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Economia

Covid-19, banche e deroghe alle chiusure i nodi da sciogliere

L'associazione «Noi che credevamo nella BpVi» chiede al premier di vigilare sui fondi ristoro mentre i sindacati chiedono lumi sulle deroghe chieste dalle imprese vicentine

Mentre sul fronte sanitario l'emergenza coronavirus continua a far discutere anche l'ambito economico non è da meno. Tutele per i risparmiatori colpiti dai crac bancari e ora dalla crisi dovuta al contagio e discussioni più o meno accese sulle deroghe sulle chiusure concesse alle imprese stanno animando il dibattito di questi giorni.

Oggi primo aprile è intervenuta l'associazione «Noi che credevamo nella Banca popolare di Vicenza» uno dei coordinamenti più attivi sul fronte della protesta contro i collassi bancari che hanno colpito il Nordest. Più nel dettaglio tra ieri oggi l'associazione si è fatta viva con due videomessaggi sul suo canale YouTube nei quali fa sapere di avere scritto pochi giorni fa una lettera al primo ministro Giuseppe Conte. Due sono le richieste inviate a palazzo Chigi. Quanto alla prima Luigi Ugone, il presidente della associazione, nel videomessaggio di ieri 31 marzo chiede al premier che il governo continui ad interessarsi del Fir, ossia del fondo indennizzi col quale dovrebbero essere prima o poi risarcita una parte degli «azionisti azzerati» delle ex popolari venete e di quelle dell'Italia centrale. La seconda richiesta poi riguarda la ex Banca popolare di Bari. Ugone spiega che siccome sono sospese le norme europee sui collassi bancari il governo dovrebbe cercare altre strade per salvare i risparmiatori che non compendino la trasformazione in spa dell'istituto pugliese. Nel video-messaggio diramato oggi invece l'associazione invita i risparmiatori ad inviare in massa la stessa lettera alla Presidenza del consiglio dei ministri in modo che ci siano più chance che quest'ultima la valuti «nel modo dovuto» fa sapere lo stesso Ugone.

Diverso è il terreno sul quale cinque giorni fa si è mossa un altro gruppo che da anni tutela i risparmiatori colpiti dal collasso delle ex popolari. Si tratta del «Coordinamento Ezzelino da Onara» (che ha tra i suoi iscritti molti imprenditori peraltro) il quale in un'altra lettera inviata al premier Conte si faceva presente come ci fossero delle incongruenze nei decreti salute con i quali si è imposta la chiusura di molte imprese per contenere il contagio da Covid-19. Nella missiva l'avvocato della associazione (si tratta del professore Rodolfo) ha fatto notare a palazzo Chigi come le tabelle elaborate dal governo avessero incluso tra le attività sottoposte a chiusura anche i grossisti che vendono saponi. Poiché l'igiene personale rientra nelle fattispecie tutelate dai decreti è bene che il governo modifichi questi ultimi in modo da superare «questa impasse burocratica» fa sapere il presidente del coordinamento Patrizio Miatello.

E sempre in tema di deroghe oggi sono intervenute Cgil, Cisl e Uil le quali in una nota diramata in serata fanno sapere che alla prefettura di Vicenza sono giunte almeno tremila richieste di deroga da parte delle imprese del Vicentino. Richieste con cui le imprese hanno aperto i battenti poiché ritengono di ospitare produzioni riconducibili alla cosiddetta filiera essenziale. Da giorni la Cgil, in una con altri sindacati, ritiene che in molte fabbriche non sussistano le condizioni di sicurezza mentre altre non avrebbero i requisiti per chiedere deroghe. Motivo per cui il sindacato di via Vaccari avrebbe chiesto alla prefettura berica un vaglio rigoroso delle richieste di eccezione. Secondo la triplice la prefettura avrebbe già effettuato un migliaio di controlli sulle pratiche evidenziando solo due domande irregolari. Non si sa al momento nulla sulle altre duemila richieste. Da giorni i sindacati ritengono che aperture immotivate degli stabilimenti possano favorire il contagio sia tra i dipendenti sia tra la popolazione.

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