalimentare

Ribon, Segretario Cna Veneto: «Il Veneto prima regione italiana per fatturato produzione filiere DOP e IGP. Va fatto un ragionamento di filiera per tutelare il Made in Italy di questo prezioso settore artigiano»

Arriva tutto dalla Russia e dall’Ucraina? Questa la domanda che molti veneti si fanno da quando, oramai più di due mesi fa, è iniziato il conflitto in Europa e mentre la Commissione UE lavora al sesto pacchetto di sanzioni. Per quanto riguarda il settore alimentare la risposta che CNA Veneto da è un “no” quasi deciso.

I numeri dell’export dell’Est

La Russia rappresenta circa il 20% dell’export globale del grano tenero, l’Ucraina il 10% del grano tenero e il 15% del mais, ma gli aumenti dei prezzi si erano registrati già due anni prima. Infatti, secondo il Fondo monetario internazionale, tra aprile 2020 e dicembre 2021 il prezzo del grano era aumentato dell’80%. Ma a questa risposta va aggiunto un “però”: l’invasione russa ha creato delle instabilità nel mercato internazionale (4,5 milioni di tonnellate di grano sono fermi nei porti ucraini) ed ha evidenziato problematiche che per anni sono state rimandate e alle quali in tempi più sereni non si era trovata soluzione: la tensione sui mercati cui si associano fenomeni speculativi, ai quali è necessario rispondere con più informazione e più trasparenza; e l’effettiva disponibilità di prodotto.    

Secondo l’analisi del Centro Studi Cna a penalizzare artigiani e consumatori è la strutturale dipendenza dell’Italia dalle forniture estere di grano duro, tenero e mais. Il nostro Paese importa, infatti, circa il 65% di grano tenero per la panificazione e circa il 35% di grano duro per la produzione di pasta; arriva da fuori anche la metà del mais necessario per alimentare il bestiame. Ed a fronte di ciò, secondo le previsioni di semina per le coltivazioni cerealicole nel 2022, negli ultimi due anni si è verificato un calo dell’incidenza dei cereali sui seminativi: nel Nordest nel 2020 una flessione del -1,4% rispetto all’anno precedente; nel 2021 dello -0,7%. Per il 2022 si prevedeva una flessione di un punto percentuale delle superfici coltivate a cereali (Istat) ma ciò era prima dell’inizio della guerra in Ucraina che sicuramente influirà sull’import e sull’export dei prodotti e ridurrà la quantità di grano e cereali da importare.

Secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico, all’ingrosso le farine di grano tenero hanno subito un aumento di +25,3% tra febbraio 2021 e febbraio 2022; gli sfarinati di grano duro +89,5%. Le uova sono aumentate di +26,3%, il burro del +110%. Il pollo del 59%, il tacchino di 63,1%. Ulteriori aumenti si registrano per l’acquisto di film plastici, etichette autoadesive, cartone, vetro e imballaggi. In media per il consumatore, da un anno a questa parte, si è verificato un incremento del +5,7% per il pane, dell’+11,1% per la pasta, del +19,9% per gli olii alimentari.

Uno sguardo all’estero. A livello europeo preoccupa la mancanza di forniture dato che nel 2020 l'Unione Europa ha importato il 35,7% dei beni prodotti nel settore agroalimentare in Ucraina per un valore di 5,8 miliardi di euro. Il 48,9% di cereali importati nell'Ue vengono dall'Ucraina, così come il 48,5% degli oli vegetali e il 25,1% della carne di pollo. Per quanto riguarda la Russia, seppure le importazioni nel settore agricolo rappresentino solamente l'1,4% del totale, la dipendenza da Mosca si fa sentire principalmente nel campo dei mangimi (18,9% del totale delle importazioni), dello zucchero (7,8%) e dei semi oleosi (6,7%). Dati che spiegano anche perché 26 Paesi in via di sviluppo - del Nord Africa e del Medio Oriente -  dipendano per più del 50% del loro import di grano da Russia e Ucraina.

La risposta? L’UE stessa deve migliorare la propria autonomia alimentare e la propria capacità di esportazione, e bisognerebbe stabilire una quota minima di autoapprovvigionamento a livello di sistema Paese per alcune colture che consenta al settore agroalimentare di affrontare con tranquillità le profonde variazioni che ci prospetta il mercato.

«La guerra in Europa ha cancellato tutte le previsioni di un graduale ritorno alla normalità dopo la pandemia – commenta il presidente Cna Veneto Moreno De Col – Oltre a mettere a repentaglio la sicurezza alimentare, sta progressivamente e rapidamente erodendo la redditività dell’attività economica su tutta la filiera produttiva, minandone la sopravvivenza. Dobbiamo fare tutti insieme ogni sforzo necessario per salvaguardare la cultura enogastronomica veneta e dell’intera Penisola e per sostenere il patrimonio alimentare italiano, costituito da piccoli ristoranti, trattorie, pasticcerie, agriturismi, spesso a conduzione familiare. Rischiamo, altrimenti, di veder polarizzata l’offerta enogastronomica tra due competitor: il fast-food a basso costo e il ristorante stellato di alta gamma con prezzi non spesso accessibili alla clientela media. Dobbiamo e vogliamo far comprendere che un determinato servizio e una determinata qualità devono avere come corrispettivo un giusto prezzo che permetta ai ristoratori di poter investire in strutture, in attrezzature, e anche nella possibilità di offrire prospettive di carriera al personale».

Attenzione alla qualità

Il Veneto è vocato alle DOP e alle IGP. «La nostra è la prima regione italiana per fatturato, con un valore della produzione delle filiere dei prodotti DOP IGP pari a 3,7 miliardi di euro – aggiunge il Segretario CNA Veneto Matteo Ribon – Tra le eccellenze da tutelare, ad esempio: il Grana Padano, l’Asiago e i vini.  Per quest’ambito il dialogo con le istituzioni è costante, ne è esempio la recente legge sulle “piccole produzioni locali” che valorizza le produzioni alimentari tipiche e di qualità, una vera e propria miniera a disposizione del consumatore e del turista. Come il nostro Paese sta cercando di diversificare i mercati di approvvigionamento per il gas, deve fare lo stesso per i cereali, ma con attenzione. Le grandi esportazioni dal continente americano, per esempio, presentano alcune problematiche su questo fronte: il limite massimo di aflatossine più permissivo di quello dell’Ue; la presenza degli OGM vietati dai nostri consorzi per le produzioni DOP;  l’impiego dei glifosati. Tutti esempi che portano sulla strada della riduzione della qualità del Made in Italy: non si deve abbassare la qualità dei prodotti primari con i quali si creano le meraviglie della gastronomia e cucina veneta e italiana.»

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