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Cronaca

Fuga di Maniero, le lettere anonime che condannarono il confidente: veleni e sospetti nella Dia

Due fogli manoscritti arrivati all'avvocato del boss della Mala del Brenta accusarono Giancarlo Ortes, "mente" dell'evasione, di essere al servizio della Dia. Dopo meno di due mesi, il "bagoìna" venne ucciso. Un delitto che ancora oggi chiama giustizia

La “collaborazione” di Giancarlo Ortes, per la cattura di Maniero e dei suoi sodali, fu una forzatura al codice penale. Una di quelle situazioni dove, per raggiungere il fine, si modellano le regole. È ragionevole pensare che ci fosse molta frenesia nel cercare di riacciuffare i latitanti, è meno logico fidarsi di lasciare andare in totale libertà uno dei fautori stessi della fuga. La mente organizzatrice che fermarono prima che riuscisse a scappare all’estero. Eppure così successe all’alba del 30 giugno del 1994.

Azzardo o rischio calcolato? 

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Gli arresti: Ortes fece il suo lavoro

Ci pensò lo stesso Ortes a togliere ogni dubbio, sulla sua buona fede, agli investigatori della Dia. Soprattutto al suo “angelo custode”: l’ispettore Valentino Menon, con cui ebbe un rapporto privilegiato ed unico. Nell’arco di pochi giorni, l’ex cervello della fuga fece arrestare uno dei luogotenenti di Maniero, Sergio Baron. L’ex sodale del boss fu ammanettato il 5 luglio a Cona, nel Veneziano, mentre stava leggendo un giornale seduto sulla poltrona. Non aveva armi ma solo un passaporto falso. Un simpatico aneddoto, riportato dalla stampa, racconta che l’annuncio della cattura fu dato dall’allora Ministro dell’Interno Roberto Maroni prima del pm Cherchi e degli investigatori padovani. Un piccolo esempio dello scollamento istituzionale che ci fu in quei giorni frenetici. Dove tutti avevano una catena di comando diversa. 


Il 3 agosto le manette vennero messe ai polsi al “nero” Fiorenzo Trincanato e ad Enzo Baldan. Due uomini del commando. Contemporaneamente, a Tonezza del Cimone, vengono ritrovati i giubbetti antiproiettile con la scritta carabinieri, le armi, le parrucche, i falsi tesserini, gli esplosivi e le chiavi del penitenziario Due Palazzi. Tutta la “santabarbara” usata per la fuga. A finire nei guai un fiancheggiatore della Mala, tale Andretta, proprietario anche dell’Antico Guerriero. Il ristorante dove si rifugiarono commando ed evasi dopo la fuga. 


Più di venti giorni dopo, a Fiuggi, stessa sorte toccò a Carmine Di Girolamo. L’arresto fu compiuto da un piccolo esercito composto da centocinquanta uomini tra Dia, Criminalpol e Squadra Mobile di Frosinone. Il camorrista del clan Scotti fu bloccato in mutande mentre cercava di prendere dal comodino le sue pistole, una 44 magnum e una 357. 


Ortes fece il suo lavoro. In quasi due mesi assicurò alla giustizia quattro protagonisti della fuga. Risultati importanti ma con una caratteristica che non sfuggì a chi era ancora latitante: la polizia arrivava nei rifugi a colpo sicuro. Qualcuno stava parlando.

Le lettere anonime

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