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La parte seconda della storia della BPV è più orrenda della prima?

Palazzo Thiene, di fattura palladiana, ricco di opere d’arte dal valore inestimabile, ha chiuso i battenti in questi giorni. Vicenza continua? Qualche dubbio c’è

Nel 1995, alla vigilia dell’entrata in agone (e che agone!) di Gianni Zonin, la Banca Popolare Vicentina, secondo il «Mondo», era al primo posto in Italia fra tutte le banche per solidità finanziaria e capitalizzazione. Vent’anni dopo, secondo gli esperti contabili succedutisi alla sua guida dopo la caduta (si fa per dire) di Zonin, valeva zero.

Misteri delle contabilità dell’alta finanza. Come può valere zero una banca che ha la possibilità, in una brutta domenica di giugno 2017, di cedere 43 miliardi di euro di parti cosiddette buone esistenti all’interno del suo bilancio, per 50 centesimi ad una ex concorrente, vale a dire Banca Intesa della stella nascente Carlo Messina, sotto l’egida (e relativa firma) di rappresentanti del Ministero? Con l’approvazione esplicita della Commissione europea? Nessuno ci ha spiegato, nessuno ha spiegato ai soci e ai clienti gabbati e azzerati, la ratio di questa operazione.

C’è un secondo mistero.

Non bastavano quelle “parti buone” a consentire il passaggio magico della ex Banca number one di Vicenza ai docili forzieri dell’altra ex Banca Cattolica del Veneto come grazioso regalo? No. Carlo Messina pretese dallo Stato 5 miliardi di euro per poter ricostituire la sua ratio patrimoniale e il licenziamento degli esuberi della propria banca e delle due accorpate oltre alle loro parti migliori (clientela doc). Cinque miliardi pronta cassa. Secondo immaginifico regalo. Per poter licenziare senza addebiti 3.874 persone.

Facciamo un’ammissione. Anche se la pratica è misteriosa la sua parte e accettiamo che non sia stata doverosamente spiegata come avrebbe dovuto, dov’è il vantaggio per i soci azzerati? Per gli obbligazionisti azzerati? Nullo. Unico vantaggio rincorso e ottenuto dallo Stato è evitare il fallimento delle due banche venete, per non ben chiare ragioni di matrice europea. Ebbene, ammettiamo che quella fosse l’unica operazione consentita dal fato. Perché non spiegarne la ratio autentica? Perché, di fronte alla tragedia delle due banche venete scomparse e dei danni collaterali (soci e depositanti e contesto sociale) provocati non si è almeno scelta la strada della trasparenza? Si sono riuniti assieme ad un paio di avvocati e ad un notaio, da carbonari, a stilare un atto di cessione assurdo in una domenica di giugno (2017) e hanno chiuso una storia centenaria? A zero euro?

Oltre il danno, le beffe.

Dividendo le parti buone da regalare a Carlo Messina da quelle cattive da tenere ad una non ben spiegata a sua volta Liquidazione Coatta amministrativa i cui esiti positivi eventuali andrebbero comunque allo Stato, i nostri leviatani hanno deciso di dividere buono da cattivo, grano da loglio, esistenti all’interno dell’enorme bilancio di Banca Popolare di Vicenza, secondo regole non chiare, lasciando fra il loglio un gioiello: la sede storica di Palazzo Thiene, di fattura palladiana, ricco di opere d’arte dal valore inestimabile. Questo gioiello ha chiuso i battenti in questi giorni. Definitivamente. Chi lo comprerà? Un emiro? Un ex sovietico arricchito dal capitalismo di Putin? Perché il giovin signore Carlo Messina non si è fatto carico di questo gioiello? Con tutti i “beni” popolari che ha ricevuto in omaggio?

Le male lingue dicono che è perché va gestito un gioiello così e gestirlo costa. E poi dicono che Messina ha già Palazzo Montanari, bello, ben gestito ma dal valore di libro assolutamente inferiore a quello di Palazzo Thiene. Così uno dei punti salienti della città chiude. Porte sbarrate. Via Porti era già triste prima. Ora vi sfrecciano solo a velocità assurda le fuoriserie dei pochi ricchi proprietari di studi e appartamenti che la sera rientrano a casa. E’ la ciliegina velenosa su un gelato del tutto avvelenato. Fine della banca, fine della storia, la strada monumentale muta e cieca. Vicenza continua? Qualche dubbio c’è.

Tratto da Quaderni Vicentini, in edicola

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