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Cronaca

Pfas: Lo spettro dell'inquinamento perpetuo immerso nel silenzio

Botta e risposta al vetriolo tra la Regione Veneto e il delegato al fallimento. Intanto a palazzo Ferro Fini le opposizioni chiedono più trasparenza per le commissioni speciali che hanno indagato anche sul caso Pfas

Mentre le opposizioni alla Regione Veneto chiedono più trasparenza per le commissioni consiliari, che a partire dal caso Pfas o dall’affaire crac popolari, si sono occupate di temi spinosi, da palazzo Balbi rimbalza un allarme proprio in tema di Pfas. La contaminazione della falda, che in qualche modo era sotto controllo, si starebbe aggravando in modo preoccupante. Il motivo? Dopo il fallimento della industria chimica della valle dell’Agno la barriera che contiene il possibile inquinamento potrebbe essere abbandonata a sé stessa proprio in ragione del fallimento della società trissinese. Intanto il curatore fa sapere che per le bonifiche non ci sono soldi. E così si materializza lo spettro di un inquinamento perpetuo.

«PIÙ TRASPARENZA»

Con una nota diffusa ieri che vede come primo firmatario il consigliere democratico Andrea Zanoni, le opposizioni invocano una modifica radicale del regolamento del consiglio regionale. Chiedono in sostanza che tutte le commissioni speciali (le più note sono quelle sul caso Pfas e sui crac bancari, i cui lavori si sono chiusi) e tutte le commissioni ordinarie, si tengano in seduta pubblica e in diretta web. E chiedono che i verbali delle stesse commissioni siano accessibili al pubblico. «Se la Regione - rimarca il consigliere - è una casa con le pareti di vetro, iniziamo da qui, con piccoli ma significativi cambiamenti». In passato la trasparenza in commissione, da anni un vero e proprio tabù a palazzo Ferro Fini, era stata al centro di polemiche furibonde che per vero non si sono mai placate: polemiche che di tanto in tanto riemergono in maniera più o meno carsica.

L’ALLARME

Ad ogni modo in queste ore a palazzo Ferro Fini, sede del Consiglio regionale del Veneto e a palazzo Balbi, sede della giunta regionale sta rimbalzando un documento che oltre ad essere fonte di preoccupazione potrebbe far scoppiare altre polemiche sul caso Pfas. Si tratta di una nota firmata da Nicola Dell’Acqua, direttore dell’Area tutela e sviluppo del territorio. La missiva è indirizzata a Domenico De Rosa, curatore fallimentare della Miteni.

«Le ultime analisi effettuate sui piezometri di controllo - si legge – segnalano un aggravamento della contaminazione delle acque di falda. Tale situazione - scrive ancora Dell’Acqua – sembra riconducibile al mancato potenziamento della barriera idraulica che dovrebbe impedire la fuoriuscita di acque contaminate dal sito della Miteni». Appresso un altro passaggio delicatissimo: «Si evidenzia che tale potenziamento era stato più volte richiesto da parte dei vari soggetti pubblici interessati alla società già prima del fallimento, da ultimo nella Conferenza di servizi tenutasi il 3 dicembre 2018 presso la sede Arpav di Vicenza».

Il dirigente poi va oltre e aggiunge altre richeiste: «Pur nella cosapevolezza che la situazine fallimentare della ditta ha complicato e ritardato l’assunzione delle iniziative... sopra citate, gli interventi di potenziamento... appaiono urgenti e non più rinnovabili». A fronte di uno scenario così delineato il direttore dà quindici giorni di tempo al curatore per presentare un progetto di adeguamento. La lettera, che porta la data del 21 gennaio 2019 e il protocollo 25044 il cui contenuto per sommi capi pare sia giunto giunto anche all’orecchio di alcuni consiglieri regionali della maggioranza, si chiude in maniera perentoria: «Si chiede altresì di comunicare al più presto la disponibilità della curatela ad intervenire a rimedio della sopravvenuta situazione in modo da potere attivare ogni possibile iniziativa alternativa o concorrente da pate pubblica, al fine di prevenire ogni ulteriore fenomeno di inquinamento della falda».

RISPOSTA PICCATA

La replica del curatore De Rosa però non si fa attendere ed arriva con una e-mail certificata che porta la data del 29 gennaio. Il professionista incaricato dal tribunale spiega che nei mesi di novembre e di dicembre dello scorso anno «nonostante le difficoltà sopravvenute in seguito al fallimento di Miteni spa» a tutte le attività di messa in sicurezza è stata data regolare attuazione. Il curatore spiega che tutto ciò è avvenuto «per spirito di collaborazione» da parte della curatela sebbene su quest’ultima «non gravi alcun obbligo a riguardo». De Rosa appresso spiega di avere chiesto una perizia in base al cui esito si valuterà se acquisire o meno la barriera idraulica «come previsto dall’articolo 104 della legge fallimetare».

Di seguito c’è il passaggio che potrebbe mandare in fibrillazione la politica regionale:

«Devo inoltre evidenziare che la curatela... non dispone attualmente di alcuna risorsa... che possa consentirle di adottare... anche nella denegata ipotesi in cui vi fosse tenuta... le iniziative richieste nella Conferenza di servizi del 3 dicembre 2018 e nella comunicazione della Regione Veneto del 21 gennaio».

La lettera del curatore, nel respingere al mittente ogni richiesta, si conclude con un invito perentorio indirizzato a Dell’Acqua affinché quest’ultimo riformuli il suo invito perché le pretese, così come sono state accampate nella nota del 21 gennaio sarebbero irricevibili in ragione del principio più volte affermato secondo il quale «la curatela fallimentare non può essere... oggetto di ordinanze di bonifica o messa in sicurezza per inquinamenti ad essa non imputabili». Di seguito il dottore De Rosa cita una serie di precedenti giurisprudenziali tra i quali il pronunciamento 5668 del Consiglio di Stato del 4 dicembre 2017.

LE CONSEGUENZE

Si tratta di parole che pesano come macigni perché portato alle estreme conseguenze questo assunto equivale a dire che se non si trascinano davanti ad un giudice, penale in primis, i responsabili dell’inquinamento, mai nessuno dovrà pagare il mantenimento della barriera idraulica, il cui mancato funzionamento equivale ad una ferita purulenta mai tamponata. Ma soprattutto mai nessuno potrà o dovrà pagare il risanamento del sito e della falda, l’esborso per il quale potrebbe costare cifre colossali.

I NODI DA SCIOGLIERE

A questo punto ci sono alcune domande che nascono spontanee. Se De Rosa ha ragione come è possibile che un funzionario pubblico dalla grande esperienza come Dell’Acqua, che è stato anche direttore generale dell’Arpav del Veneto, abbia preso una cantonata del genere? E se invece ha ragione quest’ultimo, come è mai possibile che un professionista dalla lunga esperienza come De Rosa, che in questa circostanza veste anche i panni d’un pubblico ufficiale, abbia preso un granchio, magari citando a sproposito norme e sentenze? O per caso è anche lontanamente ipotizzabile che in un contesto del genere qualcuno abbia pensato di mettere le mani avanti semplicemente per evitare rogne con la legge penale?

Il dettato di quest’ultima per quanto concerne i doveri del pubblico ufficiale è molto chiara. Il funzionario pubblico che viene meno ai sui doveri e che procura ad altri o a sé medesimo un indebito vantaggio incorre nel reato di abuso in atti d’ufficio. Allo stesso modo rimane da capire, proprio nell’ottica di questi ultimi eventi, se lo stato di decozione nel quale è finita la Miteni sia davvero ascrivibile al fatto che sul piano del business l’impresa fosse arrivata al capolino e se lo stesso fallimento sia in qualche modo stato il paravento per sottrarre, agli enti pubblici e alla collettività in primis, quanto dovuto a partire dal ristoro in termini ambientali. Per quanto concerne questa ultima fattispecie più volte sui media si è parlato di una ipotesi investigativa passata al vaglio della Guardia di finanza vicentina per illeciti legati alla bancarotta. Ma fino ad oggi poco o nulla è emerso al riguardo.

GLI ENTI LOCALI

Ora a fronte della corrispondenza intercorsa tra l’Area tutela del territorio di palazzo Balbi e il curatore bisognerà capire come si comporterà la giunta regionale capitanata dal governatore leghista Luca Zaia. Ma bisognerà capire anche come si comporteranno gli enti locali. La nota di Dell’Acqua infatti è stata indirizzata anche al segretario generale della Provincia di Vicenza e al sindaco di Trissino Davide Faccio. Come reagiranno i due enti di fronte ad una novità così allarmante? Come mai nessuno, Regione in primis, ma anche gli enti sotto-ordinati, ha comunicato questa novità e i rischi ad essa correlati alla popolazione? Di più, è vero che all’ultima conferenza di servizi o all’ultimo tavolo tecnico dedicati al caso Miteni e tenuti presso il comune di Trissino avrebbe partecipato anche l’ex amministratore delegato della Miteni Antonio Nardone, sotto indagine penale per l’affaire Pfas?

La vicenda peraltro potrà avere delle conseguenze anche sul piano politico. Un caso spinoso come questo potrebbe infatti planare in piena campagna elettorale visto che tra poche settimane si vota per le europee. Ad ogni modo chi scrive ha anche chiesto al comune di Trissino (in foto la facciata del palazzo municipale) e all’Area tutela e sviluppo della Regione un commento generale sulla vicenda. Al momento però non c’è stata alcuna risposta da parte dei diretti interessati.

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