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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Centro Storico / Corso Antonio Fogazzaro

Corso Fogazzaro diventa "un po' romano": esposti i resti dell'acquedotto

Le porzioni di pilastri di un acquedotto romano rinvenute nel 2012 lungo la via sono state esposte in mostra grazie a delle teche speciali. L'amministrazione precisa: "Un ritorno di bellezza già molto apprezzato da passanti e turisti"

Vicenza in questi giorni diventa anche un po' romana. Protette in alto da lastre di vetro, le porzioni di pilastri di un acquedotto romano rinvenute nel 2012 lungo i portici di corso Fogazzaro fanno ora bella mostra di sé in tre apposite teche visibili ai passanti. Fu infatti durante gli scavi per i lavori ai sottoservizi di corso Fogazzaro che tra i civici 188 e 212 emersero una decina di pilastri dell'acquedotto della Vicenza romana già rinvenuto a Lobia.

IL PROGETTO. Progettato da Aim Amcps, l'intervento del valore di 68 mila euro è consistito nella rimozione della pavimentazione precedente e del materiale che copriva in parte i reperti. I pilastri sono quindi stati restaurati, le pareti degli scavi consolidate e rivestite in legno, ed è stata realizzata una struttura metallica per sostenere la pavimentazione trasparente composta da lastre di vetro strutturale dello spessore di tre centimetri complete di strisce antiscivolo. Un impianto d'illuminazione, infine, ne garantisce la visibilità fin dal crepuscolo. “L'amministrazione – ha dichiarato Balbi - è molto soddisfatta di vedere come le risorse impiegate per la valorizzazione dei reperti abbiano ora un ritorno di bellezza già molto apprezzato dai passanti e dagli operatori economici della via. Sarà nostra cura ora mantenere visibili nel tempo le teche. Di qui la scelta di stanziare già le somme  necessarie alla manutenzione per i prossimi anni. È stato un ottimo lavoro di squadra tra la Soprintendenza e Aim Amcps, che ha modificato i tempi del cantiere per consentire che i reperti potessero essere esaminati, documentati e resi visibili”.

PIU' TURISMO. Un progetto che "obbligherà" turisti e guide turistiche ad ampliare il tour alla scoperta della città, anche in futuro visto che molto l'amministrazione punterà su questo sito: “La coordinazione tra più enti è spesso fonte di complicazione – ha osservato Quero -, invece in questo lavoro è filato tutto liscio. Significativo aver già stanziato le risorse per la manutenzione, perchè questi reperti, rimasti coperti per centinaia di anni, ora, improvvisamente a contatto con l'aria, rischiano ad esempio l'attacco di muffe e licheni. Per questo motivo le teche sono dotate di un impianto di ventilazione che entra in funzione quando l'umidità arriva al 60%. E' insomma un lavoro fatto con scienza ed è la dimostrazione che se le amministrazioni e le aziende pubbliche lavorano con disponibilità, si possono fare le cose bene, in breve tempo e con pochi soldi”.

STORIA. “Ringrazio l'amministrazione comunale per la volontà di valorizzare questi ritrovamenti – ha detto Gamba - , ma anche Aim per la collaborazione dimostrata fin dall'inizio, perchè abbiamo così potuto aggiungere un altro importante tassello al quadro della Vicenza romana, i cui resti sono i più numerosi fra le città del Veneto. Già noto e conservato con cinque arcate e una decina di piloni a Lobia, l'acquedotto romano di Vicenza veniva alimentato dalle risorgive della zona di Motta di Costabissara e da lì portava l'acqua alle domus, alle fontane, alle vasche, alle piscine e alle terme della città romana. Ma la prosecuzione del manufatto verso Vicenza era conosciuta solo attraverso dati d'archivio ottocenteschi. Con lo scavo al Dal Molin, invece, si è avuta la fortuna di rinvenire lungo la rete di recinzione della base americana una serie di strutture di fondazione dell'acquedotto, che ci ha confortati sulla direzione della linea dell'acquedotto. In corso Fogazzaro, poi, erano già noti due piloni al civico 220, interrati nei garage e ancora visibili. Ma è stato poi solo con gli scavi di Aim di due anni fa che abbiamo trovato il tratto di acquedotto più vicino alla città. Rintracciata quindi una decina di fondazioni, le tre qui visibili sono quelle meglio conservate e in grado di rappresentare entrambi i tipi di fondazioni che venivano utilizzati dai Romani: ogni otto plinti rettangolari che sostenevano le arcate dell'acquedotto infatti ce n'era uno cruciforme, posto per motivi di staticità o per consentire deviazioni”.

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