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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

«Distruggere i risultati» del rapporto sui Pfas

Il processo per l'inquinamento ambientale addossato alla trissinese Miteni si infiamma a causa delle versioni discordanti tra due testimoni chiamati a deporre. Frattanto sull'Ovest vicentino plana la polemica dell'affaire «Ayoreo» che tocca due colossi conciari arzignanesi

Quando tra il 2008 e il 2009 venne realizzato a più riprese un check-up sulla contaminazione dell'ambiente eventualmente addebitabile alla Miteni, la industria chimica di Trissino finita al centro di un maxi processo ora in corso a Vicenza, i riscontri ottenuti all'epoca non facevano pensare ad una situazione ambientale preoccupante. È questo quanto ha dichiarato ieri 15 dicembre in udienza al tribunale di Vicenza nella sua veste di testimone l'ingegnere Giuseppe Filauro, che in quel periodo era direttore di progetto per conto di Erm Italia: la società incaricata di valutare le criticità ambientali della Miteni (accusata di una colossale contaminazione da derivati del fluoro, i Pfas, che ha colpito tutto il Veneto centrale tra Veronese, Vicentino e Padovano) su richiesta della stessa ditta della valle dell'Agno.

PARLA FILAURO
Sempre durante l'udienza Filauro ha spiegato a più riprese di non avere ricevuto alcun tipo di sollecitazione dalla Miteni per manipolare o mutare i rapporti che poi sarebbero stati indirizzati alla società trissinese. Di più, secondo l'ingegnere nel 2008 non esistevano riscontri che facessero pensare ad alcun sforamento rispetto ai valori sulla presenza nell'ambiente nei pressi dello stabilimento di sostanze chimiche allora disciplinate. Peraltro, il sistema di pozzi anti-inquinamento (in gergo «barriera idraulica») realizzato dalla ditta dell'Ovest vicentino era «funzionante». Il che ha permesso a Filauro di affermare quindi come sulla base di questo riscontro la Miteni operasse «in sicurezza».

LA VERSIONE DI MIORI
E se Filauro ha parlato del rapporto Erm 2008, il rapporto successivo, quello del 2009, le condizioni che hanno portato alla redazione del secondo documento sono state illustrate in aula da un altro testimone. Si tratta del manger di progetto Marco Miori, il quale, come nel caso di Filauro, è stato chiamato tra i testi dell'accusa, ieri rappresentata dal pubblico ministero Paolo Fietta. Miori chiamato a dare giustificazioni sulle motivazioni per cui gli alti livelli di Pfas inizialmente riscontrati da Erm nelle analisi non fossero stati inclusi nell'esito finale del rapporto 2009, ha risposto descrivendo, quello che a suo dire sarebbe stato un ostacolo di natura tecnica: ossia Theolab, il centro specializzato ingaggiato dalla stessa Erm per i test di specie aveva approntato una metodica realizzata ad hoc dacché i risultati non sarebbero stati validabili da un soggetto certificatore esterno.

LA BORDATA DI FABRIS
La questione di fondo però è che la versione di Filauro durante la precedente udienza del primo del mese di dicembre aveva trovato un riscontro diametralmente opposto da parte dell'ingegner Roberto Ferrari, manager di progetto per il rapporto 2008. Ferrari, chiamato sul banco dei testimoni dal pubblico ministero Hans Roderich Blattner aveva lanciato accuse pesantissime dando contezza al collegio giudicante presieduto dalla dottoressa Antonella Crea una circostanza molto precisa: «Ci chiesero di distruggere i risultati delle analisi sulla presenza di Pfoa nell'acqua di falda». E ancora, il direttore tecnico della Miteni Mario Fabris, tra gli imputati per reati ambientali, «chiamò al telefono il mio responsabile, Giuseppe Filauro, per chiedergli di togliere dall'ultima versione del nostro report i dati sul Pfoa. Era necessario edulcorare gli allarmi che avevo inserito nel lavoro sulla falda». De facto, secondo Fabris, Miteni avrebbe chiesto a Erm di far sparire le risultanze che in qualche misura disvelavano la contaminazione oggi addebitata all'impresa. Il che avrebbe dovuto indurre i privati ad autodenunciarsi secondo quanto prescritto dalle norme: questo almeno il rilievo del fronte ambientalista. I Pfoa peraltro sono una delle sottofamiglie più note rispetto ad una categoria, quella dei «temutissimi» Pfas, che conta migliaia di composti tutti di origine artificiale.

Il primo dicembre le dichiarazioni giurate di Ferrari suscitarono un certo clamore tra gli attivisti della rete ambientalista presenti in aula fra gli spalti del pubblico. Soprattutto perché «grazie ad un interrogatorio condotto in modo molto attento e molto scrupoloso dal dottor Blattner - fece sapere quel giorno Maria Chiara Rodeghiero, referente per il Veneto di Medicina democratica, associazione che è parte civile peraltro - in sede processuale è approdata una testimonianza più che cruciale». E non è finita.

IL BOTTO
Ferrari, ancora sulla scorta delle domande messe in fila una dopo l'altra dal dottor Blattner, parlò della difficoltà che Erm e Theolab ebbero per avere i risultati sui valori in falda rispetto ai Pfas o meglio ancora rispetto ai Pfoa. «Visto che in Italia queste sostanze non sono normate, si decise di utilizzare i limiti americani, ossia 0,5 microgrammi per litro, in modo tale da avere un riferimento concreto. I risultati di Miteni superavano quei limiti di quattrocento volte». La testimonianza di Fabris ha fatto il botto tanto da finire su molti media regionali, sulla Rai e anche sul periodico torinese «La via libera», che con la reporter Laura Fazzini da tempo sta seguendo il caso (il magazine si occupa principalmente di ambiente, mafia e diritti sociali).

POLEMICHE SUL COMPARTO PELLE
Ad ogni buon conto in questi giorni i clamori legati alle industrie dell'Ovest vicentino ossia del distretto Agno Chiampo non hanno a che fare solo con la Miteni, che peraltro è fallita. Anche la concia non se la passa benissimo in quanto a polemiche. «Per realizzare interni, sedili e volanti, infatti, molte case automobilistiche acquistano pellami da due aziende italiane leader del settore: Pasubio Spa e Gruppo Mastrotto Spa. A loro volta, le due aziende si riforniscono da concerie che commerciano con allevamenti colpevoli di occupare la terra ancestrale degli Ayoreo e quella dei loro gruppi isolati e di disboscarla illegalmente mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza. Gli Ayoreo sono l'ultimo popolo incontattato del Sud America sopravvissuto al di fuori del bacino amazzonico».

Questa almeno è la presa di posizione contenuta in un articolo della Onlus Survival pubblicato il 13 dicembre. In quel servizio si fanno anche i nomi (Bmw, Jaguar e Land rover) che si approvvigionerebbero dei lavorati in pelle dai due colossi della concia berica: i quali hanno ricevuto «una diffida» proprio affinché non si riforniscano più dagli intermediari che sarebbero alla base dello sfruttamento di quelle terre e di quelle popolazioni paraguaiane. In questo contesto, si legge ancora, il Gruppo Mastrotto, il più importante conglomerato conciario italiano, avrebbe già avviato una interlocuzione con Survival. La Pasubio, invece, arzignanese come Mastrotto peraltro, avrebbe fatto pervenire «solo una breve e sterile comunicazione di discolpa generica».

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