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Venerdì, 26 Aprile 2024
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Pronto soccorso: cronaca di un inferno quotidiano

Ha del surreale la storia di Laura, che ha passato una giornata al San Bortolo di Vicenza in seguito a una caduta

Un girone dantesco. È qualcosa di surreale l’esperienza, relativa al pronto soccorso di Vicenza, che Laura ha deciso di raccontare su facebook. Il resoconto di una giornata infernale, precisamente lo scorso 3 ottobre, passata al San Bortolo in seguito a un incidente.

«Arrivo lunedì mattina alle 11:30 circa in pronto soccorso – scrive Laura - zoppicando e senza poter appoggiare un piede, in seguito a una brutta caduta. Entro nella sala e ci sono due file di persone in coda fino alla porta, forse una trentina. Una signora in sedia con le ruote, accompagnata dal figlio, si lamenta piangendo dicendo che si sente male e si sente morire. Qualcuno la fa passare avanti ma la fila è troppo lunga. Nella sala una marea di gente seduta in attesa, compresi gli infortunati che come me non riescono a stare in piedi. In tutto ci saranno state almeno 70-80 persone, o forse più. Fra loro una giovane donna entrata in pronto soccorso la sera prima per una frattura al piede, ha trascorso la notte in attesa dell'ortopedico che non c'era. Visitata alla mattina, era ancora in attesa delle carte della dimissione. Ha atteso fino circa le 14. Dalla sera prima!»

Una situazione surreale insomma, che qualcuno ha cercato di denunciare ai vertici dell’Ulss. «Un signore anziano con un dito fasciato comincia a fare decine di telefonate – prosegue il racconto - tentando di rintracciare la direzione sanitaria per denunciare la situazione vergognosa e soprattutto che con una situazione simile non ci sia decisamente personale sufficiente a gestire i pazienti! All'accettazione c'erano due persone addette, di cui una andava e veniva ed era più il tempo che andava che non quello in cui poteva fermarsi allo sportello! Praticamente un solo sportello operativo. Sono rimasta nella sala dell'accettazione generale in attesa del mio turno fino alle 15:30 circa. Da lì, mi portano nella sala interna dove continua l'attesa».

La situazione sembra essere in procinto di risolversi, ma è solo un’illusione. «Alle 17 circa mi portano finalmente a fare le radiografie dalle quali si rileva la frattura al piede – continua Laura -. Mi riportano in pronto soccorso, consegnano il referto all’ortopedico e mi lasciano nella sala d'attesa dell'ortopedico. Alle 17:30 l'ortopedico esce dall'ambulatorio, lo chiude a chiave e ci annuncia che c'è un'urgenza in pediatria e deve assentarsi. In quella sala d'attesa eravamo in una decina di persone, di cui una signora molto anziana, delirante, sola, allettata che nessuno sapeva "da dove venisse e di chi era paziente". Altre 7-8 persone, in attesa, sedute per terra nel corridoio. L'ortopedico è tornato dopo due ore. Io sono stata visitata verso le 19:45. Due minuti di "visita": diagnosi malleolo rotto, prognosi 30 giorni, stampelle e tutore. Chiedo se mi mettono il tutore. Mi rispondono che dovrò procurarmelo. Chiedo allora se mi fanno una fasciatura per proteggere il piede finché non mi procurerò il tutore. Mi rispondono di no. "Come no?! Mi mandate a casa così?! Non potete farmi una fasciatura, un bendaggio protettivo che immobilizzi la caviglia per tornare a casa, finché non mi sarò procurata il tutore?!". Risposta della dottoressa, titubante: "l'ospedale non ha nulla. Non abbiamo nulla. Dopo il Covid si sono interrotte le forniture”».

Il resoconto di Laura è impietoso. «Mi mandano a casa – conclude -, dopo nove ore, con la caviglia rotta e il piede nudo, alle 20 o forse alle 21 i due medici finiscono il turno e, giustamente esausti, evidentemente hanno fretta di andarsene. Ma nemmeno un bendaggio protettivo?! La sala ancora piena e uno dei due medici nell'ambulatorio si lamenta al telefono perché continua ad arrivare gente.  Alle 20:40 esco dal "pronto" soccorso, con la caviglia rotta, il piede nudo e sorretta dalla persona che è venuta a prendermi. Non servono altri commenti».

Raggiunta da VicenzaToday, Laura ha raccontato che, in seguito alla pubblicazione del post, è stata contattata da molte persone che riferivano di esperienze analoghe. Tra queste, anche chi sosteneva che, in seguito a un ricovero, è stata costretta a portarsi i farmaci da casa, comprese le siringhe per l’insulina. Racconti che sembrano cozzare con la narrazione abituale riguardo alla sanità veneta, descritta come un fiore all’occhiello, e che a questo punto dovrebbero sollevare più di una perplessità a riguardo.

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