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Cronaca

Uccise i genitori, è tornato in libertà: "Le polemiche alimentano narcisismo"

Pietro Maso esce definitivamente dalla casa di reclusione di Opera per cercare "di ricostruirsi una vita e riacquistare un po' di serenità" a fianco della moglie Stefania, sposata nel 2008 in semi-libertà

"Le polemiche rischiano di alimentare il narcisismo di queste persone portandole a stare sulla ribalta per quello che hanno fatto, per il male che hanno commesso, invece di rientrare nella normalità, nell'anonimato come tutti". Sono le parole di Roberta Cossia,  il giudice di Sorveglianza di Milano che ha firmato il fine pena per Pietro Maso, l'ex ragazzo, ora un uomo di 41 anni, diventato simbolo di una generazione senza valori per aver massacrato, quando non era ancora ventenne, i genitori Rosa e Antonio nella loro villetta di Montecchia di Crosara, in provincia di Verona. Un delitto da 'Arancia Meccanica' per cui il giovane era stato condannato a 30 anni di reclusione, dei quali 22 scontati effettivamente per via dell'indulto e di 1.800 giorni di liberazione anticipata.

Maso da oggi è libero e, come dice il magistrato, sarà "un cittadino come tutti gli altri e così dovrà essere considerato". "Tutto si dovrebbe fare tranne che sbandierare la storia negativa di queste persone che, invece, hanno bisogno di essere proiettate in un progetto futuro". La speranza è di "ricostruirsi una vita e riacquistare un po' di serenità" a fianco della moglie Stefania, sposata nel 2008 dopo aver ottenuto, non senza una pioggia di critiche e proteste, la semi libertà e un lavoro.

POLEMICHE "Mi stupisco che ci siano ancora polemiche quando un condannato per un fatto comunque atroce - è il parere di Roberta Cossia - ha scontato la sua pena e torna in libertà. Il motivo per il quale ciò suscita un certo fastidio sta nell'istinto vendicativo, umano, per cui non viene tollerato che ci sia un fine pena". La ragione, ritiene il giudice Cossia, è che in molti "c'é ancora un'idea sotterranea vendicativa, dell'occhio per occhio, di restituzione dello stesso male che uno ha fatto, come se lo Stato si dovesse porre sullo stesso piano". "Credo che il pensiero sia questo - prosegue - e pertanto non esiste alcuna fiducia nella possibilità di reinserire coloro che hanno commesso delitti gravi e nemmeno una comprensione del significato di reinserimento in seguito a un percorso effettuato durante la detenzione con le misure alternative".

RIABILITAZIONE Detto questo il giudice ha sottolineato che la valutazione dell'iter di Maso, passato attraverso il pentimento e l'avvicinamento alla religione, è stata "complessivamente positiva. Si è fermato a pensare - ha aggiunto - e ha accettato di fare un percorso di revisione, di meditazione. Non so poi come costruirà il suo futuro. Non so se sceglierà la notorietà, ritornando a un passato negativo o vivere, come io gli consiglio, nell'anonimato. Quel che è certo è che oggi è un cittadino come gli altri e così deve essere consideratò". "Spero anche - ribadisce Roberta Cossia - che la gente impari ad accettare che quando un castigo viene interamente espiato bisogna passare oltre, abbandonando l'istinto di aggiungere surplus di punizione non previsto". E ricorda che quanto è più dura e lunga la carcerazione, tanto è più difficile recuperare dopo. Inoltre osserva che il 70 per cento di coloro che hanno scontato la pena interamente senza usufruire dei benefici penitenziari e di un percorso di riabilitazione, una volta liberi, commettono di nuovo reati (le maggiori criticità si registrano tra i tossicodipendenti). "Per chi invece - spiega ancora - usufruisce di misure alternative, la recidiva si attesta attorno al 20 per cento". Dati che fanno dire al giudice quanto sia necessario affrontare in altro modo "la devianza, quasi sempre insita nel disagio sociale poiché la risposta carceraria non è l'unica possibile" in quanto, a suo avviso, la pena non può essere "restituzione della violenza commessa" ma, come ha stabilito la Costituzione, riabilitazione.

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