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Cronaca

Fuga di Maniero, le lettere anonime che condannarono il confidente: veleni e sospetti nella Dia

Due fogli manoscritti arrivati all'avvocato del boss della Mala del Brenta accusarono Giancarlo Ortes, "mente" dell'evasione, di essere al servizio della Dia. Dopo meno di due mesi, il "bagoìna" venne ucciso. Un delitto che ancora oggi chiama giustizia


Dopo la cattura del camorrista, il 30 agosto, allo studio dell’avvocato Vandelli, legale di Maniero, arrivò una lettera anonima dal contenuto “bollente”. Nella missiva si parlò del tradimento di Giancarlo Ortes in forma dettagliata rispetto agli arresti avvenuti. Un requiem per l’attività degli investigatori e l’apertura di un processo silenzioso all’ex pizzaiolo di Camposampiero da parte della Mala. Ortes seppe quasi immediatamente dell’arrivo della lettera anonima.

I primi giorni di settembre fu mandato da Maniero a parlare con la moglie di Di Girolamo per capire i dettagli della cattura e, in quell’occasione, la moglie del camorrista parlò con la moglie del confidente accusandolo apertamente di collaborare con la Dia. Però tutto rimaneva inalterato nell’ambito criminale, non c’era certezza che quella lettera fosse credibile. Non c’erano prove certe anche se i dettagli scritti dall’anonimo erano precisi.


Nel frattempo dentro gli uffici della Dia di Padova il clima era tesissimo. La lettera poteva essere stata mandata soltanto da chi conosceva nello specifico l’attività di Ortes all’interno della Dia stessa. Ufficialmente neanche l’autorità giudiziaria era al corrente della collaborazione e la squadra che lo “gestiva” finì subito nell’occhio del ciclone. Insieme a tutto il centro operativo. Sotto pressione, per questa fuga di notizie, il pm Cherchi aprì un procedimento contro ignoti (venne archiviato) e solo successivamente alla morte di Ortes venne ordinato dal nuovo capocentro della Dia di Padova Guido Longo  che venisse fatta, a tutti gli effettivi, la prova grafologica per trovare l’anonima gola profonda.

L’esito fu negativo per tutti ma il dubbio rimase, come rimase senza un perché il fatto che questa prova irripetibile fosse stata fatta senza nessuna tutela legale per i funzionari. Non necessariamente poteva essere stata scritta direttamente da uno degli uomini del centro operativo. Emerse anche il sospetto che dietro a questa lettera ci fosse lo zampino dei servizi segreti.

Le "barbe finte"

Un dubbio che poteva avere delle rispondenze per il semplice fatto che le “barbe finte” furono sempre molto presenti in Veneto ma rimasero stranamente silenti sull’argomento. Oltretutto, alcuni uomini del Sisde capitanati dal colonnello Coletti erano transitati al centro operativo della Dia prima, durante e soprattutto dopo la fuga di Faccia d’Angelo.

Supposizioni, chiacchiere, fantasie da spy story? Forse sì. Fatto sta che il 20 settembre una seconda lettera arrivò all’avvocato Vandelli ribadendo la prima missiva. Sempre anonima. La vita di Ortes stava perdendo valore, ora per ora. 


Il danno procurato dalle lettere fu letale, sia per il confidente Ortes che vedeva la sua affidabilità, dentro la Mala, calare vertiginosamente e sia per il centro operativo della Dia. Negli uffici patavini iniziò a serpeggiare un clima di sospetto reciproco tra gli investigatori che seguirono il caso. Fu l’ispettore Menon  a chiedere di essere esonerato dal ruolo di contatto con Ortes perché riteneva la “squadra” guidata dal capitano Fiore non più affidabile. Di contro, il capocentro Marangoni avanzò dei dubbi proprio su Menon circa la sua estraneità alle lettere. Dubbi che successivamente e formalmente ritirò. Un clima di sospetti senza prove che fece arrivare a Padova il Procuratore Nazionale Antimafia Bruno Siclari, per risolvere la spinosa questione.


Risultato della visita di Siclari fu che le indagini furono compartimentate e che all’ispettore Menon venisse data in totale autonomia la gestione del confidente, potendo rapportarsi solo con il capo centro. Le informazioni di Ortes erano preziose e la fonte andava gestita nel segreto più assoluto. Accortezza che ebbe poco senso dopo le lettere anonime. Ma questa fu solo una parte della “cura”.

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