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Cronaca

Morto Dario Fo, lottò a Vicenza contro il Dal Molin

Con la moglie Franca Rame, deceduta nel 2013, Dario Fo è stato tra i più determinati sostenitori del movimento vicentino contro la nuova base statunitense al Dal Molin; il premio Nobel è  stato a Vicenza 5 volte

E' morto a 90 anni Dario Fo, drammaturgo, attore, regista, scrittore, pittore, scenografo e attivista italiano. Nel 1997 vinse il premio Nobel per la letteratura. Con la moglie Franca Rame, deceduta nel 2013, sono stati tra i più determinati sostenitori del movimento vicentino contro la nuova base statunitense al Dal Molin; il premio Nobel è  stato a Vicenza 5 volte: alle manifestazioni del 17 febbraio e del 15 dicembre 2007, durante la campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale (a sostegno della lista "Vicenza Libera-NoDalMolin"), quando inaugurò il Festival, nel 2009, e l'anno successivo.

Pubblichiamo di seguito alcuni testi della biografia tratta da Wikipedia

Dario Fo (Sangiano, 24 marzo 1926) è un regista, drammaturgo, attore e scenografo italiano. Vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1997 (era già stato candidato nel 1975). I suoi lavori teatrali fanno uso degli stilemi comici dell’antica commedia dell’arte italiana e sono rappresentati con successo in tutto il mondo. In quanto attore, regista, scenografo, drammaturgo, costumista, e impresario della sua stessa compagnia è uomo di teatro a tutto tondo, sull’esempio di Eduardo De Filippo.
È famoso per i suoi testi teatrali di satira politica e sociale e per l’impegno politico nell’area di sinistra. Fu tra gli esponenti, con la moglie Franca Rame, del Soccorso Rosso Militante.

Origini familiari
Figlio di Felice e Pina Rota, è cresciuto in una famiglia intellettualmente vivace, trovandosi fin dall’infanzia a contatto con le favole del nonno e con i racconti di viaggiatori e artigiani. Saranno poi proprio gli affabulatori di paese, ripetutamente citati e ricordati da Fo, coloro che, grazie alla loro capacità di raccontare gli avvenimenti, ispireranno l’artista nel corso degli anni.

JPEG - 9.6 KbVita artistica
Compiuti gli studi all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, dal 1950 cominciò a lavorare per la radio e la televisione come attore e autore di testi satirici.

Il 24 giugno 1954 Dario Fo sposò l’attrice e collega Franca Rame a Milano nella basilica di Sant’Ambrogio. Trasferitosi a Roma, dal 1955 al 1958 lavorò come soggettista per il cinema.
Nel 1956 scrisse e interpretò, insieme al drammaturgo Franco Parenti, un varietà per la radio intitolato Non si vive di solo pane, che lo stesso Fo ricorderà in seguito come uno dei suoi programmi di maggior successo[3].
Dal 1958 al 1968 Fo e la moglie, che nel frattempo avevano fondato la "Compagnia Dario Fo - Franca Rame", prepararono una serie di brevi pezzi per lo spettacolo di varietà televisivo della RAI Canzonissima. La censura intervenne così spesso che abbandonarono la televisione in favore del teatro.
Le commedie prodotte tra il 1959 e il 1961 avevano la struttura della farsa dilatata e arricchita da elementi di satira di costume. Con atteggiamento critico verso quello che lui denominava "teatro borghese", Fo cominciò a recitare in luoghi diversi dai teatri quali piazze, case del popolo, fabbriche dove trovava naturalmente un pubblico diverso composto soprattutto dalle classi subalterne (per la biografia di Fo il testo di Chiara Valentini, riportato nella bibliografia finale, resta assolutamente imprescindibile).

"Mistero buffo", il Grammelot e il "teatro di narrazione"
Nel 1968 venne fondato il gruppo teatrale "Nuova Scena" con l’obiettivo di ritornare alle origini popolari del teatro ed alla sua valenza sociale. Le rappresentazioni avvenivano in luoghi alternativi ai teatri ed a prezzo politico. Nel 1969 Fo portò in scena con grande successo Mistero buffo; egli, unico attore in scena, recitava una fantasiosa rielaborazione di testi antichi in Grammelot. Il Grammelot è un linguaggio teatrale derivato dalla tradizione della Commedia dell’Arte costituito da suoni che imitano il ritmo e l’intonazione di un idioma reale. Fo utilizzò il padano, che imitava i vari dialetti parlati nella Val Padana (sui monologhi di Fo si vedano i libri di Pizza e Soriani riportati in bibliografia).
Il Mistero buffo di Dario Fo costituisce, per certi versi, l’atto di fondazione (il modello archetipico) di quel quasi-genere che si è soliti definire come teatro di narrazione e che annovera tra i suoi esponenti di spicco autori-attori come Marco Paolini, Marco Baliani, Laura Curino (la cosiddetta prima generazione: i narratori nati negli anni ’50) ed Ascanio Celestini e Davide Enia (la seconda generazione: i narratori nati negli anni ’70). Tracce dell’insegnamento di Fo si possono scorgere anche negli affabulatori comici come Paolo Rossi o in attautori come Andrea Cosentino che fondono il teatro di narrazione con la performatività del cabaret televisivo.
Negli anni settanta, Dario Fo si schierò con le organizzazioni extraparlamentari di estrema sinistra e fondò il collettivo "La Comune" con la quale tentò con grande passione di stimolare il teatro di strada. Al 1970 risale Morte accidentale di un anarchico col quale Fo tornò alla farsa ed all’impegno politico; era chiaramente ispirata al caso della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli ma, per evitare la censura, si ispirava ufficialmente ad un evento analogo avvenuto negli Stati Uniti all’inizio del XX secolo. Nell’opera Luigi Calabresi è il "dottor Cavalcioni" che posiziona gli interrogati a cavalcioni di una finestra accreditando la tragica menzogna della defenestrazione dolosa dell’anarchico. In quel periodo infatti fu tra coloro che ritenevano il commissario Luigi Calabresi (ucciso poi nel 1972) responsabile della morte di Giuseppe Pinelli: Fo firmò infatti l’appello pubblicato sul settimanale L’Espresso che chiedeva di intervenire contro Calabresi.
La vicenda si svolge in una stanza della procura centrale di Milano con protagonista quel "Matto" che ricorre spesso nel teatro di Fo quando occorre rivelare verità scomode. Il matto adotta vari travestimenti (psichiatra, giudice, capitano della scientifica e vescovo) medianti i quali la versione ufficiale dei fatti mostra tutte le sue contraddizioni e, nel tentativo di costruire una versione plausibile, emergono ancora altre esilaranti incongruenze.
In questo periodo, comunque, Fo, con la moglie Franca Rame, torna in televisione per un ciclo chiamato "Il teatro di Dario Fo" (Rete 2, dal 22 aprile 1977, ore 20.30). Questa serie di trasmissioni porterà il futuro Premio Nobel ad essere apprezzato da una ancor più vasta schiera di persone, come solo la televisione può fare. Vengono proposte tutte le "pièces" montate nella Palazzina Liberty dell’antico Verziere di Milano (da cui è anche trasmessa la serie).
I titoli proposti sono: Mistero Buffo, che apre il ciclo, Settimo: ruba un po’ meno, Isabella, tre caravelle e un cacciaballe e Parliamo di donne quest’ultimo interpretato dalla sola Franca Rame. Per non smentire la sua fama rivoluzionaria, per non dire "eversiva", la serie, ed in particolare Mistero Buffo attirò l’attenzione del Vaticano che per bocca del cardinale Poletti reagì molto duramente al linguaggio trasgressivo che popola le rappresentazioni della celebre coppia di artisti. Una curiosità, anche se autore di molte canzoni (soprattutto per Enzo Jannacci), per l’unica volta in tutta la sua carriera si trovò nella hit parade dei 45 giri, anche se in posizioni basse, con la sigla del programma dal titolo ironico "Ma che aspettate a batterci le mani".

Gli anni ottanta e novanta
Il teatro di Fo possiede la caratteristica di cogliere l’attualità anche in argomenti che a prima vista ne sono lontani; altra costante è quella dell’anticlericalismo. Questi due elementi sono evidenti nella commedia del 1989 Il papa e la strega che prende spunto dall’approvazione di una legge sulla droga che voleva essere molto repressiva ma che ebbe scarsi risultati[senza fonte]. Come sempre l’impianto è farsesco e la vittima della satira è la miopia dimostrata dal governo nella stesura della legge con l’appoggio della Chiesa.

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Sempre nel 1989, la sua satira del servilismo ha un tassello in più nella curiosa partecipazione allo sceneggiato TV I promessi sposi di Salvatore Nocita, dove interpreta a suo modo il dottor Azzeccagarbugli. Particolare: in questa trasposizione filmica del romanzo di Alessandro Manzoni gli attori, fra molte polemiche, recitano tutti (compreso Alberto Sordi nella parte di don Abbondio) in inglese: l’unico che si rifiuta è lo stesso Fo, che per questo conserverà il ruolo nell’edizione italiana ma verrà sostituito dal britannico John Karlsten in quella internazionale.
Il 1992 fu l’anno della celebrazione dei cinque secoli dalla scoperta dell’America e Fo la raccontò alla sua maniera in Johan Padan a la descoverta de le Americhe dove un povero della provincia bergamasca, cercando di sfuggire all’Inquisizione scappa da Venezia per approdare in Spagna e giungere infine, con una serie di vicende, nel nuovo mondo. Qui Fo, per proporre una rilettura della storia alternativa a quella ufficiale, utilizza lo stratagemma dell’eroe per caso che ha il suo piccolo ruolo in una vicenda più grande di lui. Sono molti i punti in comune con Mistero buffo: anche qui si utilizza un divertente grammelot padano-veneto in un testo dove il messaggio stesso è divertente, in una favola dove il comico fornisce il suo dissacrante punto di vista del mondo. Anche in questo caso Fo è solo in scena interpretando tutti i personaggi (sul Johan Padan si veda il contributo di Cristopher Cairns nel volume Coppia d’arte - Dario Fo e Franca Rame riportato nella bibliografia conclusiva).

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Negli ultimi anni, la produzione di Fo ha continuato a seguire le due strade parallele della commedia farsesca (Il diavolo con le zinne, 1997) e del monologo costruito sul modello archetipico del Mistero buffo (da Lu santo jullare Francesco del 1999 allo spettacolo-lezione Il tempio degli uomini liberi del 2004).
Nel 1999, Dario Fo è stato insignito della laurea honoris causa all’Università di Wolverhampton insieme a Franca Rame.
L’avvento del secondo governo Berlusconi lo ha nuovamente sospinto verso una produzione civile e politica che si è infine concretizzata nell’allestimento di opere satiriche proprio su Berlusconi, da Ubu rois, Ubu bas a L’Anomalo Bicefalo, scritta insieme con la moglie Franca Rame: quest’ultima è commedia sulle vicende giudiziarie, politiche, economiche del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in cui Fo impersona il premier che, dopo aver perso la memoria in seguito ad un incidente, riuscirà a riacquistarla confessando la verità sulle sue vicende. Della commedia è stata temporaneamente impedita la diffusione televisiva, a causa della querela presentata dal ministro Marcello Dell’Utri, in quanto l’opera citava alcune sue vicende giudiziarie (su L’Anomalo Bicefalo si veda l’articolo di Scuderi nella bibliografia finale).
Contemporaneamente ha portato in scena, insieme a Giorgio Albertazzi, una serie di spettacoli-lezioni sulla storia del teatro in Italia, spettacoli trasmessi anche in televisione, su Raidue.
Nel 2005 Fo viene insignito della laurea honoris causa all’Università della Sorbona di Parigi, mentre l’anno successivo, nel 2006, la stessa onorificenza gli viene assegnata dalla Università La Sapienza di Roma (l’unico insieme a Luigi Pirandello e Eduardo de Filippo).

29 gennaio 2006 è stato candidato alle elezioni primarie dell’Unione per designare il candidato a sindaco di Milano ottenendo il 23,1% dei voti, secondo piazzato dopo il vincitore Bruno Ferrante: la campagna elettorale per le primarie del premio Nobel è raccontata dal documentario Io non sono un moderato di Andrea Nobile. Alle consultazioni comunali del capoluogo lombardo ha lanciato una propria lista civica che ha ottenuto appena il 2,12% dei consensi, ma sufficienti per far eleggere Fo consigliere comunale. Il 17 febbraio 2007 è stato a Vicenza, alla manifestazione contro la costruzione dell’aeroporto militare americano presso il Dal Molin. Nel 2008 collabora con il cantautore pavese Silvio Negroni scrivendo il brano "La verzine e o Piccirillo", che Negroni eseguirà nell’album del suo gruppo I fio dla nebia.

Le opere più importanti
Sono molte le farse con cui Fo si prende gioco del mondo ecclesiastico (dal quale gli sono giunte spesso critiche) e della morale borghese, ma che sono comunque intrise di valori sociali e politici. Molte sono state ideate ed interpretate assieme a Franca Rame.
Tra le tante:
Il dito nell’occhio (1953)
Sani da legare (1954)
Non tutti i ladri vengono per nuocere (1958)
Gli arcangeli non giocano a flipper (1959)
Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri (1960)
Chi ruba un piede è fortunato in amore (1961)
Isabella, tre caravelle e un cacciaballe (1963)
Settimo: ruba un po’ meno (1964)
La colpa è sempre del diavolo (1965)
La signora è da buttare (1967)
Grande pantomima con pupazzi grandi, piccoli e medi (1968)
L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000: per questo è lui il padrone (1969)
Mistero buffo (1969)
Morte accidentale di un anarchico (1970) dedicata alla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli
Morte e resurrezione di un pupazzo (1971)
Tutti uniti! Tutti insieme! Ma scusa quello non è il padrone? (1971)
Il Fanfani rapito (1973)
Non si paga, non si paga! (1974)
Clacson, trombette e pernacchi (1981)
Coppia aperta, quasi spalancata (1983)
Il papa e la strega (1989)
Johan Padan a la descoverta de le Americhe (1991)
Il diavolo con le zinne (1997)
Lu Santo Jullare Françesco (1997)
Marino libero, Marino è innocente (1998), sulla vicenda giudiziaria di Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani, ex militanti di Lotta continua, accusati dal vecchio compagno Leonardo Marino dell’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi (1972).
Il paese dei mezarat (2002).
L’anomalo Bicefalo (2003).
Sotto paga! Non si paga! (2007), rielaborazione in chiave contemporanea del testo "Non si paga, non si paga!" del 1974

Caratteristiche e stile 
Le caratteristiche più note, ma certo non le sole, dell’opera di Fo sono l’anticonformismo e la forte carica satirica esercitata soprattutto sulla politica, sulla Chiesa e sulla morale comune.
Tale sua posizione fortemente antagonistica gli ha causato non pochi problemi col potere, meritandogli la fama di artista "scomodo".
All’interno della sua vastissima produzione (circa settanta lavori) i personaggi dell’attualità, della storia o del mito, sono presentati sempre in un’ottica rovesciata, opposta a quella comune (il gigante Golia è buono e pacifico, mentre Davide è un litigioso rompiscatole, Napoleone e Nelson si comportano come bambini che si fanno reciproci dispetti, ecc.).
Già nei primi spettacoli compare, sia pure in embrione, quella satira fatta di smitizzanti ribaltamenti tanto frequente nei successivi lavori di Fo.
Oltre alla comicità altrettanto importante è, infatti, la sua capacità di costruire delle perfette macchine per far ridere sul modello della farsa e del vaudeville (commedia brillante) e con rimandi al filone popolare dei lazzi della commedia dell’Arte, alle gag del circo e poi del cinema muto. Questo è il tipo di produzione alla quale Fo si è dedicato dal 1957 al 1961. Si tratta di testi che mantengono, anche a distanza di anni, una straordinaria vis comica e risultano godibilissimi anche alla lettura.
Fo torna sempre ad usare i meccanismi della farsa, fondendoli con una satira di rara efficacia. Rispetto alle precedenti commedie, ora sono molto più forti gli intenti satirici nei confronti del potere costituito.
Lo spettacolo spesso si articola, secondo lo schema del "teatro nel teatro", in una struttura a cornice, con una storia esterna che ne contiene un’altra. La commedia si inserisce in un filone demistificatorio, ossia nel tentativo di raccontare fatti e personaggi della storia e dell’attualità secondo un’ottica alternativa, magari totalmente immaginaria, ma priva di quella retorica a cui troppo spesso la cultura ufficiale ci ha abituati. Questo è un nodo centrale nella poetica di Dario Fo, come egli stesso dichiara: "la risata, il divertimento liberatorio sta proprio nello scoprire che il contrario sta in piedi meglio del luogo comune, anzi è più vero o, almeno, più credibile".
Un personaggio frequente nel teatro di Fo è quello del matto a cui è permesso dire le verità scomode (vedi ad esempio Morte accidentale di un anarchico).
Spesso il mondo delle commedie di Fo è popolato da personaggi "da sottobosco", visti però in chiave positiva: ubriachi, prostitute, truffatori carichi di inventiva, matti che ragionano meglio dei sani e simili.
Di certo non è estranea alla scelta di questo tipo di personaggi è l’influenza degli anni vissuti a Sangiano, il paese natale, che Fo descrive così: "paese di contrabbandieri e di pescatori, più o meno di frodo. Due mestieri per i quali, oltre a una buona dose di coraggio, occorre molta, moltissima fantasia. È risaputo che chi usa la fantasia per trasgredire la legge ne preserva sempre una certa quantità per il piacere proprio e degli amici più intimi". Forse proprio qui Fo deve avere intuito che, a volte, il vero delinquente non è chi trasgredisce le legge, bensì chi la legge l’ha fatta.
Anche la burocrazia è presa di mira: in Gli arcangeli non giocano a flipper, un personaggio scopre di essere iscritto all’anagrafe come cane bracco. Pur avendo scoperto che l’errore è frutto della vendetta di un impiegato impazzito per una mancata promozione, il protagonista è costretto dalle ferree leggi della burocrazia a comportarsi da vero cane bracco, e solo dopo che, come cane randagio, sarà stato ufficialmente soppresso, potrà tornare uomo e riscuotere i soldi che gli spettano. Qui la burocrazia ha una sua logica chapliniana, per cui non ciò che esiste viene annotato sulle carte, ma ciò che le carte certificano deve esistere.
Questa surreale situazione può essere vista come variazione in chiave vaudeville, de Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello. Non è chiaro se la parodia sia voluta o meno, ma certo è che, dopo le accuse di eccessivo cerebralismo che Fo ha sempre mosso a Pirandello, non è da escludere una deliberata volontà parodistica.
Il rapporto tra Fo autore e Fo attore può essere riassunto da ciò che egli stesso scrive in un articolo nel 1962: "Gli autori negano che io sia un autore. Gli attori negano che io sia un attore. Gli autori dicono: tu sei un attore che fa l’autore. Gli attori dicono: tu sei un autore che fa l’attore. Nessuno mi vuole nella sua categoria. Mi tollerano solo gli scenografi"[4].
Se c’è un testo che però non può prescindere dalla presenza scenica di Fo, questo è "Mistero buffo" (1969), lungo monologo in grammelot che imita il dialetto padano, che offre una versione smitizzata di episodi storici e religiosi, coerente con l’idea che "il comico al dogma fa pernacchi, anzi ci gioca, con la stessa incoscienza con cui il clown gioca con la bomba innescata". Una delle idee guida dello spettacolo è che la cultura alta abbia sempre rubato a mani basse elementi della cultura popolare, rielaborandoli e spacciandoli per propri (sul rapporto tra Fo e la cultura popolare, si veda Antonio Scuderi, Dario Fo and Popular Performance, Legas 1998 e, dello stesso autore, Le cuit et le cru: il simbolismo zoomorfico nelle giullarate di Dario Fo, nel volume Coppia d’arte citato nella bibliografia conclusiva).
Figura centrale di tutto lo spettacolo è quella del giullare, in cui Fo si identifica, rifacendosi alle origini dì questa figura come quella di colui che incarnava e ritrasmetteva in chiave grottesca le rabbie del popolo.
I testi di Fo rompono con qualsiasi tabù politico e sociale e con tutte le regole del decoro. I suoi testi esilaranti, spesso scritti o ideati con la moglie Franca Rame, hanno suscitato regolarmente scandali e provocato numerosi tentativi di censura culminati nell’uso della forza fisica nei loro confronti.[senza fonte]
Negli anni sessanta e settanta nella società italiana personaggi come Dario Fo e Leonardo Sciascia esplicavano, tramite l’analisi dialettica della situazione politica e socio-culturale e, soprattutto, del linguaggio eufemistico e accomodante di cui si avvale tuttora la classe politica, per mostrare il marciume, le fallacie logiche, le segrete connivenze fra le classi dominanti e i favoreggiamenti che si celano sotto il perbenismo politico.
Commedie come Morte accidentale di un anarchico (questa pièce sul decesso dell’ anarchico Pinelli durante un interrogatorio in seguito alla strage di piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969) è, insieme con la giullarata Mistero buffo, il capolavoro di Fo) non sono altro che il coerente accorpamento di tutti i dati e di tutte le comunicazioni ufficiali, sempre contrastanti e sconcertanti, se raccolti sistematicamente, e segno dell’arroganza del potere.
Gli interventi di Fo sull’argomento sono tipici della Commedia dell’Arte e della tradizione comica italiana così come della più feroce satira politica tedesca: la forma rende il testo umoristico e nel contempo mette a nudo i soprusi del potere e la crudeltà inarrestabile della burocrazia, la fabula vera e propria invece è desunta dalla realtà. Il procedimento usato in questi casi è quello, già visto anche in altri autori, di portare alle estreme conseguenze l’affermazione dell’avversario fino a farla cadere. Qui tale tecnica è arricchita dal fatto che colui che la usa finge di stare dalla stessa parte di chi vuol sbugiardare. Gli elementi farseschi dovuti alla girandola di situazioni, create dai continui cambi di identità del protagonista, servono a mantenere lo spettacolo, pur di argomento così drammatico, su quel registro comico, essenziale per Fo, al fine di evitare il rischio della catarsi e dell’indignazione (come in Pirandello).
Fo attualizza la tecnica e la figura del giullare come reincarnazione delle voci eretiche del passato, con una funzione fortemente polemica nel presente; sincronizza passato e presente realizzando un effetto straniante, usando il grottesco e la logica e, senza confondere i piani temporali, insinua nel presente un frammento di passato che ha una valenza negli avvenimenti politici contemporanei.
In un altro contesto l’opera di Fo può essere ricondotta a Pirandello, infatti i suoi personaggi si confrontano con una società snaturante e con una crisi esistenziale che li spinge a lottare per affermare le proprie ragioni e per smascherare le false verità imposte dall’alto.

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