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Cronaca

Vicenza "diarrea architettonica"? Il Fai: "Responsabilità di tutti per cambiare"

Il delegato Ambiente e paesaggio del Fondo Ambiente di Vicenza scrive una lettera aperta a cittadini ed amministratori della città a proposito dello sferzanti giudizio di Oliviero Toscani sulle periferie beriche: "E' il mercato a decidere, se non si compra il brutto si smette di costruirlo"

Scende in campo anche il Fai di Vicenza sulle dichiarazioni di Oliviero Toscani a proposito del degrado estetico nelle periferie della città. Secondo il delegato Ambiente e paesaggio, Davide Fiore, la responsabilità è di tutti, cittadini inclusi: "Oggi è il mercato a decidere. Se non si compra il brutto si smette di costruirlo - scrive -Se si eredita una bruttura almeno la si affidi a uno dei tanti bravi giovani architetti, anche vicentini, che avranno un’occasione in più per emergere e garantiranno una qualità architettonica superiore. Al costruito si aggiungano piante e fiori, un’illuminazione discreta ma di gusto, e un giardino dell’eden per il benessere privato e degli altri".

IL TESTO COMPLETO DELLA LETTERA APERTA

La critica ad una battuta forte, come avvenuto per il commento di Oliviero Toscani nei confronti di Vicenza, smuove nelle critiche maggiore sgomento per la forma utilizzata anziché focalizzare sul problema in sé. Vicenza e il Veneto hanno perduto in buona parte del territorio quella prerogativa pittorica unica che nei secoli è stata riconosciuta. I colpevoli sono i cittadini e i costruttori, appoggiati dalle amministrazioni pubbliche per molte “generazioni elettorali”, hanno finanziato il loro potere sull’apatia culturale.

La questione architettonica e urbanistica di Vicenza, e il degrado diffuso del paesaggio attorno a Vicenza, risale alla ricostruzione del dopoguerra, quando l’allora soprintendente responsabile della ricostruzione, il Forlati, propose soluzioni al limite del delirio architettonico nel centro della città nella speranza che gli americani allargassero i cordoni della borsa con il Piano Marshall. Tali soluzioni rimasero sulla carta per la non applicabilità economica delle proposte, che si innestavano negli sventramenti asburgici del secolo precedente seguiti alle distruzioni del governo napoleonico. Quegli episodi, ancora marginali per una città piccola, erano comunque la normalità altrove nel secolo del primo sviluppo industriale e ad essi si legava un dibattito architettonico non indifferente per il secolo successivo, il ‘900. Nel secondo dopoguerra il fenomeno definito “le mani sulla città” (da cui il film di impegno di Rosi del ’63), creavano l’alibi modernista a chiunque volesse azzerare la storia a favore della speculazione, con edifici non coibentati e ancor meno antisismici, per accaparrarsi luoghi di pregio visivo con interventi di mala architettura che oggi suscitano lo sdegno di Toscani, prima di Andrea Zanzotto, in compagnia del prof. Settis e l’innumerevole stuolo di visitatori acculturati o meno che sbarcano in città per Palladio.

A Vicenza, con la sola eccezione del villaggio del Sole che andrebbe considerato come brano di sperimentazione di un’Italia del centro-nord dalla forte sperimentazione architettonica, il resto è il prodotto miserrimo di un’urbanistica affidata ai geometri e all’anti-gusto dei privati. Negli stessi anni brillava, anche a Vicenza, il genio mondiale di Carlo Scarpa e Aldo Rossi, viaggiava avanti e indietro per Venezia. Se il danno provocato da queste scelte consapevoli della politica impreparata e di committenze private loro malgrado non formati sui temi dell’architettura, il problema oggi diviene l’impossibilità di uscire dalle mura cittadine per, eventualmente considerare “Vicenza città bellissima”anche nei quartieri satellite.

Molti vicentini vivono nell’autocompiacimento della propria città extra-moenia, i visitatori non urlano all’orrore ma nemmeno sentono attorno a loro “la città dei Palladio, degli Scamozzi , dei Longhena e dei Scarpa”, che sono rimasti il mito fondatore dell’identità locale, difesi dai ruderi delle mura scaligere. Un figlio della Bauhaus e del classicismo palladiano è Franco Stella, progetta felicità architettonica a Berlino, in Svezia e viene copiato in Giappone.

Non a Vicenza. Esistono architetture gradevoli a Vicenza capaci di dialogare con il passato? Certamente. Penso al Teatro di Gino Valle, sensibile ai volumi e al cromatismo all’esterno in dialogo con le mura, ma ospedaliero all’interno. O il nuovo Liceo Quadri. Persino la Chiesa, grande mecenate d’Italia, è debole nelle sue proposte se si parla di Vicenza. I veri gioielli della fede moderna si chiamano San Pietro a Trissino o il capolavoro di Michelucci, San Giovanni Battista ad Arzignano, e ancora la parrocchiale di Recoaro Terme di Giuseppe Vaccaro espressioni alternative al provincialismo, che invece ristagna nel capoluogo. La provincia è piena di gioielli e di mecenati capaci di provare, come la famiglia Cielo con la barchessa di Villa Da Porto a Montorso, affidata a David Chipperfield, o la famiglia Nardini con le Bolle di Fuksas. Vicenza risponde, negli anni in cui Berlino o Torino tornano capitali di gusto, con il proprio “palazzaccio” di giustizia, i cui garages temono l’acqua alta ad ogni piena del fiume.

Esiste una soluzione a tutto questo? Oggi è il mercato a decidere. Se non si compra il brutto si smette di costruirlo. Se si eredita una bruttura almeno la si affidi a uno dei tanti bravi giovani architetti, anche vicentini, che avranno un’occasione in più per emergere e garantiranno una qualità architettonica superiore. Al costruito si aggiungano piante e fiori, un’illuminazione discreta ma di gusto, e un giardino dell’eden per il benessere privato e degli altri. Nell’eleganza chi attira l’attenzione è inelegante. E ancora si appoggino le iniziative di chi si batte per salvaguardare l’antico garantendolo alle future generazioni, a chi è favorevole al nuovo purché non sia disarmonico, si contribuisca al bene comune con la nostra quota di bellezza privata, facendoci consigliare e combattendo il degrado. Tutto il resto è noia.  

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