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Cronaca Montebello Vicentino

La narcopelle di Montebello, tra verità e misteri

A distanza di un mese, restano ancora moltissimi i punti oscuri del maxi sequestro avvenuto nella valle del Chiampo. Il valore della droga, anziché 80, sarebbe circa 21 milioni

E’ una storia densa di misteri quella della cocaina trovata nella conceria Cristina a Montebello, quasi un mese fa. Le cose certe non sono tantissime, ma sono comunque rilevanti per cercare di dipanare la matassa.

Sono uno dei carichi più grossi ritrovati in Europa quest anno, sono quasi certamente stati trattati da un broker della ‘ndrangheta, vengono da una tratta conosciutissima dalle varie agenzie americane e dalle polizie europee, l’odore della pelle conciata in territorio brasiliano è il miglior modo per celare ai cani antidroga la cocaina stessa, un metodo non certo nuovo e certificato come “sicuro” dalle organizzazioni criminali da anni.

La zona d’arrivo, la valle del Chiampo, era molto probabilmente l’esatta destinazione del carico. E’, infatti, certamente improbabile che, se la destinazione fosse stata diversa, il carico di droga non sia stato “svuotato” nel porto livornese visto che è rimasto fermo per dei giorni. Altro punto certo è che il container, rimasto sigillato per trentatré giorni nel piazzale della conceria, è una consuetudine per chi lavora il pellame nella zona. Potrebbe essere rimasto anche di più se la pelle non fosse servita per qualche lavorazione.

Quali sono quindi i misteri e i dubbi di questa vicenda?

Innanzitutto l’errore umano in questo caso ha una percentuale bassissima di probabilità. Bisogna sapere che questi carichi così importanti sono gestiti dalla trattativa per il prezzo e le condizioni alle rotte, dal trasporto all’incasso da “broker” della cocaina affiliati direttamente o indirettamente alla ‘ndrangheta calabrese. Sono uomini che quasi mai hanno a che fare con la sostanza che trattano, operano con telefoni satellitari criptati e spostano quintali e tonnellate di droga in giro per il mondo. L’errore è difficilmente contemplato da chi opera per questi padroni del mercato sotterraneo, non ci sono punizioni intermedie alla morte quando si perdono carichi di questo genere. E il perché è facilmente comprensibile. Infatti, come in tutte le transazioni commerciali di merce, la droga viene “assicurata” dal venditore con percentuali di rischio che sono divise con il compratore fino all’arrivo della droga nel porto d’arrivo. E’ evidente quindi che, se l’errore c’è stato, è stato in percentuale pagato anche dal broker. E perdere 700 chili di cocaina pura non è certo una svista perdonabile per chi pesa la vita come pesa i soldi.

E’ difficile anche che nessuno si sia accorto dell’errore nella tratta tra il Brasile e Valencia. E’ infatti ovvia consuetudine, che un carico di questo valore, sia controllato da vicino all’interno della nave. Solitamente dal capitano della nave stessa o da alcuni uomini dell’equipaggio. I broker calabresi sono così potenti che uno di loro, il più famoso, Roberto Pannunzi detto Bebè, comprò una nave intera per i suoi traffici, con equipaggio “selezionato”.

Altro punto da chiarire è il perché questi settecento chili di cocaina siano stati abbandonati una volta sbarcati in Italia. Non c’è certezza di chi siano i compratori, ma qualche supposizione si può fare. Essendo comunque pura, aspetto fondamentale, è abbastanza probabile che il carico fosse diretto a chi ha la possibilità e le capacità per raffinarla, per “tagliarla” nelle giuste percentuali. E’ molto probabile che gli stessi compratori non siano “rampanti” Montana e che non sia la prima volta che la acquistano. Quindi, il fatto che non l’abbiano recuperata, fa pensare che fosse in conto vendita. Privilegio dato a pochi.

Chi quindi può essere il destinatario se non uomini delle cosche calabresi del nord Italia? Se fosse stato un grossista fuori dalle cosche, avrebbe cercato di recuperare in ogni modo il carico di stupefacente per non perdere milioni di euro già versati. Ma così non è stato, a quanto dicono. C’è stato sentore che il carico fosse monitorato dalle forze dell’ordine? Qualcuno ha voluto far ritrovare il carico? Non è una supposizione molto credibile anche se, altre volte, uomini-cerniera tra criminalità e parti dello Stato hanno interagito per sequestri di rilievo. Con finalità sempre poco chiare.

La vicinanza della conceria Cristina con il veronese, vera enclave della ‘ndrangheta, è sicuramente uno dei campanelli d’allarme più forti per queste supposizioni e un punto forte che darebbe una certezza sulla destinazione del carico.

Il valore della cocaina ritrovata è da chiarire.

Le notizie trapelate han parlato di un valore sugli 80 milioni di euro. Quanto si pagano settecento chili di droga purissima dal Sudamerica? Che sia prodotta in Perù o in Colombia poco importa, il costo al chilo “nella foresta” varia tra i mille e i millecinquecento euro (In Afghanistan costa 700 euro al chilo, quella che passa dalla Croazia 1500 euro, 1000 dalla Turchia). Nel porto dove è imbarcata, e quindi quando passa la dogana, il costo lievita a 3000 euro il chilo. Al porto di destinazione il rialzo arriva fino ai 5000 euro per poi essere venduta dai “calabresi” a un costo che varia tra i venti e il trentamila euro, il chilo. Questo ovviamente quando la droga ha una purezza alta, come nel caso del carico vicentino che era al 92%. Una percentuale all’arrivo che certifica un costo totale di 21.000.000 di euro, circa. La cocaina con quella purezza non è vendibile, è talmente forte che potrebbe uccidere. Per renderla “usabile” bisogna “tagliarla” con una proporzione di uno a quattro. In questo modo diventa di ottima qualità, da elite. E’ con successivi tagli, sempre con la medesima proporzione, che la coca diventa un prodotto “di strada”, venduto dagli ottanta ai 40 euro il grammo. A seconda della zona.

Per capirci, con un taglio “normale” sono usati poco più di cento grammi di cocaina pura per farne un chilo venduta per strada. Proporzioni da brivido se teniamo conto che un taglio “normale”, molte volte è ulteriormente tagliato. Sempre con proporzione uno a quattro. Per questo i costi variano da città a città. Se a Bolzano costa sui 3000 euro il chilo, a Milano, zona Rogoredo, la puoi pagare 4500 euro. Il carico di Montebello quindi avrebbe avuto un valore ancora inferiore ai 21 milioni di euro se i compratori fossero delle cosche calabresi del nord. Per questo motivo, il sequestro avvenuto, a livello economico per chi ha comprato, è stato un grosso danno, ma non irreversibile. E probabilmente già sostituito con un nuovo quantitativo. Se qualcuno nella conceria fosse informato di cosa c’era in quel container, se il carico fosse destinato a un’altra conceria, se fosse stato “abbandonato” per il dubbio che fosse monitorato, solo il Ros potrà definirlo con certezza. E ci vorranno mesi o anni.

La cosa certa è che nessuna possibilità, nessuna ipotesi è da escludere a prescindere. Nessuno è accusato e nessuno è accusabile oggi, ma nessuno è esente da indagini e da ogni ragionevole dubbio. Potrebbe essere un segnale beneaugurante questo ritrovamento, un segnale che potrebbe dare una scossa al potere della ‘ndrangheta nel Veneto.

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