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«Vogliamo la verità sulla morte di Nadia, chi sa parli»

I familiari e gli amici di Nadia Chiarello, la 17enne di Nogarole morta in circostanze misteriose nel ’79, hanno esposto uno striscione nel luogo dove fu trovato il corpo della ragazza

«Verità per Nadia, chi sa parli. Gli amici e i famigliari dopo 43 anni aspettano ancora la verità». Recita queste parole lo striscione apposto nella serata di oggi, martedì 18 ottobre, a Arso, Chiampo, nel luogo in cui, nel gennaio del 1979, fu trovata morta Nadia Chiarello, 17enne di Nogarole. Ad appendere la scritta gli amici e i familiari della ragazza, arrivati con un pullmino, che da oltre 43 anni attendono giustizia, specialmente dopo la sorpresa dello scorso novembre, quando la procura di Vicenza ha deciso di riaprire le indagini, precedentemente archiviate nel ’79, con la tesi ufficiale che faceva riferimento a un incidente stradale. Secondo i parenti di Nadia, non fu un sinistro a strapparla alla vita, quella maledetta sera. E, cosa più importante, qualcuno a Chiampo sa, ma non vuole parlare.

IL 10 GENNAIO ’79, UN FREDDO MERCOLEDÌ

La chiave per risolvere il mistero della morte di Nadia deve trovarsi per forza nelle brume di mercoledì 10 gennaio 1979. Quella fredda sera, terminato il turno nella conceria Italia di Arso, dove lavorava da qualche mese come segretaria, Nadia avrebbe dovuto essere accompagnata a casa da Mario Bauce, un vicino di casa, che però non la trovò nel posto in cui era solita aspettarlo, alle 18:12. Nemmeno il padre di Nadia, quel giorno a Chiampo per una commissione, la vide sulla strada. Dopo qualche ora partirono quindi le ricerche, che perdurarono fino a tarda notte. Secondo la stampa dell’epoca, l’ultimo ad averla vista fu Gino Negro, il proprietario della conceria, alle 17:55, finché aspettava il passaggio dal vicino di casa. Qualche giorno dopo saltò fuori un'altra testimonianza, di un amico di Bauce, che riferì di averla vista sulla strada alle 18:05.

IL TRISTE EPILOGO

Venerdì 19 gennaio intorno alle 16:30, all’altezza della conceria Italia ma dall’altra parte della strada, Giuseppe Melotti, un uomo residente in zona che era in visita a parenti, scorse tra la neve una testa che spuntava: dentro una buca era adagiato il cadavere della povera Nadia. Il corpo era «composto come in una bara», nonostante mancassero le scarpe, la giacca ed il maglione, che verranno poi ritrovati, a parte una scarpa, sempre nella zona. La salma presentava ferite al labbro, escoriazioni sulle gambe ed una profonda ferita alla testa: essendo congelata, non si fu mai in grado di stabilire con esattezza il momento del decesso. Fin da subito si delineò una disputa tra chi credeva all’ipotesi che il cadavere fosse lì dalla sera della scomparsa, magari a seguito ad un investimento, e chi invece era convinto che il corpo fosse stato portato lì solo successivamente, forse dopo un delitto efferato.

LE INDAGINI

Le ricerche da parte degli inquirenti non portarono da nessuna parte. Inizialmente si seguì la pista di Danilo, un ragazzo di San Bonifacio che faceva visita a Nadia, che alla fine risultò estraneo alla vicenda. L’autopsia, effettuata il 24 gennaio dal dottor Luciano Meli, ricondusse le morte ad un trauma cranico, e dopo qualche mese il caso venne archiviato assieme ad una denuncia contro ignoti, come omicidio colposo per incidente stradale. La famiglia, già provata dalla morte della figlia, ricevette negli anni successivi alcune lettere minatore, alcune delle quali sembravano accusare addirittura il padre per la morte della ragazza. La vicenda ha fortemente condizionato l’opinione pubblica della Valchiampo, portando il maestro Bepi De Marzi, che per lungo tempo si è occupato anche di cercare di dare una risposta al mistero, a comporre il brano «Arso», diventato poi un classico dei Crodaioli, con Nadia che è diventata Maria e quella domanda in musica, «Chi zé stà che te ga copà?».

LA SVOLTA

La vicenda, custodita per molti anni nelle memorie degli abitanti della Valle, è tornata sulle pagine di cronaca all’inizio del 2021, dapprima in un focus del Corriere Vicentino, per poi finire in prima serata su Rai Tre, il 19 maggio, a “Chi l’ha visto?”. Da Nogarole agli studi Rai, l’appello della sorella Barbara, in prima fila per ottenere la verità sulla vicenda, assieme alla madre, Iole Albanello, che chiedevano a chi fosse presente quella sera, operai, impiegati, o anche qualcuno che passava di lì, di parlare una volta per tutte. Nel novembre del 2021, la svolta: la procura di Vicenza, dopo 42 anni dall’omicidio, ha deciso di riaprire le indagini. Da allora, però, bocche cucite in via Gallo: da quasi un anno, i familiari non hanno la minima idee di come siano messe le ricerche.

«CHI SA, PARLI UNA VOLTA PER TUTTE»

Chi questa vicenda l’ha vissuta più di tutti, assieme alla madre Iole, per la quale dal ’79 tutta la vita è cambiata, è la sorella di Nadia, Barbara Chiarello. «So per certo che ha Chiampo c’è chi sa – spiega a VicenzaToday -, ma per qualche motivo non vuole parlare. Nel ’79 non hanno torchiato chi bisognava interrogare. In paese giravano molte voci, che girano tutt’ora, ma non abbiamo prove. I miei genitori soffrirono tantissimo per la vicenda, mio padre Lorenzo si è ammalato di cuore, fino a morire, mentre per mia mamma non passa giorno senza che il suo pensiero vada a Nadia. Comunque sia, non è mai troppo tardi per la verità, e prego chiunque sappia qualcosa di farsi avanti, anche in forma anonima, per salvarsi l’anima».

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