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Cronaca

Pfas 2.0 nell'ambiente? «La Miteni omise di inviare i rapporti»

La società trissinese non avrebbe comunicato agli enti pubblici tutti i dati in proprio possesso rispetto ad una contaminazione da derivati del fluoro di seconda generazione già in atto almeno dal 2015. È quanto emerso al processo dalla testimonianza di un investigatore del Noe incaricato dalla procura

Almeno dal 2015 la Miteni aveva commissionato ad un paio di laboratori privati specifiche analisi per capire se nell'ecosistema o agli scarichi fossero presenti reflui da derivati del fluoro di seconda generazione, GenX e C6O4, attribuibili ai cicli di lavorazione della stessa ditta. Tuttavia parecchi risultati di quei test potenzialmente esplosivi, non furono subito inviati alle autorità, come prescrive la legge, con lo scopo di contenere la contaminazione in corso. Per di più la presenza di queste temibili sostanze nell'ambiente, peraltro in modo parziale, fu comunicata agli enti pubblici di controllo solo dopo la deflagrazione del secondo filone dell'affaire Miteni, noto come caso GenX, avvenuta nel 2018. È questo lo scenario che a Borgo Berga si è materializzato dopo la nuova testimonianza al processo Pfas, in corso al Tribunale di Vicenza, resa oggi 9 giugno da Manuel Tagliaferri, il maresciallo dei carabinieri del Noe di Treviso sulle cui spalle è gravata gran parte delle indagini coordinate nella fase preliminare dai pubblici ministeri Hans Roderich Blattner e Barbara De Munari.

IL CONTESTO
L'udienza di oggi va inserita nell'ambito del caso della maxi contaminazione da derivati del fluoro (i Pfas appunto) attribuita alla Miteni di Trissino oggi fallita: si tratta di un inquinamento che avrebbe colpito una ampia porzione del Veneto centrale tra Veronese, Vicentino e Padovano. Ma perché per la pubblica accusa e per le parti civili la deposizione del dottor Tagliaferri è importante? Gli elementi forniti dal maresciallo, almeno questa è la tesi della galassia ambientalista, danno evidenza diretta del fatto che i manager dell'azienda pur a conoscenza di valori abnormi di alcuni Pfas di seconda generazione (in gergo noti come «Pfas 2.0») finiti nell'ambiente, non allertarono immediatamente gli enti pubblici, come previsto dalla disciplina in vigore. Che poi è pensata per interrompere nel più breve tempo possibile l'aggravarsi di un degrado dell'ecosistema eventualmente in atto.

In questo senso la narrazione del maresciallo del Noe ricalca gli addebiti all'impresa (i quindici imputati però respingono fieramente ogni accusa e si dicono fiduciosi nell'esito del processo) che lo stesso Tagliaferri aveva palesato nelle precedenti udienze, in primis in relazione alla contaminazione ascritta ai Pfas cosiddetti di prima generazione.

L'ASSERITA OMISSIONE
Tra i passaggi più significativi di una seduta fiume, cominciata alle 9.30 del mattino fino alle 17.oo in punto, c'è quello che riguarda l'invio alla controparte pubblica, avvenuto tra il 2017 e il 2018, di alcuni documenti considerati «scottanti» dalle parti civli. «Nel comunicare agli enti l'inquinamento rilevato con la nota protocollo 046/18/DD/dd in data 25 luglio 2018 la ditta - fa rilevare il maresciallo - omise di inviare i rapporti di prova del laboratorio Agrolab relativi alla ricerca del C6O4 nelle acque di scarico, trasmettendo solo i rapporti di prova del GenX e omise di inviare i rapporti di prova relativi alla ricerca nell'acqua di falda del del GenX eseguiti dal primo novembre 2017 al 28 novembre 2017 trasmettendo peraltro solo i rapporti di prova relativi al periodo 25 giugno 2018 - 10 luglio 2018».

L'IMPIANTO PILOTA
Sempre Tagliaferri durante la sua deposizione ha pure fatto presente come la lavorazione o la produzione dei Pfas di seconda generazione potrebbero de facto essere iniziate prima delle autorizzazioni di rito. Il motivo? Quegli scarti di lavorazione finiti nell'ambiente sarebbero stati il risultato della attività «dell'impianto pilota» di Miteni. Il fatto che produzione o lavorazione sarebbero orientativamente iniziate anche prima del 2015, ha spiegato ancora Tagliaferri, può essere desunto dalla velocità con cui i contaminanti medesimi si sarebbero mossi nella falda ovvero nel sottosuolo.

I CONTROLLI
I riscontri forniti in aula dall'investigatore del Noe però, come accaduto in precedenza, hanno una attinenza non solo per i reati a vario titolo contestati agli imputati. Ma, almeno di rimando ovvero senza alcuna attinenza proicessuale specifica, riguardano anche eventuali inerzie addebitate agli enti pubblici. La querelle sollevata dagli esponenti della galassia ecologista veneta è nota. Ma in relazione al caso GenX la questione, alla grossa, viene posta in questi termini. Nel momento in cui Miteni più o meno esplicitamente dà conto agli enti pubblici di avere inviato loro documentazione in qualche modo carente perché gli stessi enti pubblici in quel momento non chiedono tutte le carte?

BIZZOTTO,  DELL'ACQUA E LA FUGA DI NOZTIZIE
Durante l'escussione del teste è emerso anche un retroscena di non poco conto. Quando deflagrò l'affaire GenX, poi tradottosi nel secondo troncone dell'inchiesta Pfas, la novità fu riferita in modo fulmineo dai media regionali. In quell'occasione l'allora commissario straordinario di Arpav Veneto e commissario straordinario all'emergenza Pfas (il dottore Nicola Dell'Acqua), accusò senza mezzi termini la stampa di aver de facto impedito all'agenzia ambientale regionale, con una fuga di notizie esecrabile, di perfezionare i controlli sulla Miteni per quanto riguarda la presenza di Pfas di seconda generazione nell'ambiente. Al Giornale di Vicenza nella edizione on-line del 10 luglio 2018 Dell'Acqua molto seccato e con un Italiano un po' claudicante dichiarò che «in seguito al fatto che il nuovo inquinamento era divenuto pubblico, abbiamo trovato le lavorazioni ferme e tutti gli impianti puliti».

SCAMBIO DI E-MAIL
Epperò a smentire questa lettura degli eventi è stato lo stesso investigatore del Noe il quale sollecitato dal pubblico ministero Blattner con tanto di slide proiettata a favor di giurati ha menzionato, tra gli altri, uno scambio di e-mail tra l'Arpav e la Miteni proprio sul tema dei Pfas di seconda generazione. Di più Tagliaferri ha raccontato che fu la stessa Arpav, si fa il nome del dirigente «Alessandro Bizzotto» e della dottoressa «Roberta Cappellin», ad annunciare un «sopralluogo previsto per il giorno seguente» ossia il 4 luglio 2018. Si tratta di una concatenazione di eventi che ha fatto storcere il naso ad una parte dell'uditorio in aula perché ha riportato in primo piano appunto il tema delle possibili inerzie della pubblica amministrazione.

LA POLEMICA TORNA A GALLA
Ad ogni buon conto all'epoca le dichiarazioni di Dell'Acqua scatenarono la reazione furibonda del consigliere regionale democratico Andrea Zanoni (siede tra i banchi della minoranza) il quale sul suo blog il giorno 11 luglio 2018 bacchettò il manager pubblico spiegando come fosse scorretto che quest'ultimo addossasse «alla stampa locale la responsabilità della fuga di notizie, fuga, che non avrebbe consentito all'Agenzia ambientale di svolgere i dovuti controlli e accertamenti sull'utilizzo del GenX da parte di Miteni. Cerca forse di distrarre l'opinione pubblica - così si rivolse all'epoca il consigliere Zanoni a Dell'Acqua - per coprire le carenze dell'Arpav e soprattutto della Regione?». Se Dell'Acqua abbia o meno chiesto lumi a Bizzotto di quanto accaduto tra il giugno ed il luglio del 2018 al momento non è dato sapere. Come non si sa se qualche strascico di questa vicenda sia finito nel fascicolo della procura di Vicenza sulle presunte inerzie dei funzionari pubblici nell'ambito della sorveglianza sulla Miteni: fascicolo archiviato dalla magistratura berica in circostanze non del tutto chiarite.

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